Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, scriveva Bertolt Brecht. Povera Italia, allora. Le feste natalizie ce ne hanno portati addirittura due, di eroi. Il primo, con nome e cognome; il secondo, senza. Un giocatore di calcio e un ex carabiniere.
Simone Farina è un difensore del Gubbio, passato agli onori della cronaca per aver rifiutato e denunciato la proposta indecente di 200.000 euro – da spartirsi con altri tre compagni di squadra – per truccare la partita di Coppa Italia Cesena-Gubbio. Il gesto, straordinario, ha spinto il ct Cesare Prandelli a invitarlo al raduno della Nazionale in vista dell’amichevole del 27 febbraio 2012 con gli Stati Uniti. Al netto dell’enfasi: dall’interno del sistema, Farina ha sfidato ufficialmente il potere malavitoso che controlla il giro immane, e infame, delle scommesse.
L’ex carabiniere, uno degli «intercettanti» all’epoca di Calciopoli, ha svelato, nel corso di un’intervista, che l’inchiesta del procuratore Giuseppe Narducci e del tenente colonnello Attilio Auricchio «fu gravemente manipolata»: piste preferenziali, telefonate «da leccarsi i baffi» (non tutti, però), schede svizzere spente, Inter ignorata, audio pro-Della Valle sparito. Eccetera eccetera. Un «già sentito» inquietante. Al netto dell’enfasi: il carattere parzialmente anonimo delle accuse, pesantissime, impone verifiche rigorose.
Come dimostra il Watergate di nixoniana memoria, le gole profonde non sempre sono discariche di menzogne. Auricchio ha già smentito con sdegno, ma lo sdegno non basta. Nessun dubbio che Calciopoli 2 abbia allargato il fronte di Calciopoli 1. Ciò doverosamente precisato, sono d’accordo con l’avvocato Maurilio Prioreschi: in attesa che un Guariniello curioso apra un fascicolo, il signor «Innominato» corra dai magistrati e racconti le sue verità, già illustrate ai giornalisti.
Come ha fatto Simone Farina, senza passare dai giornalisti.
Buonasera Martinello, io la metterei cosi’. Il pentito puo’ anche non recarsi dal magistrato, nessuna legge lo obbliga e se qualcuno si sente calunniato puo’ sempre querelarlo. Invece, vista l’obbligatorieta’ dell’azione penale, sancita dal nostro codice di procedura penale, il giudice competente è obbligato ad aprire un fascicolo per verificare la presenza di reati…………..in un paese normale (cit.)
Scritto da IL MARTINELLO il 27 dicembre 2011 alle ore 15:54. Ciao IL MARTINELLO…come vedi FARSOPOLI, esattamente come gli esami…non FINISCE MAI !!! Altro che “tavolo della pace”…con l’ennesiba a/ebete figura di …melma della classe dirigente dello sport italiano…!!! Perchè oggi non trovo un “soggetto del settore” ( tecnico, dirigente, giornalista…) che invita le ISTITUZIONI alla “verifica” di quanto pubblicato da un quotidiano e rimbalzato sulla “rete”, letto complessivamente da milioni di cittadini ???
Caro mio, mi sa tanto che il nostro “brodo” è sempre saporito…visto che ci mettiamo ingredienti nuovi…!!! Le “ribollite” sono quelle altrui…imputridite e “vecchie”. Un salutone.
Primario vero e’ che l’uscita delle intercettazioni interiste di Calciopoli 2 ha affossato la teoria del complotto per cui telecom le avesse cancellate, pero’ in qualche modo le nuove affermazioni dell’ex carabiniere danno da pensare a qualcosa di strano quando dice che il server ogni tanto si staccava…
Scritto da Roberto Beccantini il 27 dicembre 2011 alle ore 15:43. Sa com’è caro Beck. REPETITA…JUVE…NT !!! Ma invece, che considerazioni fa sul contentuo ? E’ d’accordo con il Gigi ?
X il Beck – Borelli si lamentava che non ci fossero “pentiti”. Adeso che ne abbiamo trovato uno gli si chiede di confermare le sue dichiarazioni davanti ad un magistrato. Ma secondo lei, sarebbe più deprecabile se costui non si recasse a fare le sue dichiarazioni davanti ad un giudice o che nessun giudice aprisse un fascicolo per accertare la fondatezza delle sue dichiarazioni?.
Un’ altra cosa sig.Beccantini, stando a Tuttosport, Borriello è quasi della Juventus, la prego faccia qualcosa……………..
Ho preso nota della sua nota giuridica sig.Beccantini e la ringrazio per l’informazione ora, mi raccomando, non molli l’osso.
Gentile Cristiano, questo pezzo era già stato inserito da ju29ro. Per favore, già la Clinica, come spazio, non è l’Ospedale, se poi me la intasate con lenzuoli già usati. Massima libertà di espressione, e anche di insulto (a me). Ma siate concisi, per Brio! Soprattutto, ripeto, quando la biancheria è già stata impiegata.
Gentile Martinello, posso sbagliare ma cerco sempre di attenermi alla realtà fattuale.
Caro Beck, ecco l’esempio di un giornalista che non ama le “ribollite”…ma che vede la realtà per quello che è…Cristiano Poster———.MILANO, 27 dicembre 2011 – La clamorosa intervista di Edmondo Pinna, pubblicata sul “Corriere dello Sport” di venerdì sicuramente la prima di una serie di prossime puntate – apre nuovi scenari sul retrobottega delle indagini, condotte in una sola direzione, riguardanti “Farsopoli”. Pinna ha intervistato uno dei “magnifici dodici” del gruppo di investigazione. Finalmente, per gli amanti della verità, arriva una importante conferma di come tali indagini sono state fatte. È un racconto da brividi poiché, se questi sono i metodi di investigazione, chissà quanti innocenti sono in galera o sono stati condannati, quanti malfattori gongolano, e quanti colpevoli di reati ben più gravi, importanti e dannosi di quelli di “Farsopoli”, l’hanno fatta franca.
Primo dato. In via dei Selci a Roma, sede del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, una delle strutture che in genere conduce le indagini più delicate di tutta Italia, lavorano 60 investigatori. Per lunghissimo tempo, nell’arco di qualche anno, dodici di questi uomini – un quinto dell’intero organico -, cioè ufficiali, sottufficiali e agenti di polizia giudiziaria sono stati destinati a occuparsi di “Farsopoli”. Nel paese certo c’erano indagini ben più importanti da svolgere. Ad esempio, nel 2006, quella sullo “strano” spoglio delle schede che a tarda notte aveva capovolto, per poche migliaia di voti, il risultato delle elezioni politiche consegnando a Romano Prodi il governo della nazione. Ma evidentemente il “capo” politico dei carabinieri, cioè il ministro della Difesa Arturo Parisi, molto amico di Prodi, portò una ventata di “aria nuova” agli alti comandi di viale Romania. Un’aria che scese giù per li rami fino ad arrivare ai gradi inferiori. Il problema più rilevante, dunque, è questo: chi ha fatto in modo, e dato ordine, che quell’inchiesta diventasse prioritaria e assorbisse così tante energie di uomini e mezzi? Tale scelta ovviamente non va attribuita ai carabinieri, ma – oltre al superiore livello politico – anche ai magistrati di Napoli che avevano ordinato un certo tipo di inchiesta agli uomini in divisa.
I magnifici 12
C’è un secondo aspetto. La “filiera” al vertice dei “magnifici 12 investigatori della squadra Off-side”era composta, in ordine gerarchico decrescente, dal tenente colonnello Giovanni Arcangioli, il maggiore Attilio Auricchio, e infine il maresciallo capo Michele Di Laroni, braccio destro di Auricchio. Furono questi ultimi due a dare all’inchiesta in nome in codice “Off-side”. Un giornalista della “Gazzetta”, Maurizio Galdi, inviato in pianta stabile al processo di Napoli, scrisse: «Off-side perché il desiderio è di mettere in fuorigioco l’intero sistema calcio. Sono gli unici a sapere ciò che sta succedendo, per due anni vivranno nell’ombra, mimetizzandosi». Tanta enfasi e tali tinte eroiche su Auricchio e Di Laroni forse erano dovute al fatto che il maresciallo fece addirittura ricorso contro una multa presa dal giornalista. Dato che si scoprì che il reporter era, fin dall’inizio delle indagini, un collaboratore dei carabinieri. E quindi non si trovava nelle migliori condizioni di obiettività per scrivere su quel tema. Anche se, di certo, riceveva soffiate unidirezionali per dar corpo a un certo tipo di teorema accusatorio. Ma su di lui, né l’Ordine dei Giornalisti, né la direzione del suo giornale, ha mosso un dito…
Copertura dall’alto
Dall’intervista dell’investigato re “indignato”, e col voltastomaco, protagonista del racconto al “Corriere dello Sport”, emergono altri dati preoccupanti: quando viene avviata un’inchiesta, che ha una forte “copertura dall’alto”, poi accade che a prendere il sopravvento siano due o tre elementi della squadra investigativa che condizionano il lavoro di tutti e, valendosi del loro grado, ne possono combinare di tutti i colori raccogliendo materiale che poi determina processi falsati. Bastano un paio di inquirenti in mala fede e si arriva a tutto tranne che alla la ricerca della verità, badando solo a compiacere la direttiva arrivata, oppure a procurare vantaggi a coloro cui fa gioco quell’indagine.
C’è ad esempio, la notizia di incrinature al vertice: il responsabile delle indagini, Arcangioli, ha firmato solo la prima informativa dei carabinieri e non la seconda, quella sul Milan. Dimostrando che non condivideva il lavoro di Auricchio e Di Laroni e non si voleva assumere la responsabilità delle loro “conclusioni”. Ma allora perché è rimasto al suo posto? Arcangioli arrivò “ai ferri corti” con Auricchio: considerava giustamente inopportuno andare avanti con un’indagine che non portava risultati, che appariva debole e senza riscontri, nonostante impegnasse una buona parte dell’orga nico della caserma. Com’è possibile che, nonostante l’aperta dissociazione del suo superiore, Auricchio poté continuare le indagini “a modo suo”? Su quali “protezioni” poteva contare? Andiamo avanti. «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio. Attorno ad un tavolo», e ognuno parlava dei risultati dello spicchio di indagini o intercettazioni a lui affidate, dice l’investigatore intervistato. «Le telefonate dell’In ter? Che ci stavano si sapeva…». Si faceva il punto, ma alla fine erano «Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non mettere nell’informativa». A loro completa discrezione… Ogni telefonata intercettata veniva inserita nel brogliaccio e, per capirne la rilevanza prima di trascriverla o meno, si indicavano tre “baffetti rossi” col pennarello accanto ad essa, se era considerata importante. Come mai molte di queste telefonate con i baffetti rossi non sono finite nell’inchiesta? «Evidentemente non ci dovevano andare (….). So soltanto che quello che veniva fatto, veniva fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma se tu non ce lo metti, ’sto mattone..». E Auricchio e Di Laroni hanno evitato di mettere molti mattoni… Ecco spiegato perché certe intercettazioni non sono finite nell’inchiesta, anche se le telefonate «c’erano perché ci sono le registrazioni». Ma di spiegazione ce n’è un’altra, inquietante: «La cosa un po’ anomala è il server delle intercettazioni. È in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura: “Guarda, la “Postazione 15” qui non funziona, che è successo?”. “Vabbé adesso controllo….”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata 250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse…”». Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci parlava Di Laroni…». E ancora: è tecnicamente possibile non intercettare un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo? «Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Questo fa pensare che c’erano altre orecchie in ascolto, magari in un palazzo di Milano. E quando sentivano certe cose, o si accorgevano dei numeri di appartenenza di chi stava chiamando o rispondendo, staccavano il server e impedivano anche ai carabinieri di registrare…
Orecchie tese
Insomma, intercettazioni selezionate e pre-selezionate. Sia alla fonte, in origine, straccando il server. Sia dopo, evitando di farle trascrivere. Con una ulteriore appendice molto italiana o napoletana, a detta dell’intervistato: cenette a Napoli, da “Zi’ Teresa”, con Auricchio e Arcangioli con uno dei pm dell’inchiesta. L’investigatore non fa il nome dell’ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009, prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate dalla difesa di Moggi. Sugli “altri personaggi” delle cenette, il “Corriere dello Sport” ci darà certo ragguagli. Così come il bravissimo Pinna (mi raccomando, occhio a non parlare al telefono…) ci dirà quanti caffè presero insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle loro risposte in aula non combacia. A questo punto – come da anni afferma …. «solo una “indagine sull’indagine” potrà cercare di dare le risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si è invece accontentato di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se avesse “stappato lo champagne?”. Buchi rosa e buchi neri, ma da oggi un po’ meno neri».—Moncalvo su Libero