Nave, neve. Concordia, discordia. Costa, casta.
1) Un Paese così fragile e ripetitivo di fronte alle emergenze non merita di ospitare un’Olimpiade. Prima, meglio che si curi. Possibilmente, presso medici diversi dai soliti Carraro e c.
2) Bologna, Genoa, Cagliari, Siena: quattro pareggi casalinghi, e tutti più o meno identici, ribadiscono come e quanto la Juventus non sia da scudetto. Se poi le altre fanno peggio, cavoli loro.
3) C’era un rigore pro Juve, netto, ma in casa contro il Siena, non al Camp Nou contro Messi: una squadra «vera» avrebbe vinto comunque. Gli alibi allontanano dagli obiettivi.
4) Rinvii, squalifica di Ibra («due turni, non tre»): dopo Beretta, Galliani prega di informare il giudice sportivo. Fatto.
5) Un anno fa, Allegri rimediò all’assenza di Ibra, squalificato dopo Milan-Bari, sguinzagliando Cassano e Pato: stavolta?
6) E’ un campionato afflitto dalla sindrome di Penelope: la Juventus grande con le Grandi, il Milan grande con le Piccole, l’Udinese vince in casa e perde fuori, l’Inter dei sette successi è tornata l’Inter, Roma e Lazio passano da un estremo all’altro, il Napoli ha già collezionato dieci pareggi.
7) Giovinco, Miccoli: il dente batte dove la lingua gode. Nostalgia canaglia di Trezeguet, ma anche di certi «tappi».
8) Sneijder o non Sneijder, l’Inter ha smesso di correre: smettendo di correre a centrocampo, non protegge più la difesa; non proteggendo più la difesa, ciao Pep: otto gol in due partite.
9) Delle prime sette in classifica, ha vinto soltanto la Roma. Un equilibrio così radicale è il prezzo di una mediocrità avvilente. A proposito: Juventus e Milan a secco, quattro 0-0.
10) Se Moggi era «il più bravo di tutti» e Giraudo «come un padre», perché Andrea Agnelli non li invitò al battesimo del nuovo stadio?
Ivan, con il numero dieci a volte ci si azzecca e a volte no. Meglio avere anche una squadra, allungando la metafora.
Peccato che noi italiani, a volte, nel cercare un numero dieci ci affidiamo all” uomo della provvidenza”, che poi pensa più alla sua che alla nostra. Se solo capissimo che ognuno di noi dovrebbe dare anche la propria parte. Troppo comodo affidarsi ad uno solo. Così, soliti furbi, gli possiamo dare tutte le colpe, lasciando linda la nostra coscienza. Mah…
Ivan, abbiamo sempre bisogno di un numero dieci che ci risolva i problemi, in politica e nello sport. Diamo il massimo nelle difficoltà ’. Sposiamo le leggi e andiamo a letto con le eccezioni.
Aggiungerei che non siamo capaci di vedere oltre il nostro naso. Non siamo capaci di pensare anche al domani. Pensiamo solo all’oggi, all’immediato (basta pensare alla scarsa considerazione che ha, in ogni settore purtroppo, la ricerca: ricercare non è un mezzo per pensare anche al futuro?).
E’ vero che siamo poco nazione: siamo individualisti o, per dirla come Gucciardini, teniamo famiglia. O come diceva anche Montaneli, siamo un popolo di greggi sparse.
Non è qui la sede per parlare di cause, che hanno origini che si perdono nel tempo. Ma è un peccato perchè avremmo i mezzi per fare bene. Non tanto per inseguire inutili, e volubili, primati ma per vivere in maniera decente e ordinaria.
Abbiamo sprecato Italia 90 e Torino 2006 ( ben organizzata in compenso), a livello sportivo non siamo stati manco capaci di sfruttare le vittorie mondiali e olimpiche, compiuti dai nostri campioni.
Eppure questo paese, per inerzia o per santa protezione, riesce a stupire. Certo non si può aspettare sempre l’italico stellone, e infatti si vede in questa crisi.
Non so’, ma sembra che ci piace vivere sempre nell’ordinaria provvisorietà , ma una ordinaria normalità non può bastare? O siamo troppo orgogliosi per accontentarci del meno e non del superfluo?
Ivan, perché siamo poco Nazione, siamo un Paese dei campanili e, spesso, dei campanelli. Perché abbiamo una classe di dirigenti senza classe. Perché la furbizia per noi è una virtù e non un’arte, da valutare di volta in volta. Perché vogliamo sempre vincere e costruire a tutti i costi. Perché da noi il falso in bilancio e la bustarella sono tollerati e consigliabili.
Le dò ragione per Barcellona ( ma abbiamo anche noi città di simile respiro europeo?), ma quel 1992 diede il via a tanti eventi sportivi e non (vedi expo, sempre del 1992), che portarono ad incrementare la corsa al mattone ( e alla speculazione edilizia), in modo anormale. Una follia che, dopo una breve parentesi di forte spinta economica, ha messo poi in ginocchio il paese iberico.
Come noi italiani, neppure gli spagnoli erano lungimiranti.
Indubbio è però il fatto che più, e meglio di noi ( come i francesi) sappiano sfruttare meglio certe occasioni. La domanda è : perchè noi roviniamo tutto?
Ivan, grazie della visita. Sulla Grecia posso concordare, su Barcellona no. C’ero (come ad Atene, del resto) e le posso garantire che l’Olimpiade aiutò molto la città a diventare più fresca, più europea, più diversa. Era il 1992, il flop spagnolo non è riconducibile a quella vittoriosa esperienza. Certo, l’Olimpiade è un giocattolo sempre più costoso, che è ancora peggio rispetto alla sua analisi. Sui vantaggi concreti, ha ragione. Restano quelli di immagine,. che se un Paese non è scemo incassa comunque, ma tanto per fare un esempio Torino 2006 ha lasciato in eredità impianti desertificati.
Nel dettaglio italiano, poi, ho molti dubbi su Roma e credo, sinceramente, che le priorità siano altre.
Olimpiade: visti i precedenti di Atene 2004 e di Barcellona 1992, non è che porti sfortuna ospitare questa importante manifestazione? Si è sempre detto che il ricavo economico sia notevole per la nazione, e soprattutto per la città , che l’organizza. Ma viste le enormi crisi di Grecia e Spagna siamo sicuri che portino bene? Ricordo ancora le lodi sperticate a quelle nazioni, delle quali si riteneva imminente che ci superassero sul piano economico. Ora come la mettiamo? L’ Italia, ora come ora, non può assumersi questo sforzo. Dispiace, ma è la triste realtà .
Ps: ma siamo sicuri che le olimpiadi non siano un giocattolo un pò troppo costoso e non così vantaggioso?