Dopo Calciopoli, la Juventus ha già battuto quattro volte l’Inter, ma questa è la prima che l’affronta da favorita. Non è la stessa cosa. Finché aveva potuto camuffarsi da sommergibile, la squadra di Conte era arrivata perfino in cima alla classifica. Viceversa, quando ha dovuto farsi carico del nuovo status, ne ha sofferto la pressione. Penso a Milan-Juventus di campionato (1-1, tribolatissimo) e all’ultimo Juventus-Milan di Coppa Italia (dal 2-1 di San Siro al 2-2 casalingo nei supplementari); e in entrambe le occasioni, Allegri schierava una formazione assai rabberciata.
Juventus 56, Inter 41: quindici punti di differenza. Mai successo, nei gironi di ritorno post scandalo. Comandava sempre l’Inter: nel 2008, a più 13; nel 2009, a più 10; nel 2010, a più 16; nel 2011, a più 9 (calcolando il recupero di Fiorentina-Inter 1-2). L’inizio di una ricostruzione ha coinciso con la fine di un ciclo. Non scopro certo l’America se affermo che la vittoriosa rimonta del Milan contro la Roma, firmata Ibrahimovic, accentua la zavorra che gli sherpa di Conte dovranno trasportare. La Juventus ha speso molto martedì sera, in Coppa. Ed è proprio il ritmo che ne alimenta le geometrie, rendendole gradevoli e ficcanti.
Ranieri ha dovuto sopportare, di Moratti, la versione più ondivaga: c’era una volta Mourinho (e Balotelli, ed Eto’o, e Thiago Motta). Non ha fortuna, Claudio: ha beccato la Juve più magra e l’Inter più grassa; ha confuso Poulsen con Xabi Alonso. Scritto ciò, noto troppa euforia attorno alla Juventus. Per aver azzeccato tre partite, Vucinic è stato avvicinato, addirittura, a Ibrahimovic: questo spiega, con la rinuncia alle inchieste, la crisi del giornalismo sportivo italiano. L’importante è leccare, pompare: in caso contrario, le società negano le interviste.
La Juve è talmente favorita che non mi meraviglierei se l’Inter la imprigionasse. E per favore: niente cori o striscioni beceri.
Gentile signor Domenico, che bella sorpresa. Non ero dottore allora, non lo sono oggi. Roberto, e stop. Indimenticabili quelle trasferte (e quel pesce!). Non sbaglia, ma la lingua corrente è, appunto, “corrente” nel senso di mobile, larga, contaminante (e contaminata). In… parole povere, il significato stretto (o rigido, come scrive lei) si dilata e imbarca significati contigui. Solo i brasiliani danzano dentro gli stadi, sì. Per cui coreografia ha assunto anche il “valore” di sfondo immobile, fisso, sgargiante. Come per Milan-Barcellona così per Juventus-Inter, eccetera eccetera eccetera. La lingua classica ha da tempo adottato il linguaggio comune, popolare. Ricorda il dativo plurale “loro”? Quando andavo a scuola, se scrivevo al posto di loro “gli” mi beccavo una lavata di capo, oggi “gli” vale “loro”. Non so se l’esempio sia calzante: spero solo che renda l’idea di una coreografia ormai accettata nella sua essenza (e nella sua assenza di danze).
Grazie a lei del ricordo. Mi scriva quando vuole, anche a roberto.beccantini@fastwebnet.it. Evviva la sua terra!
NON E’ UN COMMENTO ALL’ARTICOLO, NON SAPEVO DOVE SCRIVERE.
Egr. Dott. Beccantini,
innanzi tutto La saluto e la ricordo con piacere quando veniva al Ballarin di San Benedetto del Tronto negli anni 60/70 per Tuttosport, (a quei tempi ero un aspirante pubblicista) al seguito di qualche squadra di peso. Vorrei sapere la Sua opinione relativamente a certi titoli che appaioni sui giornali, L’ultimo che ricordo in Gazzetta dopo Milan-Barcellona. Parlano sempre di coeografie delle curve o altro, ma a mio avviso sono scenogarfie quelle che appaiono sugli spalti perchè la definizione di coreografia e:
“La coreografia è l’arte di comporre le danze e i balletti, principalmente per la scena, per mezzo di passi e figurazioni. Il termine è di origine greca ed è composto da choreia (“danza”) e graphè (“descrizione”).”
Sbaglio o sono rigido nell’interpretazione? Tranne i brasiliani ai mondiali, non ho visto nessun altro pubblico danzare. Grazie del minuto che mi dedicherà .
Con stima