Il ventottesimo scudetto della Juventus, primo del dopo Calciopoli, è stato diverso non solo per lo spirito di rivincita che ne ha accompagnato lo sviluppo dopo gli anni più bui, ma anche, e soprattutto, perché sottratto al Milan con il gioco e non con un sordido colpo di stato. Alla fine, persino i tanto vituperati pareggi hanno recuperato peso, valore, a fronte delle sei sconfitte accumulate dai campioni uscenti.
La mia griglia d’agosto prevedeva Milan, Inter, Napoli, Lazio, Udinese, Juventus. Ho sbagliato tutto, mi capita spesso. Credo che le chiavi del successo siano state due: la scelta e le scelte di Conte, l’arrivo di Pirlo. E poi, casuale o no, il ritorno di un Agnelli alla presidenza ha coinciso con il ritorno al successo. Non dimentico Marotta: il primo mercato fu un disastro, questo no, è stato generalmente sottovalutato. E nemmeno trascuro lo stadio di proprietà: ha dato colore, ha trasmesso calore.
Con il fiore all’occhiello dell’imbattibilità, e la finale di Coppa Italia ancora in ballo, la Juventus è tornata a essere, come scrive «Marca», la «màs guapa», la più bella. Ebbene sì, è stato proprio questo l’aspetto più sorprendente. Il gioco, non solo i muscoli. La qualità, non solo la quantità. Calcio moderno, al netto di tutti i «privilegi» di calendario che la prossima Champions cancellerà. Gli aiuti più efficaci, questa volta, non sono venuti dagli arbitri (gol di Muntari a parte; e comunque, non che il Milan possa lagnarsi, vogliamo parlare dell’ultimo rigore?), ma dagli avversari più irriducibili: la Fiorentina corsara a San Siro, l’Inter padrona dei derby.
Vero: gli infortuni del Milan, il crollo dell’Inter e le distrazioni europee del Napoli. La Juventus si è buttata su quei vuoti e li ha riempiti. Con pieno merito. Lo snodo Pirlo ha indebolito Allegri e rafforzato Conte. Tutto il resto è paranoia.
non credo Roberto…. è citata la fonte…….. è su F.B……………
Buongiorno a tutti,
@ Axl Rose, mi scuso per la curiosità, ma chi sarebbe il ribaltonista fallito che la fa godere così tanto???
Axl… il “fallimento” della Roma, secondo me, nasce dal fatto che:
a parte DeRossi, la Roma è formata da giocatori bolliti, scarsi, o appena buoni.
l’allenatore non ha mai allenato ad alto livello, era un’incognita, e l’Italia non è la palestra ideale
quanto a Baldini e Sabatini………… spero che restino fino alla retrocessione. Mi sembrano il gatto e la volpe ……….
Ezio, buon giorno. Occhio alle lenzuolate: non vorrei avere beghe giudiziarie per riproduzione indebita di servizi esclusivi. Grazie.
Scritto da axl rose*** il 11 maggio 2012 alle ore 11:13
Buongiorno Axl, posso dirti come la penso, L.Enrique è un bel personaggio e un uomo tutto di un pezzo, ma come allenatore si è dimostrato molto scarso, con la rosa che aveva doveva fare molto di più, visto il livello del campionato, senza coppe, e alle condizioni in cui erano Napoli e Inter.
Il progetto lo può fare una società, anzì lo deve avere, sarebbe meglio farlo e non dirlo, quando si ripete all’infinito a me sembra solo che ci si voglia autoconvincere di qualche cosa che non esiste; ma a livello tecnico i risultati, i riscontri devono esserci a stretto giro sennò buona notte ai suonatori.
Gentile Axl Rose, la differenza e nelle scuole in cui Luis Enrique e Conte si sono formati. Invertiamo per un attimo le parabole, Conte in Spagna e non Luis in Italia. Sarebbe stato Antonio, probabilmente, a dire: Chiedo scusa ma ho fallito.
Personalmente, avrei fatto di tutto per tenere l’hidalgo, visto che aveva anche il supporto dello zoccolo duro dello spogliatoio. La Roma qui è la non mi è dispiaciuta. Solo che in Italia più che all’estero “falta” pazienza e Luis Enrique aveva, ha, un timbro troppo barcellonista: la fase difensiva si è rivelata un disastro. Proprio quella fase difensiva che ha permesso ad Antonio di fare la differenza. L’Italia è il Paese del contropiede, mai dimenticarlo. Luis Enrique veniva, viceversa, dalla culla del titic-titoc, innalzato a dogma alla luce del boom catalano. Gli allenatori contano, a patto che non si dimentichino di quanto conta Leo Messi, preso come termine di paragona per salire a bordo dell’eccellenza.
Concludendo: in Luis Enrique ho colto una grandissima dignità. L’avrei tenuto, ripeto. O comunque, avrei fatto in tutti i modi perché non se ne andasse.
Sig.Beccantini il tanto sbandierato progetto (brutti ricordi questa parola!!!) della Roma è miseramente fallito, colpa nostra (calcio italiano) o di Luis Enrique? Potrebbe spiegarmi che differenza c’è tra le idee rivoluzionarie di Luis Enrique, viste molto a sprazzi sul campo, e il gioco visto per tutta la durata del campionato di mister Conte?
P.S. Il rancoroso juventino di serie C che è in me gode per il fallimento del ribaltonista.
Buongiorno Beck, buongiorno pazienti campioni, tristellati. Questione terza stella: né nelle carte federali, né in quelle della Lega, pare, esista un solo articolo che stabilisca i criteri di utilizzo delle stelle sulle maglie, o che preveda delle pene in caso di esposizione indebita. Si sa che il distintivo è stato introdotto negli anni Cinquanta per volontà di Umberto Agnelli, per celebrare il decimo scudetto della Juve, ma da allora nessun legislatore sportivo ha sentito il bisogno di formalizzare l’usanza trascrivendola. Esiste un regolamento delle divise ufficiali che spiega che cosa può comparire sulle maglie, e che al tempo stesso dice che tutto ciò che non è esplicitamente consentito è espressamente vietato. Ovviamente non c’è un solo riferimento alle stelle, altrimenti la questione sarebbe già risolta. Dunque, tutto finisce nelle mani della Federcalcio, che potrebbe lavarsene le mani o considerare la decisione del club bianconero di ignorare le sentenze del 2006 come una violazione del codice di giustizia sportiva. Potrebbe tirare aria di patteggiamento/riconoscimento del tipo: Agnelli rinuncia ad una bella “lenzuolata” di milioni di euro e la Figc rilegge in modo più attento la sentenza di Napoli, scaricando su Moggi in toto le colpe, essendo stato riconosciuto, nella sentenza del tribunale di napoli che nessun risultato sportivo è stato alterato nei due campionati sottratti alla Juve. Forse , questa soluzione, chiuderebbe, per sempre (o quasi) la vicenda calciopoli.
buongiorno Roberto, buongiorno a tutti. Scusate la lenzuolata ma l’intervista a Pirlo mi sembra proprio molto bella…….
TORINO, 11 maggio 2012 – Un anno. Lo scudetto. Un campionato da numero uno. Dodici assist. Tre gol. Dopo, solo dopo tutto questo, è arrivato anche il momento di parlare, chiarire, raccontare, gioire.
Pirlo, si è sentito sottovalutato e scaricato dal Milan?
«Le cose sono andate così. Quando abbiamo parlato del mio contratto, mi hanno proposto il rinnovo per un anno. Io chiedevo un triennale perché ero più giovane degli altri giocatori in scadenza. Mail vero motivo del mio trasferimento è stato un altro: Allegri voleva piazzare davanti alla difesa Ambrosini o Van Bommel e io avrei dovuto cambiare ruolo. Allora ho detto “no, grazie” e ho scelto la Juve, che mi offriva motivazioni importanti. Ci tengo a dire che non è stata una questione economica».
Quindi è stata una scelta tecnica.
«Il Milan ha deciso che non servivo più. L’ho capito subito durante quel colloquio. Nel mio ruolo Allegri preferiva altri giocatori».
Le diede fastidio la richiesta di prova tv pubblicata sul sito del Milan per una sua presunta gomitata a Van Bommelnello scontro diretto?
«Certo: ho giocato lì 10 anni, sanno che io non faccio certe cose».
È sorpreso dai continui infortuni muscolari dei rossoneri?
«In una stagione lunga può accadere che ci sia qualche problema, però credo che a Milanello debbano cambiare qualcosa nella preparazione».
Adesso qualcuno si sarà pentito di averla lasciata andare?
«Non lo so. Ma durante la stagione molti miei ex compagni mi hanno detto che sentivano la mia mancanza. Io sono contento: ho vinto».
Quando ha capito che sarebbe stato possibile?
«Da subito: ho avvertito un’aria particolare. A giugno al matrimonio di Buffon alcuni suoi amici mi chiedevano se fossi pazzo per aver lasciato il Milan, risposi che quando mi sposto lo faccio per vincere. E dissi che avremmo conquistato lo scudetto. Adesso mi ringraziano perché andarono a scommettere sul nostro trionfo…».
Ricorda le prime parole con Conte?
«Ero in Nazionale, lui aveva appena firmato. Mi chiamò per presentarsi e mi sorprese: dovevamo ancora fare le vacanze e lui era già carico. Fu una bella telefonata».
Conte è stata una piacevole sorpresa?
«È un grandissimo allenatore. Io ne ho avuti tanti, ma nessuno così meticoloso nel lavoro e bravo a spiegare le cose. Dal punto di vista tattico e didattico è perfino più bravo di Ancelotti e Lippi, che pure hanno tante qualità. Prepara benissimo le partite, studiamo i video degli avversari 3-4 volte alla settimana e quando scendiamo in campo è difficile che qualcosa ci sorprenda. Conte è un talento della panchina».
Ha un chiodo fisso?
«Vuole i centrocampisti stretti per evitare passaggi tra le linee».
Il 4-2-4 iniziale le sembrava un azzardo?
«Per me non cambiava molto, comunque quel modulo mi divertiva. Poi Conte ha scelto altre strade: è segno di grandezza saper modificare le proprie idee. Il modulo con tre centrocampisti centrali è il più adatto alla squadra, ci ha reso più aggressivi. Conte parla molto con noi, si confronta».
Qual è stato il segreto?
«Il lavoro e la voglia di raggiungere quest’obiettivo in silenzio».
Il lavoro conta più del talento?
«No, il talento viene prima e va coltivato con il lavoro. Se non ce l’hai puoi lavorare tutto il giorno ma non verrà fuori».
Tra le squadre vincenti in cui lei ha giocato, dove colloca questa Juve?
«Tra le più forti per mentalità, orgoglio e voglia di imporre il proprio gioco».
Come se la sarebbe cavata questa Juve in Champions?
«Ce la saremmo giocata, proprio per il tipo di calcio che facciamo. Servirà qualche innesto, ma siamopronti. Il martedì e il mercoledì ci restava l’amaro in bocca perché avremmo voluto confrontarci con le grandi d’Europa. Ormai ci siamo».
I numeri dicono che lei non aveva mai giocato così tanto e bene. È la migliore stagione della sua carriera?
«Non lo so. Magari restando per anni nella stessa squadra è stato sempre dato tutto per scontato, mentre in questa stagione l’effetto novità mi ha fatto apprezzare di più».
Èarrivato qualche sms di complimenti dal Milan?
«Sì, quasi tutti gli ex compagni mi hanno scritto».
Berlusconi e Galliani?
«No».
Cosa pensa della terza stella della Juve?
«Non entro nel merito. Da avversario ho sempre pensato che la Juve avesse vinto quegli scudetti perché era molto forte. Furono campionati vinti sul campo».
A Trieste ha pianto.
«Lacrime di gioia: la vittoria è stata bella e intensamente voluta. Ci tenevo molto. Mentre piangevo ho abbracciato Buffon: dall’estate scorsa parlavamo di questo scudetto».
Lei non esce dal campo sconfitto in campionato dal 18 dicembre del 2010.
«Una sensazione bellissima, teniamo molto a chiudere la stagione imbattuti e a proseguire l’anno prossimo. E vogliamo anche la Coppa Italia: il giorno prima è il mio compleanno, sarebbe il regalo più bello».
Quando il Milan era volato a +4 a causa di tutti quei vostri pareggi, non ha temuto di non farcela?
«No, ero dispiaciuto perché pensavo di stravincere e invece ci saremmo dovuti accontentare di vincere».
Lei conosce bene l’ambiente Milan: quali sensazioni aveva quando i dirigenti e Allegri con tinuavano a parlare del gol di Muntari?
«Era il segnale che ci temevano, avevano compreso la nostra forza. Non erano più convinti di vincere».
H agiocato per anni a San Siro: lo Juventus Stadium regge il confronto?
«Nelle notti di Champions con 80.000 spettatori San Siro è uno spettacolo. Maper tifo, rimbombo ed effetto sonoro la nostra casa è molto simile: sono in 40.000 ma sembrano di più».
Lei non vuole fermarsi mai. L’anno prossimo, con la Champions, si rassegnerà a un po’ di turnover?
«Vedremo… Io voglio giocare sempre…».
È vero che si sente il doppio della forza nelle gambe?
«Difficile quantificare, ma di sicuro sto bene. Il nostro segreto è stata la preparazione atletica, non avevo mai lavorato così tanto in ritiro e anche durante la settimana».
Secondo Buffon, Pirlo è più decisivo di Ibrahimovic.
«Grazie… Ma abbiamo ruoli diversi: lui fa gol, io li costruisco».
Domenica ne costruirà uno per Del Piero?
«Mi farebbe felice. Ma poi non è detto che sia l’ultimo per Ale».
Con i rigori che si fa?
«Continuo a tirarli, non c’è problema».
A Milanello la vittima dei suoi scherzi era Gattuso. E a Vinovo?
«Matri: è lui il principale obiettivo».
Suo figlio Nicolò ha 9 anni. Per chi tifa?
«Per papà: prima era milanista, adesso juventino. Ha festeggiato lo scudetto e mi chiede già gli acquisti per la Champions».
Ha voluto il numero 21 anche qui. Nella Juve l’aveva indossato Zidane.
«Non potevo cambiare. Mio padre Luigi è nato il 21, io mi sono sposato il 21, quello era il numero del campanello a Milano e perfino del civico a Torino».
Qual è l’obiettivo minimo dell’Italia all’Europeo?
«La semifinale. Siamo forti e giochiamo per vincere. Il blocco Juve è una bella base da cui partire».
Andrea, è appagante vedere che nei momenti difficili i compagni la cercano per affidarle il pallone?
«È una bella sensazione, ma non pensi che loro possano scegliere. È obbligatorio che mi diano la palla. La voglio sempre io». Tanto poi qualcosa da farne la trova. E di solito si tratta di idee geniali.
Fonte: GdS (articolo a firma di G.B. Olivero)