Chiedo scusa ai pazienti, ma il passo d’addio di Alessandro Del Piero mi ha commosso. Lo so, non avrei dovuto: soprattutto in questo Paese, così facile alla lacrima, e soprattutto in questo momento, così duro, così teso. Salutando Godot, saluto vent’anni della mia vita, che non sono pochi. Mai dimenticherò quel gol alla Fiorentina: per me, il più bello di tutti. Era il pomeriggio del 4 dicembre 1994: lo inventò, letteralmente, strappandolo dalla nuvola di un cross.
Per una volta, permettetemi di guardare cosa c’è sopra e non cosa c’è sotto: gli applausi, la malinconia, l’emozione; non gli annunci, le interviste, i pissipissi. Giorno verrà. Liberissimo, ognuno, di pensarla come crede: con Ale titolare, la Juventus avrebbe pareggiato di meno e vinto di più; con Ale riserva, Conte ha vinto il campionato. Io la penso così: Del Piero sarà sempre un pezzo di Juventus che mi porterò nel cuore. E con il capitano, do idealmente il cinque a Filippo Inzaghi, Alessandro Nesta, Gennaro Ivan Gattuso, Gianluca Zambrotta, Clarence Seedorf, Marco Di Vaio: compagni di quel lungo e romanzesco viaggio che il calcio incarna e riassume più e meglio di ogni pretesto, di ogni trastullo.
Le bandiere non sono obbligatorie o indispensabili. Aiutano, però, a identificare le squadre, a incanalare la passione. Nel secolo scorso, quando esisteva il vincolo, ne sventolavano molte. Oggi, è più difficile. Resistono Francesco Totti e Javier Zanetti: al di là del tifo, lo sportivo se li tenga stretti. Mancheranno a tutti, come Del Piero.
Per entrare nella storia, bisogna uscire dalla cronaca: sono felice che sia finita così, con lo scudetto al petto e tutto lo stadio in piedi. La perfezione non esiste; lo stile, per fortuna, sì. Alessandro va per i 38, e il futuro, spaccato o aggiustabile che sia, non mi interessa. Mi basta il brivido che ho provato.
Riccardo Ric, io se avessi voluto comprarla avrei scritto scudetto numero trenta. Viceversa, voglio curarla, per questo scrivo scudetto numero ventotto. Preferisco i suoi sputi ai suoi (eventuali) baci. Se poi, dall’appello, uscirà una sentenza che annulla l’associazione a delinquere e capovolge il quadro, evviva. Come avevo riassunto, i suoi concetti non sono nuovi. Discutibli, ma rispettabilissimi. Ci mancherebbe.
Da sabato ad ora abbiamo dibattuto:
- sul concetto di “rispetto” delle sentenze e di come la Juve sia andata oltre il rispetto, avendo scontato la pena inflitta, anche grazie al non TAR. ( e lei dovrebbe essere sensibile a questa chiave di lettura)
- su quanto invece tale concetto di “rispetto” venga tirato fuori da chi ha beneficiato di situazioni privilegiate, facendola franca, quando invece doveva essere alla sbarra tanto quanto noi, e soprattutto assieme a noi
- di quanta disparità di trattamento vi sia stata, tale da rendere quantomeno “comprensibili” le rivendicazioni della Juventus,
- dello scandalo vero e cioè l’occultamento delle telefonate che nel 2006 ha falsificato, modificato il quadro generale, anche sul piano giuridico/sportivo
- di quanto tutto questo abbia, non foss’altro per spirito di reazione, comportato la santificazione della figura di Moggi nell’ambito della tifoseria Juventina e di quanto questo sia sbagliato, ma più che comprensibile. Ma la responsabilità non è dei tifosi Juventini, ma di tutti coloro che raffigurarono, nel 2006, una realtà che non esisteva
Ed invece lei esordisce, commentando, lo scudetto della Juve, parlando di nr. 28. E poi di podi di responsabilità e poi di Juve che meritava la C. E poi si lamenta se parliamo più di quello che non del gioco. E’ lei che ne ha fatto argomento di apertura,….
Beck, lei stasera la vede Toro-Sassuolo?
Da niccolò petrucci a niccolò prandelli
Niente, in Italia non ce la facciamo proprio a non fare la figura di quelli che tengono famiglia. E così capita perfino a Cesare Prandelli, brava persona e bravo Ct, che chiama il figlio Niccolò nello staff della nazionale, come preparatore atletico. “Che male c’è, se lo merita”. Ah, la meritocrazia. Dunque, Mister Prandelli: se fosse stata una scelta meritocratica, suo figlio – che ha 28 anni – avrebbe lavorato al Real non al Parma. Un giovane virgulto, Niccolò, che aveva iniziato lavorando tre anni col padre a Firenze. È davvero così bravo, Niccolò, da non poterne fare meno? Sarà. Quando avrà fatto vincere il Brasile facendola diventare una squadra tutta corsa, quando avrà portato in serie A una provinciale strabiliando tutti per tenuta atletica e fisica, allora, caro Mister Prandelli, le chiederemo scusa. Per adesso ci limitiamo ad annotare una frase a futura memoria: “auguro a tutti i padri un giorno di poter lavorare con i propri figli”. Noi ci limitiamo ad augurare a tutti i figli di poter lavorare, competendo ad armi pari sulla base di merito e competenze. Senza cognomi a fare alcuna differenza……Barbara
Caro Lex dove e quando ho scritto di essere contento?. Io il poeta lo vedo bene con il numero 10, basta che la maglia non è quella della Juventus.
A.D.I. associazione a delinquere istituzionale
L’azione di responsabilità verso i vertici Telecom, per le vicende legate ai dossier illegali e alle sim false «si è prescritta nel settembre 2011», cinque anni dopo le dimissioni, scrive l’Espresso. Così Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, non rischia più in sede civile…..
..L’istruttoria della Deloitte rivela che Telecom riceveva richieste di “dati telefonici riservati” anche da “aziende esterne”, tra cui società “collegate a Tronchetti”, come Inter, Olivetti e naturalmente Pirelli…
..L’attuale vertice di Telecom aveva affidato allo studio Paul Hastings l’incarico di valutare il rapporto Deloitte. Il verdetto sembrava negativo: secondo i legali c’erano tutti gli estremi per un’azione di responsabilità contro l’ex presidente Tronchetti e l’ex amministratore Carlo Buora, accusati di aver violato almeno tre dei quattro “obblighi generali di vigilanza aziendale”. Prima di decidere, però, il consiglio ha preferito sentire un altro esperto, il professor Franco Bonelli, che con un parere individuale di 19 pagine ha bocciato la proposta. Secondo l’autorevole avvocato, “le probabilità di condanna civile appaiono assai incerte” per “mancanza di precedenti” e per “difficoltà di provare specifici inadempimenti”: “L’aver gestito in modo inefficiente e dannoso non determina di per sé la responsabilità degli amministratori”. Una tesi che il board di Telecom ha approvato, il 16 dicembre 2010, con il solo voto contrario dell’economista Luigi Zingales. E così, almeno per Tronchetti, l’incidente è chiuso: l’azione di responsabilità “si è prescritta nel settembre 2011″, cinque anni dopo le dimissioni.
Non ci dobbiamo vergognare di vivere in un paese di mafiosi,ci dovremmo vergognare di non esserne a conoscenza….Barbara
Lex, mi permetta un giochino infantile sul numero dieci (eventualmente) a Vucinic: dura lex sed lex.
Per axl rose : il 10 da Del Piero al poeta……..contento tu……
Gentile Riccardo Ric, ho letto: mi sembrano più o meno i soliti concetti rimasticati. Ho letto male?
Ezio, quando dico che dite sempre le stesse cose, poi, per favore, non prendetevela con il Primario. Sulla guerra per bande, sulla Juventus, sull’Inter e Facchetti di Calciopoli 2, su Galliani e il suo preservativo, ho scritto, riscritto e prescritto. Uffa.
Ricapitolando: non vedo santi in galera ma qualche finto santo a piede libero.