Ammettiamo che fosse finita 1-1. Avrei scritto la stessa analisi. Certo, il massiccio turnover e l’errore di De Ceglie (ma anche la prodezza balistica di Taider). Momenti di calo: si gioca ogni tre giorni. Tutto ciò premesso, cosa sarebbe la Juventus, «questa» Juventus, con un attaccante alla Diego Milito?
Non è perfetta, la squadra di Conte, ma gioca sempre. Sempre. Quarantanove partite senza sconfitte, ventotto punti in dieci gare, uno in più dell’era Capello. Il Bologna ci ha messo grandi bende e qualche puntura. Un avversario cinico l’avrebbe sbranato già nel primo tempo. Cinica, la Juve lo è stata col Napoli. E stop. Le tracce che lascia Paul Pogba, classe 1993, sono del predestinato. Un gol al Napoli, un palo e la rete-vittoria con il Bologna; per tacere del palleggio e della visione di gioco. Marchisio e Vidal non sono più «soli». Caso Giovinco: senza l’assist al francese, l’avrei rincorso anch’io.
La Juventus tiene; l’Inter, all’ottava vittoria di fila, Europa inclusa, scavalca il Napoli. Neppure Stramaccioni ha passeggiato con la Sampdoria. Mi dicono che Ferrara abbia molto inveito contro il rosso a Costa e la dormita dell’assistente sul fuorigioco di Nagatomo, all’origine del terzo gol.
Sabato, Juventus-Inter. Conte ha sempre vinto in casa; Stramaccioni, sempre in trasferta. La Juve ha più gioco; l’Inter, più attaccanti (non come numero, beninteso). A proposito: Bendtner, lui, non è che abbia trasfigurato il reparto. Pick and roll, ma in area c’è e non c’è, Amleto di riporto.
La Freccia (giallo)Rossa che si ferma a Parma per far scendere la Roma racconta il Paese meglio di qualsiasi trattato. Non è bastato a farla vincere, ci riproveranno con Italo. Ennesima rimonta subìta. Miglior attacco (ex-aequo con la Juventus), peggior difesa: e poi dicono che Zeman è cambiato.
Per Franzò : mah….si potrebbe adattare?…..scarso non lo è……
ah..Robin…e che ne dite di tuttosport che sostiene il prossimo arrivo di David Villa?
Ciao dimas
Un amico mi ha offerto la tessera del padre che ha l’influenza ma non ho ancora risposto al suo invito.stasera e’durissima se non altro per la legge dei grandi numeri alla quale io credo molto.
Ultimamente sono stato n pO’impegnato ma non mi sono scordato il caffe’.
Ora mi sto guardando il chelsea su sky cosi tanto per stemperare un po’la tensione…
Guarda io credo che i curvaioli romanisti siano con il boemo ma la parte meno fanatica della tifoseria non lo voleva dall’inizio ed ora lo odia.ho un amico/ cliente romano che mi diceva dopo la partita con l’udinese:”…ci facciamo rimontare da un udinese senza mezza squadra dal 2-0 e sto ciarlatano parla di arbitri….”
Per MacPhisto : Robin l’ha piazzata pure oggi……
Era da Dante Alighieri che non leggevo poesie di rara bellezza :-))))))
Ma tu dici che anche i romanisti iniziano a stufarsi del bo(sc)emo*?
Sto bene Alex ma spero di stare meglio stasera intorno alle 23.
Dobbiamo sempre prendere un caffè io e te, passa quando vuoi.
Saluti
*il copyright è di Axl
Per dimasdumas e Leo45 : no no ragazzi! Niente vittoria onesta! Stasera o si ruba o si perde! E voi due non fate i furbi!…..e continuate lo sciopero della gnocca. Vi ricordo che c’è anche il mio figliul prodigo axl rose a darvi una mano…..anche se fa il finto tonto……
@Massimo Franzò.Guarda che lo so benissimo che il calcio funziona così il(e non solo il calcio),ma siccome il popolo dice che solo la Juve ruba e siccome sono anni che mi spacco i coglioni a cercare di confutare questa cosa, ho deciso da tempo di ammettere che ogni bruttura del calcio è da ascrivere unicamente a noi.
Noi siamo i cattivi gli altri sono buoni e il capo dei buoni è Moratti.
Saluti
( 1 ) – Enrique Omar Sivori : El pie izquierdo de Dios
.
Enrique Omar Sivori, argentino di San Nicolas dove nacque nel 1935 e morì nel 2005, è stato uno dei più grandi campioni a livello assoluto tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Rimanendo all’Argentina, è succeduto a Mumo Orsi, che con la Juve vinse cinque scudetti consecutivi negli anni Trenta; è stato contemporaneo, seppur di nove anni più giovane, del grandissimo Alfredo Di Stefano, che col Real Madrid vinse (fra mille trofei) cinque Coppe dei Campioni consecutive; e ha preceduto Mario Alberto Kempes, Diego Armando Maradona e Lionel Messi. Fra tutti questi super campioni l’unico intruso è sicuramente Kempes, ma il fatto di aver alzato la prima coppa del mondo per la sua nazione, quella del 1978, gli regala il diritto di entrare nel ristrettissimo Gotha.
.
Sivori non è passato alla storia per il suo palmares, che pure è ricco avendo vinto tre scudetti in patria col River Plate e altrettanti con la Juventus. Neppure per essere stato uno dei tre “angels con la cara sucia” (gli angeli dalla faccia sporca) con Angelillo e Maschio, un trio che seppe portare l’Argentina al successo nella coppa del Sudamerica del 1957 e che, secondo i biografi argentini, non avrebbe fatto nascere il mito del Brasile se si fosse ripresentato in campo alla Coppa Rimet del 1958 in Svezia.
.
Sivori è diventato Sivori perché mai prima e dopo di lui si è visto un giocoliere del gol irritante, un funambolo della presa in giro, un istrionico campione capace di far salire il sangue al cervello degli avversari per il suo atteggiamento beffeggiante nei loro confronti. Non si limitava a batterli, a superarli con il suo magico sinistro, sentiva il bisogno di umiliarli. Era il mago del tunnel del quale abusava per poi ridere dei malcapitati che lo subivano. Amava ed era capace come nessuno nel dribbling che ripeteva allo sfinimento prima di andare in gol allo stesso scopo: quello di prendere per i fondelli gli avversari . Come quando disse al portiere del Padova, Pin, sul 3-0, prima di battere un rigore: “Tranquillo, non voglio la goleada. Buttati a destra te lo tiro lì”. E poi lo impallinò a sinistra con quello che lo rincorse urlandogli di tutto.
Naturalmente un tipo del genere era quanto di peggio ci si potesse augurare di incontrare. Aveva un carattere impossibile, collerico, stizzoso, era l’incubo degli allenatori che non potevano imporgli mai un orario, per non parlare della disciplina. Questo suo modo di essere era allo stesso tempo la forza e il tallone d’Achille di Sivori, soprattutto con gli arbitri che non avevano alcun motivo per sopportarlo e che gli rifilarono infatti qualcosa come 33 giornate di squalifica solo in Italia.
( 2 ) – Enrique Omar Sivori : El pie izquierdo de Dios
…Un poquito de HISTORIA del “Cabezon”
.
chiamata Francia. A 13 anni passa al Teatro Municipal dove scala le varie formazioni e a 15 arriva alla prima squadra. Ma è già molto convinto di sé e sa che lì non arriverà mai da nessuna parte. Capisce che per fare carriera deve spostarsi, Buenos Aires è a 220 chilometri, Rosario un po’ più vicina, ma il provino è negativo. Ormai nella testa non c’è spazio per nient’altro. Salta la scuola e pure gli allenamenti, trascorre lunghi pomeriggi al cinema e tramite un allenatore cresciuto tanti anni prima nel San Nicolas attende un provino con l’Independiente.
Qualche giorno prima della fatidica data però proprio all’uscita del cinema incontra Nestor Galdame, un amico di famiglia, rappresentante di commercio, che lo riempie di lodi. “Bravo Omar, ti stai dando da fare. Se vuoi al River ho delle conoscenze per fare un provino”. Sivori ringrazia ma pensa al solito tipo che vuole darsi importanza. Invece quando due giorni dopo gli arriva la telefonata con cui Galdame gli dice di presentarsi il sabato successivo per un provino, quasi sviene. Il giovanotto dovrà dichiararsi a Renato Cesarini, l’ex juventino passato alla storia per la famosa “zona” omonima, diventato capo degli allenatori delle giovanili. I
l River Plate è una squadra organizzatissima nel settore, ogni anno visiona quasi cinquemila speranze e per ognuna una commissione di dieci tecnici stila la pagella. Alla fine i prescelti sono una decina non di più. Sivori gioca, colpisce due pali, ma è sicuro di non aver giocato bene. Infatti nove tecnici su dieci esprimono un giudizio negativo. Fortuna vuole che il decimo sia proprio Cesarini che gli dice: “Non disperarti, ti prometto che ti richiamerò”. Sivori ha imparato in fretta, non ha tempo di illudersi e pensa che anche quel treno sia passato. Invece tempo dopo arriva un telegramma a casa: “Presentati sabato ore 14 campo Talleres” e stavolta il giovanotto convince tutti: segna tre gol giocando con la squadra B che vince 5-2. Cesarini poi avrebbe dichiarato in un’intervista: “Mi colpì il suo modo unico di camminare, di correre in punta di piedi, la sensibilità con cui toccava il pallone.
E poi aveva gli occhi dietro la testa, mai visto uno con quella visione di gioco”. Ma il successo non arriva subito. A Buenos Aires però Sivori impara per la prima volta ad essere umile. Nel centro del River si danna ore e ore, mattina e sera, sul controllo del pallone. E quando non lo fa con quello regolamentare, ci prova con una pallina da tennis nel giardinetto della pensione dove abita. In campo si mette in mostra contro il Partizan di Belgrado e da lì, siamo nel 1955, diventa titolare.
L’escalation a questo punto è fulminea, vince titoli e va in nazionale. Nel 1957 il suo trasferimento alla Juventus (per 160 milioni, un record) rischia di saltare perché la federazione tenta di chiudere le frontiere in vista del mondiale dell’anno dopo, ma la rivolta delle società la costringe a fare marcia indietro (e fu un peccato per l’Argentina). In Italia Sivori è accolto come un sovrano, Umberto Agnelli arriva al casello di Legnano per accompagnarlo a Torino. In squadra al solito bisticcia con i compagni, Boniperti in primis, ma vince tre scudetti, il titolo di capocannoniere del 1960 con 27 reti, dopo aver già vinto due scudetti (il terzo l’anno seguente, quello in cui rifila sei gol all’Inter nel 9-1 del debutto di Sandro Mazzola con i nerazzurri in formazione Primavera per protesta) e sempre nel 1961 il Pallone d’Oro.
( 3 ) – Enrique Omar Sivori : El pie izquierdo de Dios
Quella volta che, il Gigante Buono…
.
Segna gol favolosi come quello al Milan dopo aver dribblato sei avversari in 10 metri, o quello alla Sampdoria in cui non pago di aver superato tre avversari e il portiere, attende il quarto (Guidone Vincenzi), fingendo di allungargli il pallone per poi ritrarlo come se fosse un gatto con un gomitolo di lana, e finalmente lo infila in rete quasi dalla linea di porta. Alla fine tutti i cronisti gli chiedono conto di quella giocata con cui aveva rischiato di vanificare un gol già fatto. Lui serafico rispose: “Io gioco per me stesso e per il pubblico. Chiedete ai tifosi se si sono divertiti”.
.
Aveva le sue manie, come quella di entrare in campo per ultimo o comunque da solo per acchiappare il tributo dei tifosi, così come il vezzo di segnare un gol prima del fischio d’inizio come rito propiziatorio. Giocava con i calzettoni arrotolati sulle caviglie (“perché mi danno un senso di libertà”) e grazie al suo connazionale Cucchiaroni evitò una squalifica a vita per aver tentato di aggredire l’arbitro Grignani in occasione di un successo della Samp a Torino nel 1962.
.
Un’altra volta, sempre per evitare danni del genere, Charles gli diede un ceffone fortissimo davanti a cinquantamila spettatori. Non fece una piega perché sapeva che il gigante gallese l’aveva fatto per il suo bene (e forse perché sapeva anche che Charles aveva vinto 8 incontri su 8 di pugilato prima di diventare calciatore e non era il caso di insistere). In otto anni alla Juve decise la sorte di sette tecnici: Brocic, Depetrini, Cesarini (tu quoque…), Parola, Gren, Amaral e Monzeglio. Gli andò male con “movimiento”, al secolo Heriberto Herrera o se preferite HH2, il paraguaiano che odiava visceralmente perché lo trattava come Roveta, l’ultimo arrivato.
.
Così nel 1965, accolto dalla fanfare e da uno stuolo di diecimila tifosi, arriva alla stazione di Mergellina a Napoli per la gioia del comandante Lauro che paga alla Juve 70 milioni e acquista due potentissimi motori Fiat per la flotta delle sue navi. All’ombra del Vesuvio in coppia con Altafini, porta la squadra neopromossa al terzo posto, e l’anno successivo al quarto. Tutti lo osannano, ma un precoce invecchiamento e vari problemi alle ginocchia gli faranno fare la comparsa nelle ultime due stagioni, fino all’inglorioso epilogo del 1 dicembre 1968. Il Napoli ospita la Juventus e la batte per 2-1 grazie a una doppietta di Montefusco che rimonta il gol in apertura del ventenne Anastasi, ma in campo ne succedono di tutti i colori.
.
Sivori, che gioca la sua terza partita stagionale e che qualche settimana prima ha segnato a Ferretti del Palermo il suo 147° e ultimo gol in campionato, subisce un brutto fallo da Erminio Favalli (II), lo juventino che poi diventerà un apprezzato diesse nella Cremonese portandola dalla C alla A. Sivori, che già era nervoso per la presenza sulla panchina avversaria dell’odiato Heriberto, sferra calci a destra e a manca. Con lui lo stopper Panzanato che per squalifica tornerà in campo solo nel girone di ritorno con la stessa Juve. L’arbitro Pieroni di Roma espelle il Cabezon e il giudice sportivo Barbè gli rifila sei giornate di squalifica. Omar, che non aspettava altro per levar le tende, annuncia il ritiro. Non prima però di aver dato un grosso dispiacere alla sua vecchia Juve e al tecnico paraguaiano, rispediti a Torino con una sconfitta. In seguito fu produttore del film “Il presidente del Borgorosso Footoball Club”, con Alberto Sordi, nel quale lui interpretava se stesso, quindi tornò in Argentina dove grazie alla Juve aveva ottenuto la rappresentanza dei veicoli commerciali della Fiat e dell’Iveco. Fu anche Ct dell’Argentina nel 1973 e opinionista televisivo.
.
Mi Buenos Aires Querida….
http://www.youtube.com/watch?v=tsAQZRYilFs