La conferma di Giancarlo Abete alla presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio è come un vino che sa di tappo. Chiami il cameriere e: spiacenti ma non c’è altro. Solo quella bottiglia. Solo Abete. Per carità, siamo il Paese che candida Luciano Moggi alla Camera, siamo quelli che Berlusconi libera tutti. Resta l’atto, dovuto e, dunque, scontato: 94,34 per cento dei voti. Un plebiscito. Il problema non è Abete. Il problema è che il calcio non abbia voluto o potuto esprimere un’alternativa. Certo, la Lega slegata andrebbe abolita, ma insomma: è dal 2 aprile 2007 che ci tocca l’Abetino, faccia un po’ lui (lui, il regime).
Democristiano nel senso più «demo» del termine, 62 anni, ex politico, ex di molto, fratello dell’eminentissimo e influentissimo Luigi, gran navigatore di mari in burrasca, da Calciopoli a Scommessopoli, sconfitto nella caccia agli Europei 2016, coniatore di slogan impegnativi («L’etica non va in prescrizione») e incompetente a tavolini alterni: Abete non è un riformista, è un «formista», aggrappato al cavillo, all’orpello, allo sbadiglio. Leggendario il suo lessico, ritagliato e intagliato su possesso parola, divergenze parallele (Andrea Agnelli & Massimo Moratti). Tutto giace, in attesa che venga quel giorno (quale, di grazia?), dal nuovo codice della giustizia sportiva alla legge sui centri commerciali (che Claudio Lotito chiama, curiosamente, «legge sugli stadi»). Evviva.
Ha confermato Stefano Palazzi per un altro quadriennio, vorrebbe portare la Nazionale allo Juventus stadium («ma non dipende da me», uhm). Neppure Zdenek Zeman si è illuminato d’immenso, a parlarne: «Abete non è mio nemico, ma nemico del calcio». Roma, città aperta (e svelta, quando serve), provvide immantinente alla rettifica.
Giancarlo Abete: sul suo regno non tramonterà mai l’aggettivo.
Ciao Michela…In “clinica” ci sono fino ad un certa ora…per cui ti rispondo poi…..quanto leggo per come sto facendo adesso! Leo
Buongiorno Martinello…Emanuele Gamba ha riportato quei dati e poi ha generalizzato sui 132 milioni spesi in tre anni da Marotta…Da quel giornale non mi aspetto mai una campagna favorevole nei confronti della juve, però ti devo dire che i numeri sono quelli. Di Marotta Ds sai come la penso però ho deciso non parlarne più..Già mi avete “rimproverato” in due: Te e, giorni fa anche, Dimas (anche se non in maniera diretta). Alla juve vorrei tutto perfetto…però non è così secondo il mio punto di vista. La comunicazione ed il settore “calciomercato” soffrono di intraprendenza mirata! Leo
Buongiorno a tutti. Ieri era ho visto la partita inter bologna. Non è che abbia tanta importanza, oramai il risultato è stato acquisito, però mi è sembrato che il goal del 3 a 2 sia stato viziato da un fallo di cambiasso sul portiere avversario. Si è trattato di una decisione “avversa” al bologna o mi sono sbagliato? Il tutto senza polemica…perchè le polemiche si fanno solo quando di mezzo c’è la juve….Leo
Sí sí, bravi e bla bla ma é un messaggio inutile per la tifoseria prescritta che é tra le piú razziste (e di matrice fascista, sebbene non sappiano neppure cosa abbia significato), e anche qui i suoi degni rappresentanti fanno della discriminazione il loro secondo scudo di cartone.. Il prescritto medio vede il busto del duce (a proposito sará per quello che i sostenitori della Pro Patria sono cosí tolleranti) si eccita e lo confonde con Peppino Meazza..
Poi il presidente si quello stello club liquida quelli di Busto con un durissimo “sono dei pirla”.
Razzisti, per voi cominciano tempi duri…
Comunque, dai via, una bella iniziativa…per provare a lavarsi la coscienza.
Bravo Scheda..mi lasci senza parole!Inoltre questa sera anche le sue due squadre l’hanno onorato con una gran bella partita!
Ottima iniziativa di Inter e Bologna
Pur sempre una lenzuolata no?
Bravissimo, Scheda Svizzera. Grazie a nome della Clinica tutta.
Árpád Weisz nacque a Solt, paesino rurale di circa 10mila persone, placidamente adagiato tra il lago Balaton e la capitale Budapest. Tira i primi calci nel Törekvés per poi approdare nell’attuale Cekia con il Maccabi Brno. Lo nota l’Alessandria, all’epoca nella massima serie italiana, che lo porta nella nostrana penisola. Árpád era un’ala sinistra alla Overmars, mancino doc e velocissimo, si serviva di questa qualità per sfuggire ai bodycheck avversari che tentavano di fermarlo. Dal Piemonte si trasferisce all’Ambrosiana Inter nel 1925. Con la maglia nerazzurra gioca 11 partite e segna 3 gol. Colleziona 7 presenze con la maglia della Nazionale magiara, nonostante la sua presenza viene oscurata dalla stella Rudolf Jeny.
Nemmeno 30enne, la carriera del gracile Csili, questo il suo soprannome ungherese (derivato da csípős =piccante) che testimoniava il suo carattere vivace e da peperino, venne conclusa da un tremendo infortunio alla gamba sinistra. Ma non si perde d’animo e decide di allenare, fa gavetta in Uruguay, Argentina poi Alessandria dove lavora nello staff tecnico diretto da Augusto Rangone, un maestro già trainer della Nazionale agli inizi degli anni 20. Nel 1926 diventa allenatore dell’Inter e causa leggi di disumana genesi, tragico preludio della sua ignobile fine, è costretto a cambiare il cognome in Veisz.
Mentre gli altri allenatori vestivano in giacca e cravatta, Weisz fu il primo tecnico in Italia a presentarsi agli allenamenti in pantaloncini e maglietta; fu coautore di un manuale, Il giuoco del calcio, che fu bestseller dell’epoca. Il suo credo di gioco era quello della “scuola danubiana”, un metodo impostato su precisi ed efficaci passaggi rasoterra. Mister Weisz poi ha il non trascurabile merito di lanciare in prima squadra a soli 14 anni un ragazzo, Giuseppe Meazza, “un mucchietto d’ossa dai piedi prodigiosi” lo chiamava. Lo fa debuttare a Como, in una partita contro l’Us Milanese valida per la Coppa Volta. Quando negli spogliatoi comunicò che il 17enne Meazza sarebbe stato tra i titolari, la star nerazzurra Leopoldo Conti esclama: «Ah ora facciamo giocare anche i Balilla?» (alludendo alla neonata Opera Nazionale Balilla, che raccoglieva tutti i bambini tra gli 8 e i 14 anni, ndr). Conti però è costretto a ricredersi subito, la partita finisce 6-1 e il “Balilla” Meazza segna una tripletta. Vince uno scudetto nella stagione 1929-1930. A soli 34 anni è l’allenatore più giovane della storia della Serie A laurearsi Campione d’Italia. Il record oggi resiste ancora.
Nella stagione seguente l’Ambrosiana finisce quinta, e la dirigenza milanese decide di non rinnovare il contratto a Weisz, che va a Bari. Dal Tavoliere fa però presto ritorno a Milano, tornando di nuovo all’Ambrosiana con cui conquista due prestigiosi secondi posti dietro una Juventus straordinaria. Weisz lascia definitivamente i nerazzurri alla fine della stagione 1933-34 collezionando in totale 212 presenze sulla panchina (lo supereranno solo Herrera, Trapattoni e Mancini). Passa al Novara e nel 1935 approda a Bologna al posto del connazionale Lajos Kovács. Lì Weisz trova una squadra in crisi, ma riesce a produrre un miracolo e conquistare lo scudetto spezzando così il dominio della Juventus degli Agnelli. La “squadra che tremare il mondo fa”, così passò alla storia quel Bologna. Altro Scudetto l’anno dopo e a Parigi, il 6 giugno del 1937, vince anche il Trofeo dell’Esposizione (una specie di Coppa Campioni ante litteram), impartendo una severa lezione ai maestri inglesi del Chelsea per 4-1 con la stampa inglese che lo celebra come maestro dell’arte tattica, “un inno al calcio”.
Ma la storia decide di scrivere il suo destino e le leggi razziali promulgate dal regime mussoliniano lo costringono ad emigrare. Il 16 ottobre 1938 Weisz si sedette per l’ultima volta sulla panchina del Bologna battendo la Lazio 2-0, tra i fischi belluini del pubblico, che con mentalità ovina segue i dettami del regime. Due mesi dopo si trasferisce a Parigi insieme alla moglie Elena, anche lei ungherese di origini ebraiche e i figli Roberto e Clara, ma la Francia viene catapultata nella follia antisemita, persino il capitano della Nazionale francese del 1930, Alexandre Villaplane, si fa coinvolgere diventando addirittura informatore per la Gestapo.
Poi prova in Inghilterra ma c’è posto solo per gli inglesi e non c’è possibilità di ottenere il Visto. L’unica soluzione possibile è l’Olanda, il Dordrecht che lo designa come allenatore della squadra cittadina, una delle società più antiche dei Paesi Bassi e prima dell’arrivo di Weisz si trovava in lotta per non retrocedere. Arpad la salva dopo uno spareggio e si dedica all’insegnamento del suo sistema. La stagione successiva il Dordrecht conquista un incredibile quinto posto (miglior risultato di sempre nella storia della società olandese, ndr), battendo addirittura il grande Feyenoord, purtroppo però la spirale di violenza nazista giunge anche lì. Nel 1940 i tedeschi invadono i Paesi Bassi, Árpád guida il Dordrecht per un’altra stagione, nonostante in Olanda fu promulgato un decreto ad personam che lo costringeva a stare ad almeno 100 metri dal terreno di gioco. Weisz allena spesso di nascosto tramite indicazioni recapitate con piccoli fogli dai suoi collaboratori, e il Dordrecht arriva ancora quinto, ma il 29 settembre 1941 le leggi razziali hanno il sopravvento e il tecnico ungherese è costretto nuovamente ad abbandonare la panchina.
La famiglia Weisz viene aiutata dalla comunità di Dordrecht, per tirare avanti in quel periodo buio, purtroppo però non si riesce a raccogliere abbastanza soldi per permettere loro di abbandonare il Paese e il 2 agosto 1942 l’intera famiglia Weisz viene prelevata dalla Gestapo e avviata ai campi di sterminio. Dopo una breve permanenza a Westerbork, il 2 ottobre vengono messi in viaggio: direzione Auschwitz-Birkenau. Il 5 ottobre sua moglie Elena-Ilona Rechnitzer, di 34 anni, e i piccoli Roberto e Clara, rispettivamente di 12 e 8 anni, trovano la morte nelle camere a gas. Árpád riesce con quella soverchia e misteriosa forza che solo questo genere di perdite genera, a resistere ai lavori forzati fino al 31 gennaio 1944 quando cessa di vivere e il suo corpo viene gettato in una fossa comune.
Questa è la atroce e insensata fine dell’esistenza di uno degli uomini più importanti della storia del calcio. Parlando di lui svaniscono come gli effimeri bagliori del tramonto le questioni legate ai vari Sneijder, Balotelli, Ibrahimovic e balena in noi la speranza di ritrovare un senso a un mondo che ultimamente ne è spoglio. Le innovazioni di Weisz e le sue tattiche hanno cambiato il modo di intendere questo sport, facendo fare un progresso determinante all’evoluzione del gioco, l’epilogo della sua vita ci fa sprofondare negli abissi delle contraddizioni umane. A Bologna e Milano viene ricordato con una targa negli stadi delle due città e la partita di stasera è un omaggio, minimo ma importante, per ricordare Árpád Weisz e la sua famiglia, e di quanto l’uomo possa rendersi protagonista di macabri orrori, spesso fugacemente archiviati come remoti accadimenti storici, ma che sarebbe opportuno tenere sempre vividi in un angolo della nostra mente.
a S.Siro le semifinali vanno a ruba….