Gianni Rivera compie 70 anni il 18 agosto. Un lettore l’ha paragonato ad Andrea Pirlo. Come geometrie sì: penso al lancio, al dritto smarcante, «nello spazio». Ma Rivera è stato di più, molto di più: regista, rifinitore, stoccatore e nel 1973, addirittura, capo-cannoniere; 17 gol, con Paolino Pulici e Beppe Savoldi, quando le squadre erano sedici e le autoreti una tortura.
Della sua generazione è stato il più raffinato e il più grande. Il più forte no: il più forte, per me, rimane Gigi Riva. Rivera riassume molti tratti della stirpe italica.
Il talento precoce: debuttò in serie A, con l’Alessandria, a sedici anni non ancora compiuti. Poi solo Milan.
Il compromesso fisico: aveva spalle banali, torace modesto, diventò l’«abatino» di Gianni Brera. «Più artista che atleta».
Il compromesso storico: le celeberrime staffette «messicane», con Sandro Mazzola e per sei minuti, in finale, con Roberto Boninsegna. Un po’ al governo, un po’ all’opposizione.
L’attimo fuggente: il gol d’interno destro nei supplementari di Italia-Germania Ovest 4-3, ai Mondiali messicani. La partita che ci fece nazione e non più gregge. Una svolta, non una semplice volta.
Il politico. Da capitano e dirigente del Milan, contro gli arbitri. Da pattista e deputato dell’Ulivo, contro Berlusconi. Mondo X, padre Eligio: calcio come confine, non come prigione.
Un tocco in più. In tutti i sensi, anche letterario. E’ il titolo del libro scritto da (e con) Oreste del Buono. «Qualcosa che mai avevamo visto, né, temo, rivedremo», chiosò Gianni Clerici, paragonandone l’epifania agli strilli geniali di John McEnroe.
L’anticonformista. Madrid 1969, finale di Coppa dei Campioni: Milan-Ajax 4-1. Allenatore, Nereo Rocco. Linea d’attacco: Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati. E lo chiamavano catenaccio.
Gentile Ezio, Platini è la moglie perfetta, Maradona (come Sivori) l’amante ideale. Ma in campo, ti assicuro, i giocatori del Napoli – loro, per primi – me ne hanno sempre parlato benissimo. Gli permettevano molto proprio perché poi, durante le partite, “ci pensava lui”.
Gentile Fiorentino, certo ricordo: come no. Però, sinceramente, trovo che – Messi e Maradona a parte – questo Barcellona sia più forte di quel Napoli. Lei non trova?
Gentile Beccantini, eludendo a vicenda Messi e Maragona, tra questo Barcellona e quel Napoli non ci può essere paragone in favore dei catalani. Il Barcellona la Champions League ha dimostrato di saperla vincere, mentre il Napoli aveva infilato solo figuracce.
Infatti in Coppa Campioni il Napoli nel 1987 venne eliminato subito dal Real Madrid e nel 1990 dallo Spartak Mosca, con Maradona in panchina per punizione perchè non aveva voglia di fare una trasferta così disagevole. Ricorda?
Continuo a dire che, dovendo scegliere, alla Juve avrei sempre preferito Platini a Maradona…….. ma mi sarebbe piaciuto vederli insieme, in qualsiasi squadra…..
non ci sono squadre che vincono solo con un giocatore, per quanto grande sia, ma senza Maradona non avrebbero vinto né “quel” Napoli né “quella” Argentina………
Grazie, gentile Fiorentino.
Certamente che l’avrei reclutato, gentile Beccantini. Faceva vincere.
Gentile Massimo, buon giorno. Più che al Napoli, come “solitudine di Diego” (il buon Cristiano mi perdonerà ), mi riferivo all’Argentina. E poi è chiaro: nel concetto di solitudine c’è un concetto forte, fortissimo, che non tradisco anche se so bene che il calcio si giudica in undici eccetera. Tanto per dire: prenda la Francia del 1984, quella che Michel portò al titolo europeo con nove gol in cinque partite. Ha presente il centrocampo? Tigana, Fernandez, Giresse, Platini, roba da Brasile alto, molto alto.
Torno alla rosa del Napoli. Nessun dubbio che il “supporting cast” ci fosse, e come, come c’era ai Chicago Bulls al tempo di Michael Jordan.
Domanda: quanti, dei giocatori da lei citati sarebbero stati candidati plausibili per il Pallone d’oro, tranne Careca? A naso, tanto per fare quei salti che Gianni Clerici detesta, nel Barcellona di Leo Messi, “figlio” di Diego (a sua volta, “figlio” di Omar Sivori) c’è Iniesta, c’è Xavi. C’è stato Eto’o. C’è stato Ibrahimovic.
Nel rispetto totale della sua opinioni, credo che Maradona sia stato il più grande e che, con la testa di Platini, avrebbe rivinto e stravinto, non solo vinto, tutto quello che si è aggiudicato.
Buongiorno Gentile Fiorentino infatti la penso come lei..
Buon giorno, gentile Massimo Franzò. Vincere da solo sì, ma non del tutto. Il Napoli era soprattutto Maradona, ma non solo Maradona. Crippa. De Napoli, Careca, Alemao, Carnevale, solo per citarne alcuni, dove li mettiamo?
Gentile Fiorentino, la perdono? L’applaudo. Da Gianni Minà in su e in giù molti, quando Diego era il re, gli perdonarono troppo.
Quanto, viceversa, alle ultime righe, uhm: “Sì, ragionando tecnicamente l’avrei voluto, ma umanamente ne avrei fatto a meno molto volentieri”. E’ una non risposta: io l’avrei reclutato comunque, lei?