L’associazione a delinquere ha resistito anche alla prova del processo d’Appello, al di là degli sconti, a Moggi and friends, dovuti alle frodi prescritte. In realtà , del misto «mafia-P2» cucinato da Narducci non è rimasto molto: gli iniziali 48 indagati si sono ridotti a una decina tra cui i tre arbitri condannati. Un po’ pochi, forse, per disporre di campionati interi (e comunque non alterati: Casoria dixit).
Tra costoro, credo che una menzione particolare la meriti l’ex arbitro Dattilo, condannato per aver espulso, su segnalazione di un guardalinee mai indagato, un giocatore che aveva colpito con un pugno un avversario e per aver ammonito, in maniera fraudolenta, secondo l’accusa, tre calciatori diffidati per non farli giocare la domenica successiva contro la Juventus. Solo che non erano affatto diffidati e, dunque, giocarono regolarmente.
La parte del leone sembrerebbe che continuino a farla le famigerate schede svizzere, nonostante gli avvocati difensori si siano affannati a convincere i giudici che, al netto dello spionaggio «elvetico», sarebbe bastato rincorrere conversazioni banalmente «italiane» per rendersi conto dell’aria che tirava, in quegli anni, attorno alla cosiddetta «cuopola». Lo documenta l’ultima scoperta del consulente di Moggi, Penta: il colloquio fra Racalbuto e Meani trascurato o sfuggito ai radar dei pm.
Per Bergamo è stato disposto l’annullamento della condanna, con rinvio a nuovo processo, per difetto di possibilità di difesa. Rimane il mistero sulle ragioni che, a parità di accuse, abbiano portato all’assoluzione di tutti gli arbitri che avevano scelto il rito abbreviato.
La «mia» guerra per bande esce sbriciolata anche dall’Appello. I dubbi non scacciano il rispetto, e viceversa. Sono curioso di leggere le motivazioni. Molto curioso. E poi la Cassazione.
C’è una storia strana da leggere fra le righe della sentenza d’appello di del processo Calciopoli. Una storia che va al di là di quello che ognuno può pensare sulla colpevolezza o innocenza di Luciano Moggi, personaggio principale della commedia (o farsa come sostengono molti). E’ la storia di Antonio Dattilo, ex arbitro, condannato a dieci mesi per associazione a delinquere. Il perché della condanna verrà forse spiegato dalle motivazioni della seconda sentenza, ma adesso resta un mistero. E mica tanto buffo.
Dattilo, il 26 settembre 2004 arbitra Udinese-Brescia. Secondo chi indaga va come “killer” della cupola moggiana con l’ordine di ammonire i diffidati dell’Udinese e decimare la squadra friulana in vista della sfida con la Juventus. E in quella partita, effettivamente, Dattilo ammonisce tre giocatori dell’Udinese, così che gli ineffabili inquirenti segnalano quei tre gialli come prova inconfutabile della sua colpevolezza. Peccato che i tre ammoniti non siano diffidati e la domenica successiva, scendano regolarmente in campo contro la Juventus.
Vabbè, incassa l’accusa, ma c’è sempre l’espulsione di Jankulovski! Giusto, in quella partita, Dattilo espelle il giocatore ceco, che salta la sfida con la Juventus. Peccato però che: 1) l’espulsione viene comminata per un pugno in faccia a un avversario (è giusta, insomma); 2) l’espulsione nasce dalla segnalazione del guardalinee Camarata, mai nemmeno indagato nell’inchiesta. Chiamato come testimone in primo grado proprio da Dattilo, Camarata ricostruisce la vicenda, sotto giuramento, spiegando che è stato lui a segnalare l’espulsione a Dattilo, che non si era accorto del gesto violento di Jankulovski.
Di tutto ciò prende atto la giudice Casoria, che depenna le due prove a carico di Dattilo, ma lo condanna lo stesso, valorizzando nelle motivazioni della condanna un contatto , fra la scheda telefonica svizzera che, secondo la ricostruzione degli inquirenti era in possesso di Dattilo, e quella di Moggi: un anno e tre mesi, più 25.000 euro di multa.
Ora, al di là del fatto che Dattilo sostiene di non aver mai posseduto la scheda svizzera, il problema è che da un esame più attento delle carte (quello che avrebbe dovuto fare anche l’accusa) risulta che il contatto in questione ci sia, ma il 12 novembre 2004, ovvero due mesi dopo la partita! Errore che si chiarirà facilmente in appello, pensano i legali che credono di trovarsi di fronte a un caso piuttosto semplice. E, invece, Dattilo viene condannato nuovamente in appello. Il perché resta un mistero da risolvere entro i 90 giorni che i giudici si sono presi per scrivere le motivazioni. Intanto Dattilo si è beccato 10 mesi: “forse perché la sua condanna è funzionale a reggere quella di Moggi”, spiega il suo legale Alessio Palladino. E, in fondo, anche quella di Giraudo, condannato con il rito abbreviato per una sola partita: Udinese-Brescia.
Intervengo, nessuno è mai stato chiuso in uno spogliatoio…………
oppure pensi al suo collega Scardina, poteva capitare anche a lei, sa….e non mi dica..” è stato assolto”, lo so, ma pensi a quel che ha dovuto passare. E poi continui a fare il tifo per Narducci..convinto lei…
Ho sempre pensato che Lei, signor Beccantini, sia la più bella penna dello sport italiano. Peccato che se ne compiaccia al punto di accontentarsi di essere questo.
ecco…questa e’ la giustizia italiana, ma cose se fa’ a fare un processo di sequestro persona perche’ uno…non moggi, ma uno tizio qualsiasi chiude all’interno di uno spogliatoio un’altra persona ??? e non mi si risponda dell’obbligatorieta’ dell’azione penale…
Gentile Axl Rose, buon giorno. Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere. ( Jules-Henri Poincaré).
Scritto da Roberto Beccantini il 19 dicembre 2013 alle ore 09:59
concordo, difatti lei dubita di tutto, e non riflette, con una leggera, ma nemmeno troppo leggera, sfumatura a credere a Narducci e Palazzi e compagnia cantante. …
Scritto da Roberto Beccantini il 19 dicembre 2013 alle ore 08:58
Buonanotte….più rigori??????????? dove? come? quando?
Sig. Beccantini, so di essere noioso, ma voglio aiutarla a riflettere. C’è una telefonata in cui Moggi dice di aver chiuso Paparesta nello spogliatoio di Reggio Calabria. Qualche minuto dopo ce n’è un’altra in cui Moggi dice che avrebbe voluto chiudere Paparesta nello spogliatoio di Reggio Calabria. Sulla prima è stata costruita tutta una leggenda, costataci la serie B e ed è stato istruito un processo a Reggio Calabria con l’accusa per Moggi di sequestro di persona. La seconda semplicemente non c’era. Per me la situazione era gia’ chiara a questo punto, lei rifletta ancora.
Qua gli unici riflessi sono quelli condizionati, pavloviani: “tengo famiglia”
Sig. Beccantini, nessuno le vieta di riflettere, ma dopo 7 anni di riflessioni, una decisione sarebbe auspicabile.