Vi consiglio un libro di Jonathan Wilson: «Il portiere». Racconta l’evoluzione del ruolo dall’alba del calcio fino ai vincoli blatteriani sul retropassaggio. E oltre, molto oltre. Mi sono venuti in mente, il libro e il portiere, guardando Manuel Neuer nel corso di Germania-Algeria, vinta con merito dai tedeschi e persa a testa altissima dagli avversari.
Non c’entra la quantità delle parate: se è per questo, M’Bholi ha parato molto di più. E sia Ochoa del Messico sia Navas di Costa Rica hanno toccato, con i loro avvitamenti, picchi romanzeschi. C’entra la maniera in cui Neuer ha fatto il portiere. Da autentico «Outsider», che è poi il titolo originale del tomo di Wilson.
Neuer ha 28 anni, pesa 92 chili ed è alto 1,93. Come stazza, mi ricorda Peter Schmeichel, il ciclope del Manchester United e della Danimarca. Montagne di ciccia, entrambi. E la porta, dietro di loro, minuscola come la cruna di un ago.
Questa è la fotografia. Adesso comincia la filosofia. Per il modo in cui la squadra di Loew si propone – o almeno, per come si è proposta contro l’Algeria – Neuer ha giocato da battitore libero. Fuori area: molto fuori, spesso. Una sorta di carro attrezzi a disposizione di difensori non proprio impeccabili, e comunque insidiati dai ribaltoni altrui. Neuer è riuscito addirittura a trasformare un mezzo errore in presa, al culmine di una bolgia dantesca, in un assist chilometrico per Thomas Muller. Tu chiamali, se vuoi, riflessi.
Sembrava Jan Jongbloed, il portiere tabaccaio dell’Olanda totale di Rinus Michels e Johan Cruijff. Tackle scivolati e mirati. Piedi prensili e non sbiroli. Visione di gioco da regista arretrato, più che da portiere avanzato. Il tutto, senza il benché minimo orpello higuitiano. Alla tedesca.
Di solito, queste analisi portano una iella pazzesca. Lo so. Ma so anche che Neuer la meritava.
Ha voglia il Sig. Beck di ironizzare sulla cosiddetta “sartina”.
Questo articolo, scritto presumibilmente 42 secondi dopo aver udito le telefonate (quelle sì opera di un atelier prêt-à -porter) o magari un decennio prima e costudito gelosamente nel cassetto, non analizza.
Sentenzia, appunto 42 secondi dopo….
Alla faccia del tormentone beccantiniano verso di noi sul “Ho molti dubbi…siete voi che non ne avete”.
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PERLE D’IMMORALITA’.
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Anyone want to analyze this. Please?
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EDITORIALI
05/05/2006 – UNO SPACCATO DEL PAESE
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Il fango e la gloria della Juve
DI ROBERTO BECCANTINI
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Questo è fango. E la difesa dagli schizzi, in Italia, è il lancio di altro fango: bilanci gonfiati, rolex agli arbitri, fidejussioni taroccate, passaportopoli. Scagli il primo scheletro chi è senza peccato.
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Si dice così – e, soprattutto, si fa così – nei Paesi in cui l’etica è una variabile sin troppo dipendente. La spazzatura telefonica che ha coinvolto Antonio Giraudo e Luciano Moggi va raccolta dalla melma per quella che è: una pugnalata al cuore della Juventus e della sua storia.
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Vero, non ci sono gli estremi dell’illecito sportivo, e i tempi fanno pensare a un’operazione che, di sicuro, non avrà messo di cattivo umore il Milan. Il punto è un altro. La Triade governa dall’estate del 1994. Ha risanato le finanze del club e vinto tanto, con meriti non inferiori alle ombre.
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Il pressing di Guariniello – unico, nel suo genere – ha indispettito il vertice e la curva. Prima il doping (con assoluzione in appello e ricorso dell’accusa in Cassazione), adesso le cimici. Non ho mai creduto al complotto: se mai, a un procuratore troppo zelante in rapporto alla pigrizia dei suoi colleghi, e a dirigenti troppo disinvolti.
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Se questo è il prezzo del successo e della quotazione in Borsa, tanto vale rifletterci su. La politica del «tutto e subito» ha costi che erodono i ricavi, anche se non sembra.
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La volgare arroganza e quel senso d’impunità che emergono dai nastri danno il voltastomaco.
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Gli arbitri fanno gola a tutti, Moggi ha studiato alla scuola di Italo Allodi, ma c’è modo e modo di diffonderne l’eredità .
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Il moggismo ha fatto più danni di cento battaglie vittoriose. La proprietà ne tenga conto.
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Essere juventini, oggi, non deve rappresentare un peso; e neppure un marchio.
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Un secolo di gloria non si baratta con un piatto di guardalinee. Chi considera la Juve l’unica meretrice in un harem di vergini, ha la coda di paglia.
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Nello stesso tempo, non ci si può sempre attaccare a quello che di malvagio fanno gli altri e giustificare eventuali protervie come una sorta di difesa preventiva.
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Soprattutto se, come nel caso della Juve, si avrebbe il potere e il dovere di pilotare la bonifica del calcio italiano, la cui credibilità ha toccato i livelli, infimi, di una repubblica bananera. E in un calcio poco credibile, la prima a rimetterci è la squadra che vince di più.
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Noi giornalisti abbiamo responsabilità enormi, legati come siamo alla ferocia del risultato e alla prepotenza della tiratura. Sotto i nostri computer è passato di tutto.
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Domenica, la Juve ospiterà il Palermo e il Milan sarà di scena a Parma. Potrebbe «nascere» lo scudetto numero ventinove.
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La bufera telefonica rischia di sporcare la possibile festa e riscrivere il futuro societario.
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Ogni tifoso vorrebbe che la sua squadra fosse superiore a tutto, ma è pronto ad accontentarsi che sia superiore a tutti.
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Lo juventino non chiede la luna e invia un messaggio a Giraudo e Moggi: se proprio non ce la fate, siate almeno superiori ai Pairetto e alle amichevoli d’agosto.
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http://www.lastampa.it/2006/05/05/cultura/opinioni/editoriali/il-fango-e-la-gloria-della-juve-vaB9p1OIgzb4TIe7SZn7xK/pagina.html
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Azzeccata anche la seconda semifinalista.
Eh vabbe Ezio, questo non lo puoi sapere. Ma le competizioni ad eliminazione diretta questo sono, il campionato e’ più vero (limitatamente alle squadre che vi partecipano…), ma vanno saputi affrontare anche questi tipi di tornei, richiedono certamente un approccio diverso, ma e’ pur sempre calcio, vero, ed esistono da sempre…
certo che se io fossi il regista, o il romanziere, scriverei una finale Brasile Argentina, con sconfitta dei brasiliani ai rigori…………