Mi piaceva il Massimiliano Allegri di Cagliari, capace di risorgere da cinque sconfitte. Un po’ meno, la versione milanista. Trovò Ibrahimovic e Pirlo, si tenne stretto il primo e lasciò andare il secondo. Posso perdonare la ghigliottina (fino a un certo punto, almeno), non però la nebbia sull’erede (Van Bommel, Ambrosini, De Jong, Montolivo?).
Nella scelta di Conte, il mercato non c’entra: sarà, ma non ci credo. Capisco lo stress che comporta sporgersi un po’ più in là del Bosforo: resto però dell’idea che con Cuadrado, Sanchez e magari Iturbe, passato alla Roma, Antonio avrebbe raccolto stimoli sufficienti per sfidarsi ancora.
Non resta che attendere. Che ne sarà di Pogba e Vidal: via entrambi o solo il cileno? Allegri prese in mano un Milan che era arrivato terzo. Galliani vi aggiunse Ibra e fu scudetto. Diverso il panorama della Juventus. C’è il nodo Pirlo, c’è il problema della pancia piena. Qui si parrà la nobilitate della società e del mister, il meno caro tra i papabili e più aziendalista di Antonio.
Il suo avvento mi ha riportato all’Ancelotti post Lippi: gli ultrà gli diedero del maiale. Ad Allegri, in conferenza, non sono state poste domande sul numero degli scudetti e sul gol di Muntari. Lo considero un passo avanti.
Va da sé che i cicli degli allenatori, al di là delle risorse disponibili, si sono drasticamente accorciati. Le dieci stagioni juventine del Trap e le dieci veronesi di Bagnoli fanno parte di un altro calcio. Prendete Mourinho: tre anni al Porto, tre e un pezzo al Chelsea, due all’Inter, tre al Real. E poi Guardiola: non più di quattro al Barcellona. Ancelotti, lui, due al Chelsea e due a Parigi dopo otto di Milan. Simeone è all’Atletico dal 2011, Klopp a Dortmund dal 2008, Wenger all’Arsenal addirittura dal 1996.
Il futuro è un posto diverso, non necessariamente migliore. Ma vale sempre la pena di esplorarlo.
Il timore che ho, pensando ad Allegri, è che si limiti a gestire, convinto di avere comunque la squadra più forte, in Italia, ingraziandosi magari la c.d. “vecchia guardia”. Sarebbe l’errore più grosso che potrebbe commettere. Dopo che hai attraversato uno come Conte, per tre anni, che guardava il campione con gli stessi occhi del giovanotto della primavera e che anzi, semmai, dal campione affermato pretendeva di più, la “vecchia guardia” tende a debordare, ancor più se percepisce che l’allenatore si affida a lei. Come accadde con Ranieri, e poi con Ferrara.
Allegri dovrà metterci del suo e imporre le proprie idee, Pirlo o non Pirlo. Se lo farà avremo possibilità di nuovo successo in campionato ed un buon percorso in champions, altrimenti prepariamoci ad una stagione all’asciutto.
Concludo: è inutile contestare Allegri ora. Credo sia giusto lasciarlo lavorare in pace, per il bene dell’ambiente e dei calciatori. Si giudicheranno i risultati e conseguentemente l’operato della società.
Scritto da barbabianconera il 18 luglio 2014 alle ore 09:29
Si? Ma davvero? Esattamente come quando tu da luglio scorso ci frantumavi i coglioni sulle critiche preventive a Llorente senza ‘lasciarlo lavorare in pace sul campo’… ‘a barba… eddai su.
MacPhisto.
Quindi un buon attaccante per il Toro. Mi fa piacere…
Ma ho paura che questa buffonata, qualche segno la lasci, qualche strascico.
Vedremo. Per come la vedo io, contraccolpi e disorientamento a parte, non è facile per nessuno degli attori, resettare tutto al 16 luglio.
Scritto da Luca G. il 18 luglio 2014 alle ore 11:58
Concordo. E alla grande pure. Non è la prima volta.
Un saluto a Quagliarella, secondo me buonissimo attaccante dai gol ‘europei’ inequivocabili e trattato maluccio da Conte in passato.
Quanto è vero sig. Beccantini!! L’ho capito in questi due giorni, faccio ammenda, aveva ragione. Giornalai fino a ieri tacciati di appartenere alla peggiore specie vivente sulla Terra, oggi diventano i 4 evangelisti.
Beccantini, buon giorno.
Quagliarella al Toro. Talvolta può capitare che i poveri riescano a prendere qualcosa ai ricchi. E’ un attaccante che mi piace abbastanza.
Gentile Lex, le uniche verità che rispettiamo sono le verità che ci piace costruire. Tutto il resto, noia.
Parlare di sorpresa è lecito per chi li legge, i giornali. Non per chi li fa.
Il “fulmine a ciel sereno” può colpire il sottoscritto, o anche un Buffon in altre faccende distratto, non chi lavora H24 sui retroscena del calcio giocato.
Perciò le improvvise, impreviste, clamorose dimissioni di Antonio Conte sono una lapide sul senso stesso della stampa sportiva italiana. Tanto vale leggere gli aggregatori di notizie, almeno sono gratis.
Mi torna in mente una frase di Alessandro Donati, l’allenatore che ha scoperchiato la pentola del “doping di Stato”, ben prima della famosa intervista di Zeman sul calcio che doveva uscire dalle farmacie. Scriveva Donati: “la quasi totalità dei media dello sport sono dei semplici e ripetitivi narratori dell’apparenza”.
Una stampa sportiva che ci fa sapere quanti tweet spedisce giornalmente Icardi – peggio: che vuol farci credere che l’Inter gli ha dato un ultimatum: entro un mese si deciderà se è affidabile, dunque si comprerà una seconda o una prima punta – e che Barbara B. ha fatto pace con Adriano G., uniti nel nome di Superpippo, è già abbastanza squallida.
Ma “bucare” una notizia come le dimissioni dell’allenatore per tre volte campione d’Italia, senza averne dato il minimo preavviso, fa concludere che la diserzione delle edicole – temo non solo per la stampa sportiva – ha fin troppe ragioni. Mi rifiuto di credere che nessuno sapesse: piuttosto, chi sapeva, ha scelto di non pestare i piedi alla Vecchia Signora, magari in cambio di qualche indiscrezione “esclusiva” sul successore di Conte.
Giornalismo embedded.
Il risarcimento è finito minchioni , tre scudi x un anno in B. Non lamentatevi e sucate l acciughina ladri pelosi e piagnoni.
Scritto da scheda svizzera il 17 luglio 2014 alle ore 23:12
A fine stagione si fanno i conti, brutto pezzo di merda. Per adesso: suca il -30, coglione.