«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!». Così il sommo Dante fotografò, non proprio ieri, un certo Paese – e, verrebbe da aggiungere, una certa Federazione – nel canto VI del Purgatorio. E’ stato un mese di bucce di banane (il caso Tavecchio) e di bandane (il caso Pantani). Domani il calcio vota l’erede di Giancarlo Abete. Come sarà (o sarebbe stato?) nei voti, i duellanti sono Carlo Tavecchio, grande favorito, e Demetrio Albertini.
Giovanni Malagò, presidente del Coni, non ha escluso sorprese. Gli schieramenti sono chiari, come è chiaro il problema: le fette della torta, non la torta. Idee, poche. Ideali, zero. Tavecchio ha 71 anni, Rupert Murdoch 83, Silvio Berlusconi 78 a settembre: l’età dovrebbe non contare (o sì?).
Non si parla di programmi. Si parla di ritiri sincronizzati (se no, ciccia). Albertini va per i 43 e puzza anche lui di Palazzo. Ho trovato di una ruffianeria smaccata il paragone Hd/bianco-e-nero. Dietro Albertini c’erano Agnelli e Pallotta. L’hanno abbandonato al grido di: muoiano i filistei con tutti «i» Sansone. Juventus e Roma non possono vedere Tavecchio, sul quale, improvvisamente, è fiorito di tutto: da sentenze facilmente reperibili ben prima dell’uscita su Optì Pobà a slogan e battute di spirito bossiano, in archivio da lustri.
La maggioranza regge lo strascico di «Taold». Su tutti Carraro, Galliani e Lotito: la confederazione generale delle Lobby, la nuova Cgil. Sono per un commissario straniero che riscriva le regole senza cambiali da pagare (il grande limite di Ta & Al). Nessuno vuole un calcio diverso e possibilmente migliore. Tutti vogliono il «loro» calcio. Con meno responsabilità oggettiva e il presidente prigioniero. Mica scemi.
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Nel suo editoriale per calciomercato.com, il giornalista de “L’Unità”, Marco Bucciantini, critica la scelta di Massimiliano Allegri di puntare ancora sul modulo-Conte. Ecco le sue considerazioni:
“Bisognerebbe ricominciare dal numero 2, dal terzino destro – come avremmo detto un tempo. L’Italia non li “fabbrica” più, sono spariti, per mancanza di vocazione, per eccesso di stranieri, per sacrifici tattici.
Quando andavano forte, quelli di destra erano i terzini marcatori (mentre spesso a sinistra giocava il fluidificante): molte squadre avevano all’attacco il tornante a destra (il 7) e le due punte con il 9 e l’11. La difesa a zona liberò il terzino destro dal lavoro sull’uomo, e così cambiò anche il nome: esterno di difesa, o esterno basso. Ma nelle formazioni che si annunciano titolari il prossimo anno, in serie A ne giocano appena 5-6 di passaporto italiano. E nessuno nelle squadre che hanno concluso ai primi cinque posti lo scorso torneo. È un problema vero e non solo statistico perché mortifica i giovani italiani (a danno della Nazionale) e racconta del perdurante uso del modulo con i tre difensori, causa-effetto di questa povertà di giocatori di ruolo: si è costretti a rinunciare agli esterni bassi perché ce ne sono pochi, e la loro rinuncia non permette ai giovani di misurarsi (e crescere) in quel lavoro. Juventus, Inter, Fiorentina, Torino, Genoa, Udinese e Palermo giocano (dovrebbero giocare) con i tre centrali. Le prime quattro ci rappresentano nelle coppe europee, con Roma e Napoli: quest’ultime due hanno una coppia di esterni bassi straniera (Maicon-Cole, Zuniga-Ghoulam). In sostanza, non proponiamo nessun italiano di ruolo nelle squadre che si misurano con le più forti del continente. Il Torino ha Darmian, ma con compiti più “liberi” rispetto all’allineamento a quattro. Le altre, solo stranieri (anche a sinistra).
Difendere a quattro è fondamentale per attaccare in ampiezza. Non è un ruolo tecnicamente complesso, ma tatticamente è decisivo. Ormai quasi tutte le grandi squadre hanno i migliori giocatori sulle ali, i maggiori campioni (i più ricercati, i più costosi) cominciano l’azione dall’esterno, verso la porta: Ronaldo e Bale, Neymar e Messi, Ribery e Robben, per citare solo le squadre più forti in circolazione. Ma per permettersi due giocatori ai lati del centravanti (falso o vero “nuove” che sia), serve la difesa a quattro, proprio per avere le distanze giuste dietro ai fenomeni. E al di là dell’assemblamento degli attaccanti, questa è stata “l’indicazione” delle squadre vincenti in campo internazionale: di tutte, il minimo comune denominatore era proprio l’allineamento a quattro davanti al portiere. A “quattro” giocavano le ultime dodici vincitrici della Champions e anche dell’Europa League. Tutte. E nessuno si faccia abbindolare da Van Gaal, il dogmatico tecnico olandese che ai Mondiali ha proposto un’inedita Olanda con cinque difensori (e sembra voler fare altrettanto con il Manchester Unites): i movimenti in campo in fase di possesso palla trasformano le squadre di Van Gaal secondo schemi consueti, con due coppie di esterni per ogni fascia.
Ad insistere sulla difesa a tre sono invece le italiane. Questa è anche stata la lacuna maggiore della nostra squadra più forte, la Juventus, che in Europa ha faticato a vincere le partite per la difficoltà a penetrare in area di rigore con soluzioni ampie al di là dello schematico gioco dei due attaccanti – punta centrale, punta che gira attorno – e le incursioni al centro di Vidal e Pogba, sempre negli spazi liberati dai movimenti del centravanti. Una squadra così dominante poteva (forse doveva) avere il coraggio di proporsi con attaccanti esterni e non terzini spinti fino in fondo al campo, lavoro che Licthsteiner e Asamoah hanno fatto molto bene, ma la loro somma di gol e assist è risibile rispetto alle coppie sopra elencate. La Juventus è sembrata cercare giocatori che aiutassero questo cambio tattico (Cuadrado, Iturbe) ma poi sembra essersi “arresa” all’abitudine, gratificata e rincuorata dai recenti record. Resta il dubbio che un po’ di classe sulle ali avrebbe accorciato il divario con le grandi d’Europa, ma quella merce è la più cara da comprare. E avrebbe chiesto un salto di qualità in difesa, dove il terzetto titolare è superbo in Italia, ma assai meno solido superata Ventimiglia, come dimostrato in Nazionale. Allegri invece sembra battere strade già conosciute e vincenti in Serie A, ma perdenti a livello europeo.
Oltre al discorso tattico c’è anche l’annoso problema del serbatoio autoctono, che sembra al lumicino. I nostri dirigenti sono in competizione per fare peggio: beati loro. Nello shopping compulsivo (che serve anche a manovrare i bilanci) le squadre di Serie A si sono intasate anche di terzini stranieri. Invece di destinare la spesa di qualità per i ruoli decisivi, e magari prodursi in casa almeno questa manovalanza, si preferisce comprare, comprare, comprare: la media acquisti delle nostre società è doppia rispetto alle squadre dei campionati stranieri, senza nessun guadagno di competitività. Questo il paradosso che condanna la classe dirigente del nostro calcio.
E così una buona coppia di esterni bassi (Donati-Santon), entrambi “allevati” dall’Inter, sono stati venduti all’estero, e valorizzati a Leverkusen e Newcastle: quando i nostri direttori sportivi hanno provato a riportarli in Italia, anche recentemente, si sono visti chiedere prezzi almeno doppi a quelli che furono incassati nella vendita. Santon (23 anni) cominciò alla grande, eppure bastarono un paio di stagioni minori, tipiche in molti percorsi di crescita, per considerarlo perduto. Donati (24 anni) invece furoreggiava nelle rappresentative giovanili nazionali, per poi essere costretto a cercare minuti in Serie B, fino all’esplosione in Germania, in un campionato oggi decisamente più competitivo e salubre del nostro. La squadra che li ha cresciuti e poi lasciati andare via, oggi gioca con Jonathan e Nagatomo, buoni mestieranti, forse agonisticamente più pronti dei nostri giovanotti, ma anche evidentemente limitati: eppure, sono costati di più di quanto incassato dai due italiani, e sono cinque anni più vecchi. E adesso, sul mercato, le valutazioni di Donati e Santon sono maggiori. Senza ricordare che il migliore degli interpreti di fascia azzurra nei recenti mondiali, Darmian, è stato “costruito” dal Milan, e poi dato dai rossoneri al Palermo per 500 mila euro: Kevin Constant, per tappare (male) la falla sulla fascia sinistra fu pagato circa 8 milioni di euro!
Torniamo alla Serie A che vedremo fra due settimane: nelle 14 squadre che sembrano intenzionate a giocare con la difesa a 4, il 60% degli interpreti del ruolo di esterno basso è straniero, percentuale che aumenta leggermente sulla fascia destra. Ricordato che nelle 6 squadre che giocano con la difesa a cinque solo il Torino ha esterni italiani, fra le altre che invece propongono il numero 2 siamo sicuri che non ci fosse nessun italiano in grado di rivaleggiare con il romeno Nica, o con i francesi Frey e Laurini, con il tunisino Benalouane (nemmeno riserva della sua Nazionale), o con lo svizzero Morganella o ancora con lo spagnolo Luna? Spesso sono sconosciuti in patria, ma titolari in Seria A. Oppure, cambiando fascia, questa terra di fluidificanti non ha niente di meglio da opporre a Dramé, Hsay, Martic?
I casi di Darmian, Donati e Santon, giovani di valore che hanno completato il processo di maturazione solo quando hanno potuto giocare con continuità, lontano dalle società che li hanno coltivati, dopo un apprendistato inutilmente lento e dispersivo, dimostrano la poca lungimiranza dei dirigenti. E forse il poco coraggio di tecnici che sono ossessivi nel chiedere, e meno attenti nel valutare quanto c’è in casa. Il risultato è un affollamento di stranieri anche in un ruolo così “facilmente” confezionabile nei settori giovanili, a discapito della Nazionale. Con la perdita giocoforza di un ruolo che darebbe una compiutezza tattica necessaria per essere maggiormente competitivi anche in Europa, come raccontano tutte le squadre vincenti di questi anni.
Quando si rimane molto indietro, bisogna ricominciare dall’inizio, o quasi: dal numero due”.
Il direttore di Sportitalia e di Tuttomercatoweb, Michele Criscitiello, è tornato sull’addio di Antonio Conte alla Juventus, rivelando inediti retroscena nel suo editoriale del lunedì per Tmw:
A distanza di più di un mese ancora nessuno ha saputo il vero motivo dell’addio, improvviso, di Antonio Conte alla Juventus. O lo stesso Conte, o la Juventus avrebbero dovuto spiegare i motivi del divorzio; i tifosi bianconeri meritano una risposta. Il mister si sta godendo le vacanze e ha riscoperto il gusto della giornata tipo con famiglia e senza stress. Quanto durerà questa pacchia, però, non si sa. In molti hanno abbozzato alcune spiegazioni, dalle più farlocche (ha un accordo con il Psg; ha già detto sì alla Nazionale con una Federazione senza Presidente) alle più veritiere (ha rotto i rapporti con Marotta; non se la sentiva più di andare avanti con questa squadra). Quello che riportiamo, ovviamente, non è vangelo e neanche la parola della Bibbia ma ci sarebbe da aggiungere un particolare. Conte, a fine stagione, nel primo incontro tenutosi con Marotta e Paratici aveva chiesto delle garanzie. Le ha ricevute, a metà, ma ha deciso di accettare l’ennesima sfida. Agnelli lo ha sempre tutelato e coccolato. A maggio, il Mister aveva già deciso di lasciare la Juventus ed era convinto che gli sarebbe arrivata qualche chiamata diversa dallo 0039. Il telefono, invece, non squillava ed è partito per il ritiro con poca convinzione e meno grinta. Quando i suoi mal di pancia non trovavano più cura nella farmacia Agnelli ha iniziato a perdere potere agli occhi della proprietà. Conte sa benissimo che questa squadra, grazie a lui, è andata oltre le più rosee previsioni. Perchè se fai 102 punti con Chiellini, Bonucci e Barzagli in difesa sei un fenomeno. Conte ha sbattuto la porta quando Andrea Agnelli lo ha scaricato. Marotta non aspettava altro e cercava un allenatore più aziendalista e meno protagonista. Il profilo di Allegri è perfetto per un Direttore come Marotta che, non a caso, viene dalla scuola Galliani. Adesso Conte il “grande” dovrebbe avere la professionalità di non intralciare con la sua assenza i piani di Allegri, storico rivale. La squadra è sempre stata unita con il mister ma oggi si volta pagina e il nuovo allenatore ha, almeno, il diritto di potersela giocare. Sarà il campo a dire se è stato un flop, oppure, riuscirà a proseguire in un progetto vincente. Le concorrenti non stanno facendo a cazzotti per avvicinarsi alla Juve, diciamola tutta. La Roma è la più vicina, il Napoli dorme sonni profondi e le milanesi hanno problemi seri.
Leggo che Benatia avrebbe grande appeal internazionale, che lo vorrebbero diverse squadre inglesi e che varrebbe oltre 30 milioni. Mi chiedo: cos’ha fatto Benatia per tutto questo, a parte una buona stagione alla Roma? Allora Bonucci, stessa età (27), molta più esperienza e più successi, quanti ne vale, 40? 50?
Saltato il trasferimento di Sorensen al Leeds.
sandro: eh, la differenza é che loro hanno 200 mln cash da spendere, quindi possono sfogliare la margherita…
Si critica sempre Marotta per le estenuanti trattative che sembrano non finire mai. Mi pare che anche il Mutd non sia da meno. E’ da un bel po’ che si sente parlare di Vidal, H ummels, Nani, Chicarito o in entrata o in uscita, ma nulla si e’ ancora definito
Non capisco perché le sconfitte, in alcuni casi, vengano considerate incidenti di percorso ed in altri invece vengano immediatamente strumentalizzate per criticare ferocemente chi le subisce.
delsol: il calcio d’agosto, a qualunque livello, é fuffa. Piuttosto mi chiedo se la tournée oceanica possa aver influito negativamente sulla preparazione, visto che mentre altri fanno il classico ritiro montano noi ce ne andiamo in giro per il mondo. E’ difficile rispondere, ma ormai le grandi squadre europee fanno cosi’, il brand prima di tutto. Per cui se noi vogliamo tornare nell’élite dobbiamo passarci. Dicunt che Conte non fosse d’accordo: pazienza.
Faccio anche presnte che vincere anche quando si gioca da cani e si hanno le gambe pesanti é un ottimo segno.
ops… “non so se…”
a proposito del (vecchio) mister, non se era stato già postato ma mi ha fatto ridere
http://www.youtube.com/watch?v=qITK9_z4VoE