Destra o sinistra. Premesso che sto con Giorgio Gaber, ma sì, giochiamoci. Juventus, Milan, Inter: per il modo in cui hanno inteso il calcio, soprattutto in campo, come possiamo etichettarli? Ci provo.
JUVENTUS. Anche se l’idea di fabbrica – e, dunque, di «scudetti da produrre alla catena di monaggio» – farebbe pensare a una demi-gauche, penso più a una destra storica, fedele nei secoli alla tradizione di una famiglia (gli Agnelli) e al culto di una precisa idea di gioco: Giampiero Boniperti, Giovanni Trapattoni e la cosiddetta scuola italianista fondata sul contropiede e addolcita da Michel Platini.
L’esigenza di produzione (e di fabbrica, vedi sopra) ha spento i falò di svolte rivoluzionarie. Abortì, all’alba dei Sessanta, il 4-2-4 del brasiliano Paulo Amaral. Svanì nel braccio di ferro tra il talebanismo della lavagna e il genio selvatico (Omar Sivori), il «movimiento» di Heriberto Herrera, un bignami di quel calcio totale che poi Rinus Michels e Johan Cruijff avrebbero innalzato a Bastiglia del football moderno. Si schiantò contro la dura legge della normalità – la più dura, almeno in Italia – la zona champagne di Gigi Maifredi, così superficiale da scimmiottare lo spirito del tempo (il Milan di Sacchi) con le bollicine di un’arroganza a dir poco temeraria. Di sicuro, non gli giovò il patronato di Luca Montezemolo, negato a tutto il calcio non griffato o cementaro.
Marcello Lippi è stato il tecnico che ha tolto concettualmente la Juventus dal patrimonio tattico della destra storica per issarla su posizioni meno conservatrici: tridente, zona press, difesa a tre, trequartista. Con Antonio Conte – soprattutto, la sua prima stagione – si passa dall’utile al dilettevole, dal solido al bello. Una piccola grande rivoluzione «culturale». Senza totem alla Zlatan Ibrahimovic, ma con truppe votate all’occupazione militare del territorio «nemico».
(Segue nel primo commento)
Nel caso di Maifredi ideologia e rosa si intrecciarono a parer mio. Anche Sacchi portò avanti la sua ideologia, mettendo in secondo piano i giocatori e agli inizi pure lui stentò. Però questi ultimi erano Baresi, galli (Costacurta), Maldini e Tassotti, già rizonati da Liedholm. Fu più facile raddrizzare la barca e lo spogliatoio rossonero remó sempre dalla stessa parte.
Credo quindi che l’ideologia maifrediana in sé avesse molto da dire ma la rosa e la sua gestione, dote imprescindibile per un allenatore, ne decretarono il fallimento.
Ormai è andato.
Tra pochi giorni arriva Zaza.
Di che ti lamenti ?
Ancora un mezzo passo falso del Borussia che, in casa contro il Wolfsburg, non va oltre il 2 a 2. In compenso Immobile fa sfracelli. Se questo è il rendimento da lui raggiunto, qualcuno ha fatto una bella cavolata a darlo via. Fra i nostri non c’è nessuno che lo vale.
Segnalo questo articolo di Massimo Zampini: http://www.juventibus.com/content/s.html .
Gentile Riccardo Ric, dice un grande giornalista, Lodovico Maradei, che contro la zona sono gli attaccanti a scegliere da chi essere marcati, mentre se si marca a uomo sono i difensori a scegliere chi marcare.
Gentile Fabrizio, non ricordo un Montezemolo votato al calcio tecnico. Viceversa, con il cemento e il marchio dei Mondiali 1990 ci andò a nozze.
Gentile Domenico sportivo, grazie anche a lei. Più che alle rose, il gioco puntava alle ideologie, chiamiamole così, degli allenatori. Le ho ridotte all’osso, lo spazio e’ tiranno.
Gentile QuartieriSpagnoli, grazie. Si’, non proprio gli stessi. Ma in linea di massima l’ossatura era la stessa. Cambiava l’idea, se vogliamo, meno fanatica, meno sacchiana. Un mix fra le due scuole.
Gentile 3, per favore, dica pure. Grazie.
Quella Juve di Maifredi per me qualcosa aveva. Molte partite da dimenticare ma anche alcune partite memorabili (5 a 0 alla Roma, 5 a 0 al parma, 4 a 2 all’inter per dirne alcune). Il biglietto da visita della Supercoppa contro il Napoli non fu dei migliori (eufemismo), la sconfitta in coppa Italia col Taranto non giovó ma un processo di crescita della squadra, fra altissimi e bassissimi io lo vidi nell’arco del girone d’andata. Al giro di boa del campionato eravamo terzi mi pare, poi qualcosa (e qualcuno) si ruppe. Lì credo si vide il limite vero di Maifredi, l’arroganza e la presunzione nei confronti di un gruppo di giocatori in difficoltà . Puntò il dito contro la squadra invece di unirsi a loro. Pezzo per pezzo quella Juve si sfaldò, prima di tutto Nello spogliatoio e poi in campo. Sappiamo tutti come finì. Maifredi di idee ne aveva eccome. Poi con Luppi, Bonetti D. (de marchi), Julio Cesar, de Agostini la coperta dietro era veramente corta. Dalla cintola in su però era proprio un bel vedere. Ci fossero stati due centrali all’altezza in difesa e meno supponenza in panchina quella squadra poteva avere un futuro.