Dopo i mangiabanane e gli Optì Poba di Carlo Tavecchio, ecco Arrigo Sacchi. Gli è scappato: «Troppi giocatori di colore nelle squadre Primavera. Tanti stranieri sono un’offesa per il calcio italiano». Montecatini, 16 febbraio. Potete immaginare le reazioni. Quello specchiato gentiluomo di Joseph Blatter si è detto choccato. Gary Lineker ha twittato che in Italia ci sono troppi razzisti. Mino Raiola, lui, si vergogna di essere italiano (da che pulpito). Graziano Delrio, a nome del governo, ha parlato di «grave errore».
Un putiferio. Arrigo non è razzista ma ha ribadito, con la sua scivolata, quanto il problema sia reale e contagioso. Mario Balotelli, Angelo Ogbonna e Stefano Okaka, tutti nazionali, sono di origine afro: e allora?
Il 15 dicembre saranno vent’anni dalla sentenza Bosman. Globalizzazione, multi-etnicità , meticciato: chiamatela come vi pare, ma la strada è questa. Credo che Sacchi volesse dire che il problema è la quantità di stranieri, non la qualità (della pelle). Ha lasciato però intendere qualcosa di diverso. E il ricorso al salvagente Rijkaard mi ha ricordato un vecchio adagio veneto: «xe pèso el tacòn del buso».
E così torna di stringente attualità l’uso della parola, che a certi livelli non è solo cornice o vernice: diventa sostanza, eccome. Sacchi ha gli attributi ma ogni tanto cicca gli aggettivi. Giancarlo Abete, da presidente federale, «possedeva» più aggettivi che attributi. E mai dimenticare che questo è il Paese in cui quel «porcellum» del leghista Roberto Calderoli, parlando di Cecile Kyenge, allora ministro dell’Integrazione, disse: «Quando la vedo non posso non pensare a un orango».
Naturalmente, seguirono scuse telefoniche. Naturalmente, tornando ad Arrigo, è sempre colpa dei giornalisti. Vil razza dannata, o d’annata. Dico la verità : il Sacchi bianco-nero mi mancava.
Gentile Martinello, buona serata. Mai scritto che per fare le rivoluzioni, nel calcio, i giocatori non servano. Certo, Sacchi fece la rivoluzione solo con quei giocatori lì.
Ma la fece.
Liberissimo di pensarla diversamente. Ci mancherebbe. In base al suo ragionamento, mi permetta, Lippi non c’entra niente con i titoli di Juventus e Nazionale, perché erano i giocatori a farlo vincere o farlo perdere. Invece, per me, Lippi ci mise del suo, anche se all’Inter andò male e in Sud Africa uscì al primo turno e perse tre finali di Champions su quattro. Per me Lippi, meno rivoluzionario di Sacchi, ma più eclettico, è stato un grande allenatore: per lei, evidentemente no. Rispetto la sua opinione, ma non la condivido.
X il Beck – Caro Beck, mi dispiace ma sono d’accordo con Fabrizio. Infatti, Sacchi, dopo aver vinto con quei giocatori lì, non mi sembra si sia ripetuto utilizzandone altri. Quindi non era il suo “modo” ad essere vincente.
Il cambio di mentalità calcistica italica, da Trapattoniana a Sacchiana, dobbiamo riconoscerla al vate(r).
Al netto della squadra stellare che si ritrovò tra le mani.
Valium per Fabrizio.
Infermiereeee
Gentile Fabrizio, mi riferisco al modo, non allo scarto. All’impatto che ebbe, con i suoi metodi, sul calcio italiano. Fissò confini precisi, furono soprattutto i “fusignanisti” a disperderne il seme, o a esagerarne gli effetti miracolosi, nemmeno fosse viagra.
…E non vinse neanche poi tanto, in Italia almeno. Con quello squadrone, in quattro stagioni vinse un solo scudetto. Poi certo si prese due coppe campioni e due intercontinentali.
Quindi colleziono’ dimissioni varie e ospitate da commentatore. Ma va a ciapé i rat, va’…
E’ il modo in cui (Sacchi) vinse con quei giocatori lì. Il modo.
Scritto da Roberto Beccantini il 18 febbraio 2015 alle ore 18:14
…vinse facile.
Salvadore… attento che quelli dell’Isis stanno arrivando ..è la globalizzazione ..
Gentile Intereisuoitifosi, mi scusi: ma cosa c’entra l’Inter?
Ora pro nobis