Non dire derby se non ce l’hai nel sacco. E così, dopo 33 vittorie, lo Stadium celebra il cuore di un Toro che la gemma di Ljajic su punizione – e sotto gli occhi di un signore che ne fu specialista sommo, Michel Platini – aveva lanciato oltre la traversa di Benatia e le occasioni della Juventus.
Non mi è piaciuto Valeri, debole con Lichtsteiner. Non mi è piaciuto Mihajlovic, dal momento che il tackle di Acquah su Mandzukic, quello del giallo-bis, era da «o la va o la spacca», sul filo del filo di un regolamento che, spesso, tollera tutto e il contrario di tutto. All’andata, per una scivolata analoga, il giallo se l’era beccato il croato. L’espulsione ha spaccato un equilibrio che fin lì il Toro aveva retto sul piano difensivo e organizzativo (soffrendo, rischiando, ma anche impostando).
Otto cambi, Allegri. Troppi? Tranne Higuain, per me no, ma in questi casi sono i risultati a pesare i turnover. A un certo punto, e addirittura in superiorità numerica, c’è chi ha inserito il Pipita e Pjanic e chi Benassi e Obi. Elementare, Higuain. Ancora un gol agli sgoccioli degli sgoccioli, Madama: come nel derby che, «via» Cuadrado, segnò la grande rimonta; come in quell’altro deciso dal missile di Pirlo.
Il Toro ha dato il massimo, tutti, da Molinaro a un Belotti che ha tirato poco e corso molto, passando per Rossettini, Boyè, Baselli, Ljajic. Legno a parte, la Juventus ha sprecato con Bonucci (bravo Molinaro), Lichtsteiner (bene Hart), Dybala (benone Hart, così così l’Omarino), Mandzukic, Khedira. Poi, è chiaro, la differenza delle rose era tale che lo spirito della resistenza giustifica aggettivi che alla carne dei tiranni sono negati, a maggior ragione se dal 57’ possono godere di un uomo in più.
Un disastro Lichtsteiner-Cuadrado a destra, idem Khedira. Lo scudetto è sempre lì, a portata di mano. Ma che impresa, il Toro.
Nino che lagna, giocheremo alle 15 per avere il tempo di festeggiare degnamente il 35 scudetto e la coppetta.
Fatti allenare da Sarri così avrai di che lamentarti dell’orario, del sole in faccia del frreddo invernale, della calura estiva, delle congiunzioni astrali e di tutte le altre fregnacce a cui si attaccano i sarri, marrarielli, pioli, sinisi e luciani quando perdono contro di noi.
Boniek fu uno dei più grandi talenti partoriti dal calcio europeo sul finire degli anni 70.
Sotto certi punti di vista un innovatore del ruolo, grazie alla sua proverbiale progressione che mai dimenticava il perfetto controllo di palla.
Era avanti di un lustro e infatti era quasi sempre imprendibile.
La sua classe stimolava la fantasia dell’avvocato come pochi altri: oltre al classico “Bello di Notte”, a testimoniare l’assoluta capacità del rosso nel calarsi senza remore e con grande continuità , oltre che veemenza, sui territori europei, anche la visione del polacco che vuole a tutti i costi sfidare un mega esercito di carri armati da solo a cavallo, rendeva bene l’idea (ma forse gli fu suggerita da quell’altro fine umorista di Boniperti).
Cuor di leone, ma con visione di gioco, quindi mai a casaccio, polemista anche in campo (l’attuale svizzero sembra una sua caricatura, anche perché non passa mai alle vie di fatto, come Zibì, chiedere a capitan Zaccarelli…).
Alcuni flash conservati nella memoria del fanciullo che fui: Boniek disintegra da solo l’arrembante Belgio nel secondo turno di Espana 82, 3-0 con tripletta, e primi scricchiolii sul Muro; Boniek taglia in due lo spauracchio belga dello Standard Liegi, nell’ex Coppa Campioni del 1982-83, seminando panico e gloria; Boniek travolge il Porto e lo infilza, con mezza difesa aggrappata ai pantaloncini; Boniek che evita la disfatta epocale nella notte di Atene, andando a chiudere le folate dell’Amburgo e salvando sulla linea a Zoff battuto.
Peccato abbia poi litigato con Boniperti e si sia lasciato male. Avrebbe potuto regalare ancora un ottimo triennio alle sorti della Signora. Fu sostituito dal funambolico MIchelino, purtroppo dotato di un decimo del suo carisma.
Peccato che si sia fatto adottare sin troppo dalla città di Roma e dai suoi pettegolezzi.
Peccato che la sua risibile carriera di coach si sia scontrata con l’arrogante presenza di Luciano Moggi, con contorno di botte pesanti.
Boniek gode nel prendersi gioco del trogloditismo del tifoso medio, lo scherza, lo denigra, si lecca le labbra nel farlo apparire mentalmente inferiore e sempre più schiavo di credenze, stereotipi, faide.
Peccato che una stella così non sia stata premiata con la stella.
Peccato che un tipo del genere se la sia presa e continui a soffrirne.
Tra un po la rai chiede i danni a Benatia per non essere fatto di m.
dunque giocheremo col Crotone alle ore 15, dopo la finale di coppa italia
naturalmente è un caso, figuriamoci se l’hanno fatto apposta, e certo non si augurano che ci tocchino prima i supplementari con la Lazio e nemmeno che ci sia un sole cocente
li capisco i Ziliani, non se ne può più, siamo ladri e favoriti in ogni circostanza,uno scandalo epocale
Non ho mai visto un ex giocatore sputare nel piatto che gli ha dato fama e notorietà come ha fatto boniek fin da subito.
Se è quello che è lo deve certamente alla juve e non alla Roma.
A Mihajlovic due giornate di squalifica, a Venali tre. A leggere le motivazioni mi sono chiesto perché allo slavo non hanno dato una medaglia al valore civico e sportivo. Giustizia sportiva ridicola.
Boniek era un giocatore di una mediocrita’assoluta,graziato dal giocare in una delle squadre piu’forti della storia.alla roma ha trovato il suo habitat naturale.quello di un uomo di merda.
Boniek è solo un pezzo di merda, punto.
Boniek ha voluto mettere se stesso davanti alla Juve. Tipo ADP. Tipo “the Pos”.
La “tattica” non ha pagato.
La Juve resta, le merde passano …….
Boniek ha il dente avvelenato con la Juve da quando venne ceduto alla Roma per far posto a Laudrup.