Si chiama lezione. Tutto il resto, bar sport. Compreso il mio borsino, casto come i rosari di certe perpetue (Real 51, Juventus 49). C’è stata partita per un tempo, quando Juventus e Real si sono mescolati sul ring, pugili che cercavano di fiutare il senso del combattimento, che spesso, quando si tratta di una finale, combacia con il respiro della storia.
Il Real, dodici Champions su quindici finali. La Juventus, due su nove. Il senso era e rimane questo. Molto semplice, molto netto. Mi affrancai subito da coloro che scrissero che, in questa Juventus, Cristiano Ronaldo avrebbe fatto la riserva a Higuain e Dybala. Morale: doppietta di Cristiano, e fumo – tanto, tanto fumo – dai camini del Pipita e di Omarino (e pure di Dani Alves).
Niente triplete: è il meno. Restano il sesto scudetto consecutivo e la Coppa Italia. Non male. Rimane però, anche e soprattutto, la resa di Cardiff. E’ incredibile come il muro juventino, capace di disarmare Messi, Neymar e Suarez, sia crollato, letteralmente crollato, davanti a Cristiano Ronaldo e c. Di fronte ai quali, sia ben chiaro, si può perdere, e tanti hanno perso, ma non così (almeno, se sei una grande squadra).
Allegri si è giocato le sue carte, alla sua maniera, Zidane le sue. Ha vinto Zizou, un allenatore che spesso abbiamo trattato come un unto del Signore. Invece era, è, un signor allenatore.
Rimane la cesura tra primo e secondo tempo. Spiegabile solo, o soprattutto, con la crescita di una squadra intera rispetto all’altra, non di questo o quel leader, di questo o quel gregario. Capisco la delusione di un popolo, che è anche il mio, ma c’è poco da dire e, risultato alla mano, molto da fare. Il Real si era mimetizzato, la Juventus cercava di nascondere le sue paure. Che sono esplose e hanno polverizzato le risorse. Dovrà ricominciare da qui. Non è una novità. E’ la realtà.
cavolo gli ultimi 10 minuti gratis in tribuna… e chi se lo ricordava!
Gian-carlo: al di là delle considerazioni sulla leadership, rara, che ha già fatto Alex, il punto é che Leo é il più giocane della BBC. Può fare tranquillamente altri 4-5 anni ad alto livello, con tutto quel che ne consegue in termini di benefici per la squadra e i giovani difensori che dovranno formare il reparto del futuro.
Quindi la scelta é tra monetizzare, e indubbiamente potrebbero essere tanti soldi, o “investire” in Leo come leader della difesa e chioccia dei Rugani e dei Caldara.
Io non avrei dubbi, anche perché il rischio é che, tra limiti di età e cessioni, la BBC evapori in un colpo solo, cosa che temo sarebbe traumatica per tutta la squadra.
…anche perchè ogni anno che passa di soldi per il soldato Leo ne porti a casa meno, mentre per A.Sandro (ancora per qualche anno) è il contrario.
Peraltro, questo era il ragionamento che mi portava a ritenere che avremmo tenuto Pogba.
Abbiamo visto com’è andata…
@ Alex, Alemichel, Fabrizio:
io temo che almeno uno tra il soldato Leo e A.Sandro sia destinato a partire;
comprendo le valutazioni circa l’opportunità di tenere il primo, ma ho l’impressione che TUTTO SOMMATO sia più probabile che resti il secondo (a meno di offerte inimmaginabili).
Tanti auguri al mio idolo di ogni tempo Michel.
Mio nonno mi portava a vedere gli ultimi 20 minuti, allora gratis, al Comunale… bei tempi.
Mi sa che ho fatto lo stesso sogno di alemichel.
Giù le mani da Leo Bonucci.
Auguri Michel, il mio sogno fortunato di ragazzino.
Tutte le volte che la metteva dentro nel derby (e che derby in quegli anni) l’entrata a scuola il lunedì mattina era una cavalcata trionfale!
Nessuno mai più come lui!
Chiedo al gentile ex(?) Primario di pubblicare il nuovo articolo per celebrare adeguatamente il divo Michel.
Sarebbe opportuno mettere in archivio la “lezione” e cominciare a parlare della nuova stagione.
Grazie!
AUGURI MICHEL
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Non abbiamo ancora ammesso di averne visto uno migliore perché uno migliore non c’è ancora stato.
Anni ’80. I Righeira in estate e le serie tv americane di sera. I cinepanettoni che pensionavano BudSpencer&TerenceHill e Mediaset che portava novità rispetto alla Rai. Il mondo che cambiava e l’Italia che stravinceva un mundial unico. Tutto sembrava rivoluzionario, tranne il calcio italiano. Trapattoni, figlio di Rocco, in un decennio non era riuscito a vincere la Coppa dei Campioni, lui che aveva stravinto tutto il resto. Cruyff, che era l’idolo anche di un ragazzino francese con chiare origine italiane, nel ’73 aveva respinto il 1º tentativo. Serviva una scossa, una miccia, un Genio. Prendete Dino, Gaetano, Claudio, Antonio, Sergio, Marco e aggiungeteci Boniek e soprattutto Platini, uno smilzo transalpino con crismi da Divinità. È quello che hanno fatto Boniperti e l’Avvocato Agnelli, prendendolo per un tozzo di pane. Il foie gras, però, ce l’ha messo quel nipote di un muratore sabaudo divenuto ristoratore en France, lì dove l’accento del cognome è cambiato e la Stella è venuta al mondo. La Rivoluzione Francese, nel calcio. La Juve più forte di sempre, scudetti e coppe in un quinquennio irripetibile. Più un europeo da Roi, 9 reti e giocate da lustrarsi gli occhi, nella e per la terra che ama pur non dimenticando l’Italia dei nonni e della Juventus, “la miglior squadra del mondo” secondo lui, lui che secondo Cabrini è “più italiano di un italiano”. Risulta persino offensivo ricordare tutto ciò che ha vinto, spaventano però i 3 titoli di capocannoniere di un campionato allora stupendo vinti da centrocampista, in un calcio in cui si marcava a uomo e picchiava molto più di oggi. Ma offende anche inserirlo in un ruolo, perché se c’è un giocatore paragonabile al suo idolo, al tulipano col 14, questo è Monsieur Platini. Platini era epico, lirico e accademico, riassumeva le tre caratteristiche del ‘giocatore musicale’ di Vladimir Dimitrijevic, sottovalutato cantore serbo. Platini possedeva “il più bel destro che ho visto in mezzo secolo di calcio” (Bearzot) ed era, secondo la scomoda ma veritiera penna di Damascelli, “l’unico giocattolo che può parlare col proprietario di giocattoli”, l’Avvocato Agnelli, ça va sans dire. Gianni, che aveva come vizio El Cabezon, si invaghì senza remore di questo Artista che pitturava football come un Michelangelo moderno, perché “avere Platini in squadra era come avere una credit card sempre a portata di mano”. Un ragionamento da industriale, ma veritiero. Le Roi fu un leader a detta di Brio, e se lo dice lo stopper c’è da credergli. Un giocatore carismatico e intelligente, che come disse Altafini “non subiva mai fallo perché dava via la palla in fretta; quelli che subiscono i falli sono quelli che aspettano”.
Non ha mai aspettato, Platini. Ha sempre anticipato tutti, anche quell’infame del tempo. Come il suo Presidentissimo, e diversamente dalle ipotetiche bandiere di oggi che hanno elemosinato contratti fino alla fine, anche in mezzo alle vacche sacre dell’India o al di là dell’Atlantico, l’addio dell’Artista è stato stupendo e coerente, uno dei più veri cali di sipario di sempre. Pioveva, perché anche Dio piangeva, al Comunale di una Torino riscopertasi trista e grigia dopo 5 anni di luce vissuti al centro del mondo. La maglia del Poeta era sporca di fango, il viso di Michel ospitava un’inedita barbetta, gli occhi scavati come non mai. Il Re era nudo. “A 32 anni mi pesa non poter più soffrire, non poter più sudare, non avere più voglia di migliorarmi. E non averne più 17. Ho giocato nel Nancy perché è la squadra della mia città, nel Saint-Étienne perché è la squadra più forte di Francia, e nella Juventus perché è la squadra più forte del mondo, non potrei più migliorarmi”. Così disse dopo quel Juve-Brescia ai cronisti accorsi nello spogliatoio, in quel calcio senza filtri, vero come non lo è più da anni ormai. L’aveva e se l’era promesso: “Nessuno verrà mai a dirmi che è ora di smettere, non invecchierò in campo”. Rispettò la parola, respingendo le sirene americane che avevano già ammaliato Pelè e proprio Cruyff, disse di no ad un Cavaliere in ascesa che avrebbe poi spostato l’arte calcistica da Torino a Milano nei 7-8 anni successivi.
Scelse di che “morte” morire, con una coerenza disarmante e prendendo tutti in controtempo, come faceva in campo, dove dettava il gioco a testa alta, perché “c’è il tempo, c’è il luogo, e c’è l’insostenibile leggerezza di saperci giocare esattamente in mezzo”, un’arte in cui l’Artista eccelleva.
“Nella Juve nessuno è mai stato al suo livello e se in futuro ci sarà qualcuno che lo supererà lo ammetteremo a malincuore”
Caro, Avvocato, stia tranquillo. Chi ha visto Michel, ha visto Michel.
Un garçon che sognava Cruyff ed è diventato Platini. Pas mal.
Ah,comunque si dice:”non c’e’fumo senza arrosto”.
In italiano intendo visto che ti e’ostico quanto l’albionico.
Scritto da Alex drastico il 20 giugno 2017 alle ore 22:36
Veramente,usando un po’ di buon senso,la logica direbbe:non c’è arrosto senza fumo!!!Il fumo,ha mille modi per esserci(incendio,accensione di sigarette,esplosioni ecc)!L’arrosto senza fumo non potrebbe esistere !Tanto per la precisione!