Portieri d’azzardo

Roberto Beccantini1 luglio 2018Pubblicato in Per sport

Con i rigori, che per agitare il dibattito chiamo ogni tanto «lotteria», il Mondiale ha scoperto d’improvviso l’esistenza dei portieri. Non quelli gialappeschi dei primi turni, loro sì un terno al lotto, ma i professionisti del poker, gli specialisti del gioco d’azzardo. Akinfeev (2 parati), Subasic (3, addirittura) e lo stesso Schmeichel, figlio d’arte (1 + 2). La citazione del danese non è un omaggio alla «salma»: se si è arrivati al poligono del dischetto, molto lo dobbiamo proprio a Schmeichel, che ne aveva neutralizzato uno, nei supplementari, a Modric (che poi, da uomo di ghiaccio, si prenderà la rivincita).

E così è la Croazia a raggiungere i quarti. Una Croazia subito sotto (M. Jorgensen) e subito in parità (Mandzukic), gol rocamboleschi, con flipperate di schiena e di grugno. Una Croazia che, zavorrata dal pronostico, ha patito la fisicità e il cambio di marcia degli avversari: da cassa di risparmio a piccolo esercito im missione.

Quando i migliori sono i guerrieri come Mandzukic, è difficile (non certo per colpa loro) che il livello tecnico tocchi vertici sofisticati. Modric ed Eriksen hanno cercato di prendere per mano le squadre, riuscendoci solo in parte. Il talento croato è stato, così, sgonfiato braccio di ferro dopo braccio di ferro.

Dalic e Hareide sono allenatori «di mezzo», cognomi e non ancora nomi, eppure il loro calcio non mi è parso né vecchio né nuovo: mi è parso calcio. Sono i fuoriclasse, e in campo non ce n’erano, tranne Modric, che portano al salto di livello.

Era la Danimarca di Kjaer e Cornelius, lontana dalle vetrine dei Laudrup e degli Elkjaer. Della Croazia mi ha colpito Rebic, non Perisic. Rebic si è costruito il rigore che avrebbe potuto evitare gli altri. Sui quali, poi, Subasic ha speso molto dei suoi riflessi e molto incassato dalle tensioni altrui, lui che era stato il primo a cadere, non senza qualche peccatuccio.

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