E’ stata, per dirla con il dottor Pangloss, la migliore delle Juventus possibili. E un Cagliari strano, spaventatissimo, nonostante la classifica, il fattore campo e le altrui assenze gli permettessero una trama più coraggiosa, più spensierata.
Non ricordo, nell’isola, una vittoria così rotonda e così placida: ululati a parte (sic transit becerume mundi). Un gol per tempo, di Bonucci su corner e di Kean su assist di Bentancur, e tanti saluti all’infermeria strapiena, ad Allegri genio e Allegri telodoio, ai dubbi che aleggiavano dopo il primo tempo con l’Empoli.
La rosa decimata ha ristretto le scelte del mister, e spesso l’emergenza aguzza l’ingegno, l’impegno. In panchina e in campo. Nulla di memorabile, ma tutti sul pezzo, un possesso all’altezza, un Pjanic che a quei ritmi sembrava Deyna, una squadra padrona e l’altra schiava. Sia chiaro: una Juventus che concede all’Atletico la miseria di un colpo di testa di Morata, può tranquillamente lasciare ancora meno briciole a un Barella confuso, a Pavoletti e Joao Pedro prigionieri.
Maran ci ha capito poco, e poco ha potuto: anche con i cambi. Ribadito che mi aspettavo un altro Cagliari, passiamo a Kean. Mi ero schierato per una «titolarizzazione» fissa. Sono queste, le partite che aiutano a crescere: notti di sofferenza, di munizioni scarse (e comunque: un gol, il quarto, e due «quasi») e di atteggiamenti che vanno limati: la simulazione, l’esultanza sotto il covo dei tifosi avversari.
Il Cagliari l’aveva messa sul fisico, la Juventus sul palleggio. L’infortunio muscolare di Caceres si aggiunge a una lista già chilometrica. L’ha «rimpiazzato» un Emre Can sempre più a suo agio nel doppio ruolo di stopper e mediano. E Bernardeschi? I grandi giocatori cominciano dall’ultimo passaggio: e lui lo sa.
Che è come se avesse detto: “Il vino non lo bevo”.
“Ma se non avesse l’acqua?”
“Berrei il vino”
Passaggio illuminante:
…
«I moduli non servono a niente. Contano i giocatori buoni». Ma l’allenatore che non ha calciatori forti a disposizione cosa deve fare?
«Deve dare un’organizzazione di gioco»
“empatia brutale”?
Direi che il soggetto, a questo punto, è brutalmente epatico…senza la M…
Scritto da Lex Luthor il 5 aprile 2019 alle ore 09:34
no, vabbè…
i paradossi folli (prima vandito “un vale nulla”, poi è meglio di tutti messi insieme, ronaldo messi e pure pelè),
Scritto da Robertson il 5 aprile 2019 alle ore 09:28
per me gli è scappata una L (oltre alla frizione…)
Scritto da Lex Luthor il 5 aprile 2019 alle ore 09:34
ah ah ah ah
Attenzione alle perle! :-)))))
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Mancava l’Allegri scrittore. Adesso c’è anche quello. Da Vasco Rossi a Giorgio Gaber, da Galeone all’amore per i cavalli, fino ovviamente a Ronaldo («Averlo è una gioia, è diverso dagli altri, è un maestro, a volte sembra assente ma in realtà è sempre sul pezzo»): «È molto semplice» è il manuale delle 32 regole del calcio secondo Max, in cui tutte le sue anime — quella anarchica da «Amici Miei» e quella di allenatore alla corte di Berlusconi e Agnelli — diventano una cosa sola.
Il cuore del libro sembra questa frase: «C’è qualcuno che vuole rendere il calcio più difficile e mi fa andare fuori di testa»: ce l’ha più coi colleghi o coi commentatori?
«Non ce l’ho con nessuno, dico solo che si rende complicato ciò che è semplice. La semplicità è la cosa più complicata, ma si sta andando verso una direzione non corretta, perché complicare le cose rende ancora più difficile il lavoro. Racconto la mia esperienza di vita, da bambino fino a oggi, e la mia esperienza di calcio, da giocatore e da allenatore. Spero che sia d’aiuto, che serva a qualcuno, non solo nel calcio, ma anche a livello manageriale. Che sia di ispirazione».
È interessante sentirla parlare del suo «sguardo da bambino»: l’ultima recente paternità le ha ridato questa visione?
«Una cosa che mi ha dato l’arrivo dei figli è sicuramente la pazienza, che da giovane avevo poco e niente. E poi mi hanno riportato un po’ a essere bambino».
Esalta i concetti di «squadra cinica» e di «allenatore aziendalista». Perché per altri sono quasi degli insulti?
«Perché hanno modi di vedere diversi dal mio. Un allenatore aziendalista è un allenatore che porta risultati. Io mi reputo un manager dell’azienda Juventus, che alla fine dell’anno deve portare a casa il risultato, non solo a livello sportivo, ma anche a livello di crescita dei giocatori. Risultati che incidono alla fine anche sul bilancio della società».
Le piace il ruolo di allenatore manager alla Ferguson: in Italia sarà mai possibile?
«Io spero di sì, perché vorrebbe dire rimanere tanti anni alla Juve».
Perché la citazione di Gaber e dei suoi «polli di allevamento»?
«Perché purtroppo si va verso un’idea di calcio in cui i ragazzi non vengono fatti più pensare. Ma se si fanno crescere dei ragazzi “non pensanti”, poi chi smette di giocare a calcio cosa fa nella vita?».
«I moduli non servono a niente. Contano i giocatori buoni». Ma l’allenatore che non ha calciatori forti a disposizione cosa deve fare?
«Deve dare un’organizzazione di gioco e avere la lucidità di capire fino a dove possono arrivare i giocatori che ha a disposizione. Quelli che possono arrivare a 7 e devono dare 7, quelli che possono arrivare a 10 devono dare 10. L’importante è che l’allenatore conosca le qualità e il punto fino a dove può arrivare il giocatore che ha davanti. Non possono tutti fare le stesse cose, questa è una legge di vita».
«Sono della scuola Galeone» sottolinea. Cosa ha imparato?
«Sono stato otto anni con lui, è stato il mio allenatore e poi ho avuto anche la fortuna di lavorarci insieme come collaboratore tecnico, imparando tante cose. L’insegnamento più importante? La semplicità nel trasmettere i concetti alla squadra».
«L’Olanda del ‘74 non ha saputo cogliere il momento dell’azzardo»: è un esempio di sistema che limita il singolo, visto che poi lei magnifica il genio di Cruyff?
«L’Olanda è l’esempio di un sistema in cui sono stati costruiti per molti anni giocatori singoli molto bravi, poi che non abbiano vinto è un altro discorso. Il calcio olandese era un calcio totale perché tutti sapevano giocare in tutte le zone del campo».
Il fatto che sia tornato competitivo, come dimostra l’Ajax che affronterete tra pochi giorni è merito quindi dei singoli talenti più che del sistema?
«Dei singoli talenti all’interno di un sistema che insegna ai ragazzi a giocare a calcio, che non li “meccanizza”».
Tra i suoi cavalli di battaglia va sempre forte il «cazzeggio creativo». Come mai?
«È importante perché ti stacca dal lavoro quotidiano e ci sono momenti in cui mi serve: non si può pensare di lavorare 24 ore su 24».
Può fare un esempio dell’«empatia brutale» di cui parla?
«È molto semplice: al giocatore do quello che gli serve ma non quello che vuole».
«Se perdessi voglia di crescere mi dedicherei ad altro»: cosa gliela può far perdere?
«Non lo so. In questo momento ho passione e mi diverto. E quindi vado avanti».
La compiacenza di cui parla può essere sinonimo di presunzione: la Juve l’ha mai avuta visto che a Cardiff — come scrive nel libro — eravate «troppo focalizzati sulle certezze»?
«Il compiacersi e la presunzione ti possono far perdere il senso della realtà, non ti fanno mettere a fuoco quelli che sono i punti di forza dell’avversario. Nella finale col Real abbiamo avuto eccessivo ottimismo e sicurezza».
Come ricorda lei, Cruyff è anche l’autore della frase «perché non dovresti battere un club più ricco…»: in Europa la Juve si trova meglio come outsider o da favorita?
«In Europa devi vincere, come devi vincere in Italia».
Si capisce che dietro la sua calma c’è un lavoro interiore notevole, necessario per gestire il gruppo e parlare coi media: è autodidatta?
«A questo livello bisogna avere al proprio fianco dei professionisti con i quali ti confronti e che ti aiutino. Poi certo l’istinto fa la differenza».
Perché nel libro — a parte il concetto dei «cavalli al prato» — non ha voluto soffermarsi sulla gestione delle personalità più forti nello spogliatoio, con cui a volte si è scontrato?
«Perché sono cose che restano nello spogliatoio. È comunque normale che in quell’ambito ci sia un confronto, a maggior ragione con i grandi campioni. Questo non significa che rimangano dei rancori».
«Dai cavalli ho imparato molto».
E dai calciatori?
«Ho imparato tanto dai cavalli perché è un mondo in cui ci sono similitudini con il calcio. Dai calciatori ho imparato tantissimo, perché ho avuto la fortuna di allenare molti campioni. E, siccome sono curioso, sapere come ragionano mi ha aiutato a crescere».
lo stadio grande poi serve riempirlo, ed a Torino , da ambo le sponde, tutta sta voglia non la vedo .
Scritto da intervengo102 il 5 aprile 2019 alle ore 07:59.
Vero, ci sono le TV che una volta non c’erano, ma questo vale per tutte le società anche all’estero. tuttavia vedendo gli stadi inglesi sempre pieni per non parlare di quelli tedeschi, viene da pensare che non sia solo colpa delle televisioni. è il prodotto che fa un po’ schifo e la juve con il suo scheisse playng lo sta portando avanti egregiamente. Ad ogni modo, ai tempi del delle alpi con 75 euro (150.000 lire del vecchio conio) ti facevi l’abbonamento in curva e tanta gente, anche studenti si abbonava. Ora con 75 euro ci vedi una partita.
Mi pare che l’uomo abbia un poco deragliato. A ottobre, colpevolmente, l’avrei ritenuto un poco preferibile al ns scellerato toscano. Adesso mi chiedo se mia meglio un calcio in culo o nei coglioni.
L’anno scorso attribuivo questo istrionismo al fatto che l’aver guadagnato tanti soldi avesse, comprensibilmente, tolto ogni remora a dire quel che pensava (mi riferisco al caso totti, soprattutto, dove i torti del pupò erano di tutta evidenza, prima di tutto il pupo-centrismo, vedi festa finale felliniana, ci mancavano solo i nani e le ballerine).
Col senno di poi, e alla luce dell’attuale esperienza, rileggo certi atteggiamenti del monaco pazzo tibetano come delle inutili bullaggini fatte ai danni del giocatore (farlo entrare a tre minuti dalla fine a partita largamente decisa), fatte per saldare vecchi rancori e complessi, vedi anche quel che va a dire a Marocchi.
Come se fosse un difetto aver giocato tanti anni alla juve (anzi!!), dimenticandosi che Giancarlino nostro (ragazzo in gamba e schietto in un mondo di puttane) ha fatto gran parte della sua carriera juventina in un periodo nero, altroche abituato a vincere. Ha giocato con Muy Bassos, De Marchi e Bonetti.
Quest’anno siamo alla caricatura di sè stesso del Monaco. Le piroette degli ultimi giorni, il parlare contorto e autocompiacente (manco fosse un fine dicitore poi: si piace, come molti toscani, ma parla male e probabilmente pensa peggio), le illazioni, il dire non dire, i paradossi folli (prima vandito “un vale nulla”, poi è meglio di tutti messi insieme, ronaldo messi e pure pelè), fanno pensare che questo si sia bevuto il cervello.
La maestria marottiana di cui si legge sui giornali, peraltro, mi sfugge. Già non la notavo a torino. Figuriamoci in questo manicomio qui, col bulletto di papà che fa il presidente col macchinone (ci avrà anche qualche tirapiedi che gli procura le squinzie immagino) e l’ex presidente che impone l’avvocato.
Barnum
Scritto da intervengo102 il 5 aprile 2019 alle ore 08:03
altri tempi, vero…a meno che non si voglia vedere Dybala nel ruolo di Robibaggio (con qualche anno in meno e qualche cartilagine in più…) e Kean nel nuovo AdP…
Per quanto riguarda l’offertona per il nuovo Ravanelli, alias MM17, dubito possa arrivarne una, ma chissà…