Erasmo era di Rotterdam, ma va bene lo stesso. E’ al suo elogio della follia che mi rifaccio per cercare di spiegare il filo che lega Anfield ad Amsterdam, la rimonta del Liverpool sul Barcellona (da 0-3 a 4-0) a quella del Tottenham sull’Ajax (da 0-3, calcolando l’andata, a 3-2). E pazienza se non c’è logica, se non c’è lavagna. Meglio così: è la bellezza selvaggia del calcio, di chi lo muove dalle panchine e di chi lo interpreta dal campo.
La tripletta di Lucas Moura è già storia, come le doppiette di Origi e Wijnaldum. I ragazzi dell’Ajax erano saliti in carrozza con l’agio di chi respira fin da piccolo una certa atmosfera, gol di De Ligt, gol di Ziyech, sembrava una passeggiata, gli Speroni senza Kane, con Son fumoso, Alli pure. Ten Hag aveva solo un problema: inventarsene almeno uno affinché i suoi non si sentissero già al Wanda. Non ci è riuscito.
Pochettino, al contrario, doveva inventarsi qualcosa, qualcuno. E allora: fuori Waynama, dentro Llorente. Ecco la mossa. Fernando: le sue sponde, il suo mestiere. E un po’ più di Alli, un po’ più di Eriksen e tanto spazio, «saltato il primo pressing». E poi Attila-Lucas, capace di segnare di bisturi, di dribbling e di fino. Tra pali e traverse (2-1 Spurs), tra contropiedi e petticontro.
Uno spettacolo: senza proteste, senza tuffi, senza mani-comio. Avremmo potuto dirigerla persino noi della Clinica. E’ un calcio che non ci appartiene, è un calcio in cui il giocatore viene prima dell’allenatore: e anche per questo gli allenatori sono migliori dei nostri, tutti geni meno uno. E il ritmo? Stavo per dimenticarlo. Il ritmo. Forsennato. Da flipper.
Liverpool-Tottenham finale di Champions, dunque, in attesa di Chelsea-Arsenal probabile finale di Europa League. Dopo cinque anni, la Spagna abdica. Salgono al potere i più ricchi ma pure i più pravi: e se più bravi perché più ricchi, beati loro.
comunque Mac, a proposito del “calcio di Allegri”, eliminiamo dal dibattito le semifinali champions che nemmeno valgono come confronto. Stasera Chelsea Eintracht è stata già una PARTITA e non una esibizione schizofrenica come ieri sera. Quel che mi piace, molto, del “calcio di Allegri” è il rifiuto di un solo modulo, di un solo atteggiamento tattico, di una sola formazione, ma la ricerca continua del MIGLIOR modulo, del miglior atteggiamento tattico, della migliore formazione a seconda della partita e delle singole situazioni all’interno della partita. A volte l’azzecca, a volte no, a volte i giocatori in campo rispettano le aspettative a volte no, ma tale approccio è sintomo di elasticità mentale che apprezzo. E moderna. Poi, come già scritto in altre occasioni, ogni medaglia ha il suo rovescio, nei momenti di difficoltà non avere un impianto tattico da mandare a memoria porta la squadra a sbandare, ma sono più i benefici che le negatività. Il “calcio di Allegri” comporta che difficilmente perderà una partita contro una squadra inferiore, come abbiamo visto in Italia in questi anni, ed individuerà la miglior strada per cercare di competere contro una squadra superiore, come abbiamo visto in Europa in questi anni, escluso l’ultimo. Il tutto ovviamente a mia (non) rispettabile opinione.
Quel che riferisce Vittorio ha un senso.
È’ evidente che se exor imponesse conte a AA quest’ultimo non potrebbe fare altro che dimettersi. Invece il rimettere in sella acciuga dopo questo teatrino, come se nulla fosse, è’ una roba impensabile. Sarebbe ancora più delegittimato di quanto non sia già (e fosse poco…). Gli tirerebbero le freccette sul culo secco.
Una sorta di re acciughiello.
Quindi di riffa (una squadra che se lo ingaggiasse, ma voglio vederlo il Psg…) o di raffa (gli pagano un anno di stipendio) se lo toglieranno di torno.
L’opposione di AA a conte, legittimo, è’ per lui pericoloso. Tutte le alternative citate hanno pro e contro, dall’improbsbile guardiola, a conte a pochettino, sino a didi’ cui tutti vogliamo bene, ma il cui calcio dopo il ricotta, sarebbe si un risottino dignitoso dopo una minestra indigeribile. Ma Non di più. E noi si vorrebbe un’amatriciana, una pasta coi ricci, una bella roba gustosa, dopo 5 anni di per lo più di robaccia.
Conte all’Inda sarebbe un dispiacere. Come non vorrei mai murinho. A ciascuno il suo. Il calcio ha bisogno di passione e spettacolo, ma anche di misura. E conte all’Inda è’ una cosa che non si può vedere, che non può che avere risultati brutti, soprattutto per lui. Mi spiacerebbe molto. Piuttosto al barca.
Alla faccia del brexit
Scritto da MacPhisto il 9 maggio 2019 alle ore 23:16
Bene Mac, questo è un commento che sta in piedi, finalmente. Non lo condivido, nei contenuti, ma lo condivido come linearità e sono convinto tu sia in errore nella valutazione di concetti quali “calcio nuovo” , “calcio vecchio”. E mi fa sorridere lo “scontro generazionale”, ma fa parte del confronto. Ed hai visto mai tu sia dalla parte della “ragione”, ma non lo penso, sia chiaro.
Contento per Sarri meritava una finale europea.Bravo
Meritavano i tedeschi ma passano gli inglesi.
Mai successo che 4 squadre della stessa nazione si giocassero le coppe.
Fanculo.
Posa ‘r fiasco.
Credo che il cartomante , separerà alto stavolta. Soldi ,anni di contratto, e rinforzi quasi impossibili.
Forte di un contratto surreale per cifre, e con l’obiettivo di farsi dire no.
Quegli altri temono non sappiano cosa fare. Perché l’impressione fino ad oggi è che non siano mostri della scrivania
Il clima surreale e quell’obiettivo più grande della Champions
.
Avvertenza: qui non si parla del prossimo allenatore della Juventus, ma semmai di quello che l’ha allenata dal 2014 a oggi, Massimiliano Allegri. E si parla ancora di più, in verità, del clima surreale di critica più o meno feroce di marca juventina che lo circonda, lui e la squadra da lui guidata alla conquista di cinque scudetti consecutivi, quattro coppa italia, due supercoppa italiana, due finali di Champions, cui si aggiungono una manciata abbondante di partite memorabili che hanno portato l’allenatore livornese e i suoi ragazzi a eliminare il Barcellona di Messi, il Real Madrid di Cristiano, l’Atletico Madrid di Simeone, e a vincere o rimontare magistralmente in alcuni fra gli stadi più temuti del continente, dall’Old Trafford al Bernabeu, dal Westfalen Stadion a Wembley. Senza contare San Paolo, San Siro e Olimpico, impianti dove storicamente non abbiamo mai passeggiato, neanche ai “bei tempi” tanto invocati dai critici del tecnico livornese.
.
L’articolo potrebbe finire qui, bastano le due righe sopra per dare il senso compiuto dell’insensatezza dell’isteria antiallegriana di molti juventini (le critiche ci stanno eccome, la voglia di cambiare anche, le crociate montate in questi mesi sono un’allucinazione collettiva), ma provo a chiudere il ragionamento, senza entrare nelle polemiche e nelle discussioni di queste ore su questioni tecniche e tattiche, a loro modo anche interessanti; anzi, limitandomi a constatare quali sono gli effetti di questo lamento continuo ormai tracimato anche in ambienti bianconeri solitamente dotati di senno. Due, molto deleteri, entrambi di matrice culturale. Primo: qualunque sia il futuro della Juve e della sua guida tecnica, il clima creatosi, anzi creatoci, non aiuta e non aiuterà.
.
Questo sentore di disastro imminente, come se la squadra fosse perennemente sull’orlo del fallimento, è una montagna che abbiamo innalzato con le nostre mani e che renderà molto in salita la già tortuosa strada del mondo Juve (inteso come tifo, per fortuna la società Juventus e chi la guida stanno avanti anni luce rispetto a noi, Dio ci conservi a lungo AA e questo gruppo dirigente) verso la piena consapevolezza di appartenere a un’élite di club globali che stanno dominando il mondo del calcio. Secondo, ancora più doloroso: sul piano culturale appunto, ha vinto l’antijuventinità, ha vinto chi scrive le pagelle su Cristiano Ronaldo affermando che “la Juve uno così se lo deve meritare”. Ha vinto chi descrive la Juve come un mondo triste, un luogo altro rispetto alla felicità che può dare il calcio quando mischiato al sentimento, miscela che secondo loro noi non siamo in grado di ottenere, perché pensiamo solo a vincere.
.
Sai che noia, verrebbe da dire con la solita benedetta ironia, se non avessero iniziato a dirlo senza la solita benedetta ironia, anzi, anche parecchi dei nostri. E così molti di noi stanno finendo per assomigliare alle caricature ridicole con cui ci rappresentano dal di fuori. Ecco perché sarebbe bello e utile che molti capissero che non deridere il lavoro di Allegri, uno degli allenatori più vincenti della nostra storia (e quindi del calcio italiano, le due cose, forse non lo ricordiamo più, coincidono spesso e volentieri), vuol dire non deridere la Juventus. Festeggiare l’ottavo scudetto consecutivo, vuol dire festeggiare la Juventus. Non fischiare Cuadrado quando esce, non rumoreggiare a ogni passaggio sbagliato, vuol dire non fischiare la Juventus, non rumoreggiare quando la Juventus cammina al nostro fianco e noi al suo. Pensavo a tutto questo uscendo da Old Trafford, dove ho avuto la fortuna di assistere al derby di Manchester. Pensavo a noi, a questo clima, mentre scendevo i gradini circondato da tifosi dello United che cantavano compatti la fierezza di essere tifosi di un club leggendario, pochi minuti dopo aver perso un derby che regalerà probabilmente il titolo agli odiati cugini (o in alternativa al Liverpool, la loro nemesi). L’orgoglio, l’appartenenza, la consapevolezza della propria grandezza. La calma dei forti. Ci serve ritrovare questo, al più presto, al di là di cosa succederà da domani in poi. Sennò hanno vinto loro. Altro che Champions o non Champions. (fedesari)