Erasmo era di Rotterdam, ma va bene lo stesso. E’ al suo elogio della follia che mi rifaccio per cercare di spiegare il filo che lega Anfield ad Amsterdam, la rimonta del Liverpool sul Barcellona (da 0-3 a 4-0) a quella del Tottenham sull’Ajax (da 0-3, calcolando l’andata, a 3-2). E pazienza se non c’è logica, se non c’è lavagna. Meglio così: è la bellezza selvaggia del calcio, di chi lo muove dalle panchine e di chi lo interpreta dal campo.
La tripletta di Lucas Moura è già storia, come le doppiette di Origi e Wijnaldum. I ragazzi dell’Ajax erano saliti in carrozza con l’agio di chi respira fin da piccolo una certa atmosfera, gol di De Ligt, gol di Ziyech, sembrava una passeggiata, gli Speroni senza Kane, con Son fumoso, Alli pure. Ten Hag aveva solo un problema: inventarsene almeno uno affinché i suoi non si sentissero già al Wanda. Non ci è riuscito.
Pochettino, al contrario, doveva inventarsi qualcosa, qualcuno. E allora: fuori Waynama, dentro Llorente. Ecco la mossa. Fernando: le sue sponde, il suo mestiere. E un po’ più di Alli, un po’ più di Eriksen e tanto spazio, «saltato il primo pressing». E poi Attila-Lucas, capace di segnare di bisturi, di dribbling e di fino. Tra pali e traverse (2-1 Spurs), tra contropiedi e petticontro.
Uno spettacolo: senza proteste, senza tuffi, senza mani-comio. Avremmo potuto dirigerla persino noi della Clinica. E’ un calcio che non ci appartiene, è un calcio in cui il giocatore viene prima dell’allenatore: e anche per questo gli allenatori sono migliori dei nostri, tutti geni meno uno. E il ritmo? Stavo per dimenticarlo. Il ritmo. Forsennato. Da flipper.
Liverpool-Tottenham finale di Champions, dunque, in attesa di Chelsea-Arsenal probabile finale di Europa League. Dopo cinque anni, la Spagna abdica. Salgono al potere i più ricchi ma pure i più pravi: e se più bravi perché più ricchi, beati loro.
Lo ammetto, ricordavo questa partita, mooolto peggio.
https://youtu.be/LUqilAhSE74
Ric, mi dispiace, ho letto le tue repliche e anche l’articolo di Gori di Juventibus che ovviamente hai caldeggiato (fa passare il cazzaro livornese come uno dei migliori conoscitori del calcio moderno, il mondo va davvero al contrario). Siamo proprio su due pianeti diversi, per non dire sistemi solari, sulla concezione calcistica. Sei più anacronistico di quel che credevo e ho davvero seri dubbi che tu guardi le partite senza togliere le bende trapattoniane dagli occhi. E le vittorie in serie interne hanno davvero drogato il giudizio complessivo sul cazzaro.
A ognuno la sua idea di calcio, per carità , ma sicuro che stiamo parlando di Juventus?
andreas che le richieste fossero quelle piu’o meno lo avevamo capito.tra l’altro manco si parla di quelli vuole vendere dopo averne svalutato il cartellino.
la cosa triste e’che AA vorrebbe pure darglieli quei soldi…speriamo senta ragione.
robertson
secondo me il problema e’che l’unico sostituto di livello del ricottaro e’conte.gli altri per un motivo o per l’altro non sono raggiungibili e gli emergenti…emergono poco.
il doppio problema e’che AA pare che su conte la pensi come su delpiero e cioe’finche’ci sono io mai piu’alla juve se sono vere le voci che AA nonvoleva delpiero manco alla partita del cuore.
Momblano.
https://www.sportmediaset.mediaset.it/cuore-tifoso-juventus/lo-juventino-vuole-sapere-cosa-sta-succedendo-_1274873-201902a.shtml
Gentile MarcoB, finalmente un tema che esula dal caso Allegri. La ringrazio. Allora.
C’è stato il periodo spagnolo con le cinque Champions di fila (1 Barcellona, 4 Real) e la pila di Europa League tra Siviglia e Atletico, adesso tocca agli inglesi. Le dirò: più che il 4 su 4 – dato di una obesità tale che non può non suscitare ammirazione, dibattiti e invidia – mi colpì lo «scudetto» del Leicester del 2016. Leicester che, la stagione precedente, aveva rischiato la retrocessione e mai aveva vinto un titolo. Siamo, più o meno, sui livelli del Verona 1985. Solo che loro possono permetterselo nel terzo millennio, noi un secolo fa.
E’ da qui che bisogna partire: da una distribuzione dei proventi, televisivi e no, molto più equilibrata. La Premier è balzata in cima all’Europa proprio perché la «più ricca», nel senso di ricchezze meglio spalmate.
Poi ci metterei la cura del vivaio che ha portato ai titoli mondiali under 17 e under 20, con ricadute positive sulla Nazionale maggiore, quarta all’ultimo Mondiale in Russia. La qual cosa non «disturba» certo il calcio del campionato domestico (la Premier), che però è un’altra cosa, come dimostrano le formazioni delle finaliste europee e del numero, esiguo, di giocatori nativi schierati.
Si tratta di un’esplosione, certo, ma di un’esplosione non improvvisa: prova ne sia il Liverpool, per esempio, finalista dell’ultima Champions (e senza il portiere tedesco Karius…) e finalista dll’Europa League del 2016; del Manchester United, vincitore dell’edizione 2017. Senza trascurare il successo del Chelsea nel 2013 e la finale, persa contro l’Atletico, che il Fulham – ripeto: il Fulham, non esattamente un top-team – giocò nel 2010. Ora, se la Champions pesa la punta tecnica dell’iceberg, l’Europa League – come nelle staffette di atletica leggera e nuoto – pesa tutto l’iceberg, misura il livello medio del movimneto. Una bilancia meno suggestiva, se vogliamo, ma non trascurabile: anzi.
C’è poi, secondo me, un rapporto più corretto fra allenatori e giocatori, i quali non vanno mai in campo con l’alibi incorporato: non mancano le eccezioni ma restano, appunto, tali.
Ancora: il meticciato degli allenatori. Klopp è tedesco, Pochettino argentino, Sarri italiano, Emery spagnolo. Questo mix spalma le teorie, i pensieri, le personalità . Paradossalmente, gli inglesi, proprio loro, che in passato si sentivano maestri, hanno studiato come matti, hanno allargato il campo delle conoscenze, così umili da non sentirsi più i primi al mondo, anche perché non lo erano e non lo sono da una vita.
Sempre paradossalmente, gli inglesi tronfi di una volta sono diventati gli italiani: che hanno gli allenatori più bravi del mondo, gli arbitri migliori del mondo, eccetera eccetera.
Richiesto di un parere sulla «diversità », Claudio Ranieri, artefice del miracolo Leicester, la spiegò con un tatticismo ridotto ai minimi storici e una leggerezza di testa che aiuta a credere in sé stessi prima ancora che in quello che bisogna fare.
Al netto degli episodi, che in tornei così ristretti come le coppe incidono sempre o spesso di più che in competizioni lunghe tipo campionato, episodi che hanno invaso anche le recenti semifinali, la grande differenza rimane per me il ritmo. Eppure hanno una coppa nazionale in più, eppure corrono sempre come schegge. Può essere che la base sia la mentalità , quella voglia di non arrendersi mai.
Il ritmo mi porta a un mistero. Premesso che le fasi a gironi stanno all’eliminazione diretta come lo scambio degli anelli alla prima notte di nozze: là , un atto dovuto e sentito da espletare comunque (metafora per metafora, con le teste di serie che, per quanto favorite, devono pur qualificarsi sul campo); qua, la volontà di mostrarsi all’altezza dell’improvviso cambio di ambizioni, di esigenze, di circostanze (con la Champions-partner che reclama un altri tipo di attenzioni, e soprattutto di prestazioni); premesso ciò, tra settembre e dicembre gli scontri italo-inglesi fornirono questi risultati:
Napoli-Liverpool (finalista di Champions) 1-0, 0-1.
Inter-Tottenham (finalista di Champions) 2-1, 0-1.
Manchester United-Juventus 0-1, 2-1.
Se scendiamo nel dettaglio del gioco, si può così riassumere: Napoli dominante al San Paolo, Liverpool ad Anfield.
Inter di episodi a San Siro e 0-0 a Londra che diventa 1-0 per l’ennesimo episodio.
Juventus dominante a Old Trafford e pure a Torino, meno quei fatali quattro minuti.
Veniamo a primavera. Un solo cozzo, ma significativo: Arsenal-Napoli 2-0, 1-0. Ecco: al di là del verdettio indiscutibile, mi sorprese la flessione della squadra di Ancelotti, uno che – da tenico – di Champions ne vinse tre (2 con il Milan, 1 con il Real). Una flessione non paragonabile al crollo della Juventus – nel secondo tempo contro l’Ajax e, più in generale, in tutto il 2019, ritorno con l’Atletico e sprazzi di Amsterdam esclusi – ma comunque un allarme serio, documentato e documentabile.
I motivi? La serie A non allenante che ha portato persino il Napoli a staccare inconsciamente la spina? Può essere. La differenza dei tecnici? Ancelotti è un fusignanista che si è sciacquato i panni a Londra, Parigi, in Baviera e a Madrid. Accetto l’italianismo talvolta esagerato di Allegri, anche se non mi basta: la sua Juventus era arrivata in fondo – in due anni su quattro – a tutte e tre le competizioni (campionato, Champions, Coppa Italia). Temo che, questa volta, abbia sbagliato i calcoli natalizi. Responsabilità grave, sia chiaro. Infortuni a parte.
Aggiungiamo pure gli stimoli: Liverpool a parte (ancora in lotta, seppure con mozziconi di speranze, per il titolo), Tottenham, Chelsea e Arsenal non avevano più da tempo pruriti di «scudetto». Al Napoli, però, non restava che l’Europa League, mentre la Juventus, con la pancia piena, aveva preso Cristiano Ronaldo per far fronte proprio, anche, a scenari del genere (in patria facilmente pronosticabili).
Se vuole la mia opinione – «una» opinione, almeno – credo che la propaganda abbia gonfiato troppo il valore netto dei nostri giocatori. Non è tutto, non è poco.
Grazie ancora per lo spunto.
La Juve di Pep secondo Momblano : https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=7Iqbawkgeds
richieste da parossismo di esaltazione o, se vogliamo, imbecillità di non capire che non sei un fenomeno
di fronte a simili pretese vedremo di che palle è fatta la dirigenza
@Superciuk : ho sentito Moggi dire – qualche giorno dopo il ritorno con l’Ajax – che era a Torino a guardare la partita assieme a Deschamps e lui ha smentito di voler lasciare la nazionale.
Eppure un sgiretto con leggganze di dybbala, cansaaalo, costa e rugani, maremma majaaaaala. Tuttizzzzitti cheppppalllloio.
https://www.tuttojuve.com/primo-piano/ecco-le-richieste-di-allegri-triennale-da-10-12-milioni-a-stagione-e-quattro-acquisti-top-ma-la-juventus-469686
Fantastico.
Ormai siamo alla farsa.