In fin dei conti, tre vittorie e una sconfitta, quella della Dea nella tana dell’orco Guardiola. Bilancio più che decoroso. L’Inter ha sofferto a domare il Borussia, che per lunghi tratti ha palleggiato nella sua metà campo, ma alla fine 2-0 e un rigore di Lautaro, fra i migliori, parato da Burki. Un’Inter sempre sul pezzo, in vantaggio lungo l’asse De Vrij-Lautaro, salvata da Handanovic un paio di volte e capace di sfruttare quel vecchio arnese che non lascerei mai in cantina: il contropiede (Brozovic-Candreva).
Il penalty, per la cronaca, se l’era guadagnato Esposito, classe 2002, il ragazzo bloccato da Conte dopo il k.o. di Sanchez. Un guerriero tosto, abile a cogliere l’attimo: non è che l’Italia ne offra molti, a quelli della sua età. L’Inter raggiunge così il Borussia a quota 4, un Borussia che ha chiesto a Sancho (classe 2000) più di quanto il giovanotto potesse dargli: in quella foresta di titic-titoc, almeno. E contro avversari pazienti, implacabili, bravi nel trasformare i limiti in risorse.
Se la partita di San Siro è stata lenta, complessa, a scacchi, l’ordalia di Salisburgo è schizzata subito via come un tappo di champagne. Mi ha ricordato, nelle convulsioni e nelle emozioni, il 4-3 che il Napoli raccolse a Firenze: Mertens, Haaland dal dischetto, ancora Mertens, ancora Haaland e poi Insigne. Ancelotti gli aveva preferito Lozano. Non c’era Manolas, e il solo Koulibaly non è bastato ad arginare quel sacramento norvegese di Haaland (19 anni, 1,84 per 87 chili). C’era Meret, per fortuna.
Ritmo alto, cozzi omerici e la capacità, sempre, di rialzarsi dal pareggio. L’abbraccio di Insigne a Carletto, allo squillo del 3-2, non è stato teatro: è stato un messaggio. Il Napoli rimane in testa al gruppo, davanti al Liverpool, gli ottavi ormai in tasca. E con la doppietta, Mertens ha staccato Maradona: 116 gol a 115. Sono coincidenze che allenano la memoria. Ah, Diego.
Caro Beck
interessante sermone (acc, articolo). Che condivido in larghissima parte. Con un inciso (c’è sempre l’inciso, se no…).
Quel che diceva Giraudo è molto vero, molto cinico ma…. ma sarà pur vero come sia importante arrivare in fondo e vincere o me sia una lama a doppio taglio. Ma per spuntare i contratti migliori, gli sponsor migliori, i giocatori migliori e quindi rimanrere li e crescere, qualche volta (bayern 2013, manchester 2009 mi pare), la devi portare a casa. Se no il tutto si sfarina e a cima si si sfilaccia. Credo che AA stia facendo quel tentativo li e sia conscio che al di la del discorso economico (al quale io credo come lei) debba fare il saltino.
Io però sostenevo che se la situazione si è già cristallizzata ampiamente, nei prossimi due tre anni mi sa che sarà un dentro fuori. Suning, con Conte, sta cercando di mettere un piede prima che si chiuda la porta. Secondo me il piede ce lo mette solo se Conte vince in italia quest’anno, si tiene un grande allenatore e poi riesce, consentito in ciò dal FFP (e non mi pare così pacifico), ad investire molto.
Tra la fine degli anni 80 a la fine dei primi duemila le milanesi non hanno solo trascurato i nuovi venti che sarebbero soffiati. Hanno drogato il mercato, facendo dumping interno pesantissimo. Mentre altri dovevano vendere e comprare.
Nelle ultime settimane i giornali (digiuni di finanza ed economia) hanno sbraitato su un rosso di 39 milioni di una società in crescita che fattura 600. Mentre un rosso di 150 di una società che ne fattura (forse il doppio) non dico sia passato sotto silenzio ma, suvvia, che sarà mai.
Gentile Teodolinda, buon giorno. Certo. Ho riportato solo una battuta di Giraudo. Un paradosso per spiegare o riassumere gli scenari della cristallizzazione ad altissimo livello. Eravamo negli anni Novanta.
Scusate, l’economista di Pontida s’è pronunciato sul discorso di AA dell’altro giorno e sul risultato di Bilancio della Juve illustrato agli azionisti?
O è ancora impegnato nella carnevalata del Po?
Tutto molto chiaro, e abbastanza condivisibile, Primario.
Su una cosa non sono d’accordo, sul fatto che non convenga vincerla la coppa per colpa dei premi che dovrebbe sganciare ai giocatori.
E’ un ragionamento molto limitato, infatti varrebbe se una società non avesse l’ambizione di far crescere il brand, l’immagine. Ragionando in un solo anno certo conviene, ma non ne aumenta l’appel dei colori, non fa aumentare il parco tifosi. Se oggi il Real e il MU hanno il maggior fatturato è perchè negli anni passati hanno vinto e hanno “investito” pagando premi superiori alla vincita delle finali.
Gentile Robertson, buon giorno e scusi per il ritardo. Devo ancora riprendermi dal 9-0 di Southampton-Leicester. A noi! Cominciamo da una definizione che mi sta a cuore, visto che è l’argomento da lei proposto: «Il futuro non è un posto migliore, ma solo un posto diverso» (da «Strade blu» di William Least Heat-Moon). Tanta curiosità e tanto, tantissimo tifo per un domani più eccitante, ma piedi ben saldi a terra. Anche perché, fra le misure prese per ridisegnare la mappa europea (ma andava bene anche il refuso «mamma» europea), figura addirittura un passo indietro: il «recupero» di una terza coppa (la Coppa delle Coppe del Novecento, più o meno).
Lei parla di cristallizzazione. Io, nel mio piccolo, ne scrivo da anni. Ci sono sette società che detengono – direttamente o indirettamente – le rose di tutte le altre società al mondo. Le cito in ordine sparso: Barcellona, Real Madrid, i due Manchester, il Paris Saint-Germain (unico caso al mondo – e di tutti i tempi, direi – di club governato non già da una multinazionale ma da una nazione, il Qatar), Bayern e Chelsea, quest’ultimo condizionato dagli ultimi triboli di Abramovich.
Cosa intendo per detenere «inderettamente» l’organico di un’altra società? L’esempio è Paul Pogba. Un Ferguson stanco, nemico giurato di Raiola, si appisolò al punto da perderne di vista il talento grezzo. E così il francesone finì alla Juventus. Ma non appena lo United decise di riprenderselo, se lo riprese: se non l’anno fissato, quello immediatamente successivo. Non tanto per la cifra offerta ad Agnelli, quanto per l’onorario proposto al giocatore.
Altra cosa, tanto per rendere l’idea degli scenari futuri che non vedo poi così diversi o lontani dal panorama presente, ormai cristallizzatosi. Forse gliel’ho già raccontata. Passeggiando per Trondheim con Antonio Giraudo, all’epoca di una traferta europea della Juventus, il discorso cadde sulla formula della Champions e Giraudo mi disse, sorridendo: «Sei proprio sicuro che convenga vincerla, la Champions? Con tutti quei premi che poi devi sganciare, al netto del jack-pot Uefa…». Una battuta, certo. Ma prenda la finale del 2017, la finale di Cardiff: consideri il malloppo Uefa incassato dal Real e dalla Juventus e al buon Florentino detragga la fetta enorme dei premi ai giocatori. Uhm.
Perché scrivo questo? Perché ormai, a certi livelli, si vive di piazzamenti, di cristallizzazione, per usare il termine-bandiera da lei alzato, la sentenza Bosman (15 dicembre 1995), i diritti tv e il nuovo format della Champions (prima edizione ufficiale, 1992-1993: Marsiglia-Milan 1-0) hanno sabotato gli equilibri internazionali e domestici. Chi è dentro, è dentro; chi è fuori, è fuoru. Butti un occhio sull’albo d’oro: da quando la Coppa dei Campioni è diventata Champions, miniera di tv, sponsor, eccetera, solo due squadre che non l’avevano mai vinta l’hanno vinta: il Borussia Dortmund e il Chelsea. Due su ventisette edizioni. Controlli, per favore: non vorrei aver scritto una inesattezza. Lo trovo un dato molto indicativo: conferma, se vogliamo politicizzare il gergo, la tendenza a una certa circolo chiuso. E se non proprio chiuso, molto selettivo.
In teoria, si dovrebbe lavorare per allargarlo. In pratica, ognuno tirerà l’acqua al suo mulino: Agnelli presidente (della Lega europea dei club) compresa. Non vanno trascurati, al fine della nuova composizione dell’Europa calcistica, l’importanza che la Premier ha assunto (prima edizione, 1992-’93: curiosamente la stessa stagione del distacco tra Coppa Campioni-Champions), il campionato più ricco, nelle casse e (oggi) sul campo, perché tutti sono ricchi; e gli investimenti della Cina.
Magari mi sbaglio, ma allargare il ventaglio dei club egemoni o comunque protagonisti sarà difficile: ormai la situazione è cristallizzata, non c’è bisogno di cristallizzarla ulteriormente. Tifo perché lo «ius soli» (del campo) prevalga sempre e comunque sullo «ius bacheche» (ci siamo capiti). Già ai tempi del «vero» Berlusconi, Galliani aveva messo la manina avanti.
Veniamo, gentile Robertson, alle milanesi. Certo, la Juventus le ha staccate. I motivi principali, a mio avviso, sono stati due: 1) i paletti del Fair play finanziario, che (Galliani dixit) hanno impedito di fare (ad alcuni, almeno) operazioni che nel secolo scorso sarebbero state lecite e/o tollerate; 2) rosso di bilancio ed estinzione dei mercenari a parte (penso al Cavaliere, alla famiglia Moratti), Inter e Milan hanno sbagliato lo step cruciale del cambio di proprietà. Il Milan, con il fantomatico mister Li, più ancora dell’Inter, con il cinico mister Thohir.
Senza soldi e senza competenza, sono dolori. Non si può vivere sempre e soltanto di parametri zero. Certo, l’Inter ha trovato Suning. Sarà lei la grande avversaria della Juventus. E potrebbe esserlo anche il Napoli, a breve, a patto che De Laurentiis piangesse di meno e «fottesse» economicamente di più. Non dimentichi, come ha scritto più volte Mario Sconcerti, che Napoli è l’unica grande città europea ad avere una sola squadra.
Il calcio meneghino se ne accorse, del cambiamento e come (in fin dei conti, già negli anni Cinquanta-Sessanta Milano aveva avvertito subito il nuovo vento, a differenza di Torino). Ma sbagliò le ripartenze (ma sì). Cosa sarebbe successo se l’Inter fosse passata subito da Moratti a Suning? E se il Berlusca avesse trovato un Berlusca cinese, e non un avventuriero come quello Li? Mah. Il mondo dello sport ha scelto la quantità. A me, per esempio, non piace affatto la nuova formula del Mondiale per club. Come strumenti selettivi, dovrebbe bastare e «resistere» i campionati nazionali e le coppe continentali. Si gioca troppo, il doping nel calcio è una cosa da ridere, ma il giorno in cui diventasse una cosa appena un pelo più seria, con veri controlli a sorpresa, uhm.
I campionati dovrebbero scendere a 16 squadre, da quanti anni lo urliamo? Tirando le somme, si va verso il calcio dei soliti noti, con rare eccezioni (le due finali dell’Atletico, la finale del Tottenham), ormai si gioca più Barcellona-Inter che Inter-Parma, difficile che possa nascere un altro Nottingham Forest.
Gentile Robertson, vedo un futuro noioso, in cui per restare vincenti basterà essere finalisti (riguarda tutti), cristallizzati ai vertici e sarà difficile, per tutti, raggiungere i club già in fuga dalla caduta del muro della Coppa dei Campioni (1992).
Grazie dello spunto.
Fuori da sei mesi
Se per costa ci sono voci di vita non da atleta,la questione ramsey purtroppo è ben diversa.
Il giorno del suo annuncio avevo immediatamente scritto della mia soddisfazione per un guocatore che mi strapiace per corsa tecnica intelligenza tattica e gol.però’ era un “ma”legato alla sua cartella clinica e purtroppo il ragazzo e’praticamente fuori da sei per uno stiramento riportato in Europa league a Napoli in aprile.difficile non pensare ad una sua limitata idoneità.
Speriamo bene.
eppure Howedes l’altra sera ha giocato contro di noi e non tanto malaccio..A volte penso, Nino, che certi giocatori vengono alla juve per curarsi e poi vanno a cercare fortuna da altre parti. Esempio che mi da fastidio, in questo senso, me lo ha dato Asamoah..Due anni a pagargli lo stipendio profumatamente quando stava male e non giocava per poi andarsene parametro zero a quelli là con la compiacenza dell’allora Ad GIUSEPPE MAROTTA, il genio! leo
Lecce, la storia del caldo non mi convince, siamo a fine ottobre previsti a inizio partita 21 gradi che non mi sembra una fornace
piuttosto peserà giocare ogni 3 giorni, specie dopo una partita impegnativa di champions
preoccupano in prospettiva DCosta e Ramsey, sulle cui condizioni aleggia mistero, ci mancherebbe fossero diventati un doppio Howedes
poi certo il Lecce viaggerà a manetta, come sempre le piccole contro di noi, per cui spero (invano) di non vedere in campo il Cammello
Sarri non ha messo nessuna mano avanti, anzi ha dichiarato tutt’altro e comunque ha specificato che bisogna fare in modo di non cadere negli errori di Firenze.
Scritto da MacPhisto il 25 ottobre 2019 alle ore 22:54
Allora quello che ho letto sarà stato mal riportato dal solito giornalaio… non sarebbe la prima volta. Meglio così.
Condivido la preoccupazione su Douglas Costa e Ramsey, tanto più se gli esami del brasiliano danno esito negativo, non si capisce cosa lo blocchi. Sono giocatori veramente ottimi ma certo se giocano 10 partite a stagione servono a poco.