Posto che i due litiganti fossero, e rimangano, Juventus e Inter, occhio al terzo incomodo, molto molto incomodo. La Lazio. Le ha date a Sarri (3-1 in campionato, 3-1 in Supercoppa), ha rimontato e sorpassato Conte. Non perde dall’Inter di San Siro (toh!). Undici vittorie consecutive, diciannove risultati utili, la miglior difesa. Sa soffrire, sa ribellarsi. E vi raccomando il centrocampo: Lucas Leiva il lucchetto, Luis Alberto il rifinitore (non tanto, stavolta), Milinkovic-Savic, il giovane Holden (soprattutto stavolta: una gran traversa, un gran gol; e possesso-partita, non possesso-palla).
Il gol di Young arrivava dal mercato, oltre che da un contropiede e da uno Strakosha non proprio impeccabile. Era il 44’, la partita fin lì era stata una torta della quale gli «invitati» pretendevano le fette più gustose. Alla fine, avrebbe prevalso il coltello laziale. Ricominciava molle, l’Inter, e una spinta sgangherata di De Vrij offriva a Immobile il rigore del pareggio. Non è stata, per i portieri, una notte felice. Neppure per Padelli: provvidenziale nel negare il 3-1 a Ciro, ma incerto sul mischione della prima rete e (coperto?) sul bisturi serbo della seconda. Immagino le processioni a casa Handanovic.
Non ho capito perché Conte abbia sdoganato Eriksen così tardi. Inzaghino, lui, si è giocato Lazzari (soprattutto), quando la glassa, sul tavolo, invocava golosamente un padrone. Acerbi ha troneggiato, Lukaku e Lau-Toro hanno sempre trovato qualcosa o qualcuno negli attimi struggenti. La Lazio può alternare il fraseggio al lancio lungo, e la panchina non è più zavorra. Senza trascurare un dettaglio: la Juventus ha la Champions League e la Coppa Italia, l’Inter l’Europa League e la Coppa Italia, Inzaghi nulla. «Solo» quattordici partite. Sappiamo quali. Scudetto a tre, dunque. Ma non più nell’ordine fisso, drastico, d’agosto.
Il tempo dirà , magari sarà un fuoco di paglia, ma ho la netta sensazione che con Haaland abbiamo perso un’occasione di quelle importanti