Era un’amichevole di fine luglio, tra la Juventus obesa del nono e il Cagliari pelle e ossa di questo scorcio. Se non ne scrivessi, mancherei di rispetto a un’isola e alla saga di Gigi Riva; a Luca Gagliano, 20 anni, un gol e un assist (per il suggello del Cholito Simeone, con Buffon po’ troppo gigione); a Federico Mattiello che, dopo quello che ha passato, rivedo sempre volentieri; e perfino a Luca Zanimacchia, classe 1998, il più vivace della nidiata sarriana, tanti grembiulini e poche frecce.
Gli schemi, racccontava Nils Liedholm, si provano in partita e riescono perfettamente in allenamento. La battuta rimane valida. Dovrei fermarmi qui, pensando all’emergenza di un campionato che, cominciato il 24 agosto, si concluderà domenica 2 agosto.
E difatti mi fermo. Tutto il resto – la sesta sconfitta, i 40 gol al passivo, dettaglio che rimanda alla nostalgia canaglia per i tempi ruggenti di Giampiero Boniperti, John Charles e Omar Sivori, 1961 o giù di lì; il dominio della partita e la resa del risultato, Maurizio Sarri ammonito, tutti al servizio dell’ago Cristiano nel pagliaio di Alessio Cragno, la formazione digestiva e la testa alla Champions, gli ingorghi al centro e le fasce trascurate, quando non occupate dal palleggio-arresto-cross di Juan Cuadrado o dai campanili di Federico Bernardeschi; tutto il resto, dicevo, è noia, gole secche, bottiglie scolate, cori lontani, attesa non proprio spasmodica per l’avvento della lupa romanista, domande antiche (scusa, ma cosa ti aspettavi?), forse troppa indulgenza, forse troppa crudeltà .
Anche l’anno scorso, e senza Covid di mezzo, l’epilogo era stato più o meno lo stesso. E così, dal Minestraro al Pietanzaro, il Lione si accinge a fissare i nuovi paletti, gli ultimi confini. Perché, come ha scritto Dino Zoff nella sua biografia, «dura solo un attimo, la gloria».
Grazie gentile Roberto.
Mi ha ricordato i tempi nei quali entravo al legislativo liceo con tuttosport sottobraccio empio di titoloni e foto sulle vittorie domenicali bianconere, a dispetto di tutti quelli che viceversa entravano con il corriere dello sport. Quella patina diversa dagli altri, quella parvenza di giornale un po’ anni trenta mi faceva sentire orgogliosamente diverso da laziali e romanisti, adepti dello strillone ma pur quotato De Cesari.
Stanno scoppiando i fegati. Bene così.
Per tacere del campionato 2015/2016 nel quale fino a dicembre ci trovammo nella parte destra della classifica e tutti quelli che giocavano contro di noi venivano a fare la gita della domenica.
Gentile DinoZoff, fu il mio primo giornale. Arrivai a Torino il 20 agosto 1970, a nemmeno vent’anni. Mi aveva proposto, da Bologna, Gianfranco Civolani. Era rimasta vacante la cattedra del basket, dal momento che Zelio Zucchi, il titolare, si era trasferito al Corriere d’informazione.
Mi ero appena iscritto a Scienze Politiche (che poi, colpevolmente, abbandonai). Il direttore era Giglio Panza. C’erano Pier Cesare Baretti, Camin, Gianni Ranieri, Gian Paolo Ormezzano, Gianni Romeo, Silvio Ottolenghi, Giorgio Reineri, Gino Baggi, con Mario Bardi, Gian Piero Ginepro e Silvio Garioni a Milano, e mi fermo qui perché ho paura di dimeticare qualcuno (anzi: sono sicuro).
Era un altro secolo, era un altro giornalismo. La carta era ancora il quadro, la televisione appena la cornice, in attesa del capovolgimento epocale. La redazione era in via Villar, 2. Rasente la linea ferroviaria Milano-Torino. C’era lì vicino la stazione di Porta Stura, se non ricordo male, in prossimità della quale il treno, spesso, rallentava al punto che qualche volta saltavo giù e tagliavo verso la redazione, guadagnando almeno un chilometro.
Grande palestra in una Torino che stava suggellando i decenni della grande migrazione dal Sud. Mi trovai benissimo. Ricordo sempre la terza pagina di quel «Tuttosport», in largo anticipo su tutti, su tutto. Le poesie di Gpo, le inchieste di Renato Morino (che si trasferì in «Gazzetta» poco prima che arrivassi), i ditirambi di Vladimiro, la prosa asciutta di Pierce (Baretti). L’editore si chiamava Piantelli, desinenza a Torino molto in voga.
Come disse Giovanni Arpino, alludendo naturalmente ed esclusivamente al tipo di stampa vigente, erano gli anni di piombo. Con il telefono e gli stenografi, le dettature a braccio, le canoniche righe in fondo ai servizi notturni («Mentre questa edizione va in macchina, la partita è ancora in corso»). Non rare volte aspettavo la fine della prima edizione, ore 23 circa, per poi scroccare un passaggio per Bologna all’auto che portava i giornali. Esperienza bellissima, on the road, sgommando sgommando e parlando parlando. Scendevo alla stazione, entravo in casa alle 3-4 di mattina.
Si poteva fumare in ufficio. Fumavo anche la pipa. Nessuno fiatava. E per fornire i risultati e i marcatori del campionato inglese, telefonavo a un cameriere italianissimo che lavorava in un ristorante a Londra, in zona Soho. Giuseppe Matarrese, si chiamava. Sentiva le partite per radio e mi riferiva. C’era la teleselezione (ma non ancora con i Paesi dell’est).
Nostalgia canaglia.
Ho preso a casi due o tre momenti degli scorsi sei anni. No perché mi ero un po’ stancato del fatto che a sentire alcuni qui i cinque anni di Allegri sarebbero stati contraddistinti da una feroce macchina da guerra che nn sbagliava mai ma che portava solo perfezione. Invece non è mai stato così e non lo è stato sempre. E pure mister Allegri è stato spesso un piangina. Bisogna fare chiarezza ogni tanto e così ci ho pensato io.
https://www.google.com/amp/s/www.calcioweb.eu/2014/12/le-incredibili-lamentele-di-allegri-sulla-supercoppa-un-comportamento-ingiustificabile/156134/amp/
https://www.google.com/amp/s/mattinopadova.gelocal.it/sport/2015/01/08/news/allarme-juve-ripresi-troppe-volte-1.10630757/amp/
https://www.google.com/amp/s/www.ilposticipo.it/calcio/juventus-allegri-difesa-gol-subiti/amp/
Buongiorno Beccantini.
Un suo pensiero legato ai 75 anni di Tuttosport.
Grazie.
D’accordo con te alemichel….polemica inutile e da perdente, come un conte qualsiasi, o come il Sarri napolistyle. Se questo era il problema poteva abbozzare e schierare parte dell’ under 23 già a Cagliari. Nella vita e nel calcio puoi avere risultati o scuse, non entrambi (letto nello spogliatoio del Barcellona, autore Louis Enrique).
Spero che in società si rendano conto che il gioco e quest’ allenatore bifolco non fanno parte né della Juve né dello stile Juve.