Non aveva scelta, Antonio. Dimettendosi a due stagioni dalla scadenza del contratto avrebbe perso 24 milioni di euro. Netti. Fin dai tempi di Confucio, i cinesi sono molto pazienti ma pure molto ferrati nell’arte della guerra (Sun Tzu). Steven Zhang lo ha atteso al varco: io, licenziare uno stratega che mi ha fatto arrivare secondo in campionato e in Europa? Mai nella vita: anche se ogni tanto sbrocca; anche se ogni tanto hollywoodeggia. E così, per ora, rimangono tutti: Marotta, Oriali, perfino Ausilio.
Ha vinto il «Devo pensare alla famiglia» sbocciato a Colonia. E, perché no, l’incubo che Allegri potesse ripetere il «fallimento» di Torino, quando venne precettato d’urgenza al suo posto e qualcosina aggiunse ai mobili che aveva trovato.
L’Inter di Conte, l’Inter che Conte ha condotto a sette punti (effettivi) dalla Juventus di Sarri. E dal momento che Agnelli ha cambiato di nuovo pilota, Antonio ripartirà con il vantaggio, non lieve, di una continuità tecnica che Pirlo, viceversa, dovrà costruirsi. L’allenatore non si discute, per quanto debba imparare a gestire quella che chiamo la «politica del doppio binario», campionato ed Europa insieme e non separati. Il resto è un traliccio d’alta tensione, un po’ distratto (ai tempi delle scommesse di Bari e Siena) e sempre visceralmente sul pezzo. Se Mourinho fiutava i nemici fuori, Conte li «sente» dentro, nella società : a cominciare dai ristoranti, mai all’altezza dei suoi menu.
Chiudo con Messi. Ha 33 anni, gli stessi che aveva Cristiano l’estate in cui mollò il Real. Sarà vera fuga o, più terra terra, una mossa per cacciare l’attuale presidenza? Leo è Federer, un Federer che però ha giocato sempre e solo a Wimbledon (Barça). Cristiano è Nadal, un Nadal che però si è fatto gli Us Open (Manchester United), Wimbledon (Real) e Roland Garros (Juventus). E se la chiave, tardiva, fosse questa?
Sta roba della Bernarda puzza di cessione Pellegrini.
Gentile Teodolinda, buon giorno e scusi per il ritardo. La dicotomia Europa-Juventus conserva sempre un grande fascino. Grazie per avermi girato il passo di «Juventibus». Come scritto in occasione dell’apertura della Clinica, uso le risposte (a voi Pazienti), ogni tanto, come si può usare il telefono. La terapia contempla, anche, il paradosso, la «fialetta puzzolente» come piace chiosare al gentile Robertson.
Qui di seguito troverà l’albo d’oro internazionale delle tre Grandi italiane, con in testa – naturalmente – il Milan, la società storicamente meno «sovranista» e, della triade, la più aperta all’evoluzione del gioco, anche perché dal 1907 al 1951 non è che avesse molto altro da fare (44 anni, zero scudetti). L’ordine è dettato, come per il medagliere olimpico, dal numero degli ori (in questo caso, per metafora, delle Coppe dei Campioni/Champions League conquistate).
======Competizioni internazionali, 22 giugno 2020=============================
MILAN (28 finali e 18 trofei)
7 Coppe dei Campioni/Champions League: 1963, 1969, 1989, 1990, 1994, 2003, 2007
2 Coppe delle Coppe: 1968, 1973
5 Supercoppe d’Europa: 1989, 1990, 1994, 2003, 2007
3 Coppe Intercontinentali: 1969, 1989, 1990.
1 Mondiale per club: 2007.
** 10 finali perse: 1958 Coppa dei Campioni, 1963 Coppa Intercontinentale, 1973 Supercoppa d’Europa, 1974 Coppa delle Coppe, 1993 Champions League, 1993 Coppa Intercontinentale, 1993 Supercoppa d’Europa, 1994 Coppa Intercontinentale, 1995 Champions League, 2005 Champions League.
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INTER (14 finali e 9 trofei)
3 Coppe dei Campioni/Champions League: 1964, 1965, 2010
2 Coppe Intercontinentali: 1964, 1965
1 Mondiale per club: 2010
3 Coppe Uefa: 1991, 1994, 1998
** 5 finali perse: 1967 Coppa dei Campioni, 1972 Coppa dei Campioni, 1997 Coppa Uefa, 2010 Supercoppa d’Europa, 2020 Europa League.
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JUVENTUS (22 finali e 11 trofei)
2 Coppe Intercontinentali: 1985; 1996
2 Coppe dei Campioni/Champions League: 1985, 1996
1 Coppe delle Coppe: 1984
3 Coppe Uefa: 1977, 1990, 1993
2 Supercoppe d’Europa: 1985, 1996
1 Intertoto: 1999.
** 11 finali perse: Coppa delle Fiere, 1965 e 1971; Coppa Intercontinentale 1973; Coppa Uefa 1995; Coppa dei Campioni/Champions League 1973, 1983, 1997, 1998, 2003, 2015, 2017.
(Se vuole togliere l’Intertoto, 21 finali 10 trofei).
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Sul piano quantitativo, gentile Teodolinda, poco da obiettare. E in merito alle finali – al loro significato, soprattutto se perse – sto con Dan Peterson: «Per raccontare una finale persa, devi averla prima giocata». E sempre sia lodato il «Panini» inglese che considera anche, negli albi d’oro dei club, i secondi posti («Runners-up»).
Entro questa cornice, entro queste pareti, veniamo al sodo: NELLA SUA STORIA, LA JUVENTUS DEVE VINCERE ANCORA UNA FINALE SU AZIONE. Non mi sembra poco. C’è chi scorge, in questo dato molto estremo e molto estremista, una sorta di «patteggiamento» con il destino: cinico e caro in patria, cinico e baro all’estero. Fino a un certo punto, ci può stare. La Juventus è il Real d’Italia e, per Arrigo Sacchi, il Rosenborg d’Europa, addirittura: segua, mi raccomando, la traccia dell’iperbole, non l’involucro. Il messaggio, per quanto possa coincidere con il mezzo, non la forma.
Manca, alla Juventus, quella che chiamo la scintilla. Non dimentichi che la prima trasferta, in assoluto, coincise con un mortificante 0-7 a Vienna e che il primo trofeo fu alzato nel 1977, dopo che le milanesi avevano già conquistato Europa e Mondo, sulla scia di Fiorentina (la prima in assoluto) e Roma che fin dal 1961, si erano assicurate – rispettivamente – Coppa delle Coppe e Coppa delle Fiere.
Manca la reiterazione di partite come il 3-0 al Barcellona di Messi, Iniesta, Suarez, Neymar dell’aprile 2017. Ecco: manca una finale di quel calibro, vinta con quel piglio. Voglio dire: una vittoria così piena, così rotonda, capace di strappare il consenso – se non l’applauso – perfino ai neutrali. Se lei legge un libro di storia calcistica europea, troverà la Juventus lontana dalle squadre che ne hanno scritto e aggiornato la storia: il Real di Di Stefano e il Real di Cristiano, i Milan di Rocco e Sacchi, l’Inter del mago, l’Ajax totale di Cruijff, il Bayern della tripletta della generazione B(eckenbauer) e del torello verticale di Heynckes, il Liverpool del passing game e di Keegan-Dalglish, il Barcellona totalizzante di Guardiola e Messi. Senza trascurare colui che, nel rapporto risorse/risultati, rimane per me l’esempio più virtuoso, più clamoroso: il Nottingham Forest di Brian Clough che, da uno «scudetto» ricavò addirittura due Coppe dei Campioni.
Il dislivello, secondo me, viene poi accentuato dalla forbice scudetti (nove consecutivi)-Champions (due finali, ultimo successo nel 1996). Il Bayern, che non spende o spande come gli emiri del Paris Saint-Qatar (padroni dal 2011, comunque: non dal secolo scorso), e neppure come gli sceicchi del City, ha vinto, sì, otto Bundesliga di fila ma ha pure alzato, nel terzo millennio, due Champions (2013, 2020) e disputato due finali (2001, 2012). La qual cosa racconta di una forza che esula dalla pochezza delle squadre che lo circondano. Si può dire altrettanto della Juventus e dei suoi nove titoli in relazione alla concorrenza? Uhm. Fuori nei quarti contro i ragazzini dell’Ajax (salvo acquisirne poi uno per 80 milioni di euro) con il gestore, fuori negli ottavi contro il Lione con il visionario (e in capo a una stagione, per carità , molto tribolata, molto complicata, molto «contagiata»).
Ma questa è cronaca. Non dimentichi la storia, gentile Teodolinda. La cronaca può illudere e, se tradotta male, addirittura confondere. La storia no. La storia è una pila di anni, non di mesi. La storia è lì. Quante volte vi ho riproposto la diversità tra Milano, città appesa all’Europa, e Torino-Juventus-Fiat, città appesa all’Italia? Perché lo sport – e nel nostro caso, il calcio – non dovrebbe risentirne, o esserne specchio, o farne da spugna? Al netto, sia chiaro, delle casualità , degli episodi e di tutto quello che ci piace rubricare alla voce «scorte ed eventuali»?
Se uno sfoglia l’album del campionato italiano, la Juventus affiora subito. Se la stessa persona, viceversa, sfoglia l’album dell’Europa, la Juventus emerge dopo. Nel gruppo. Naturalmente, in my opinion. Il concetto di fabbrica, vincente in patria, non si è rivelato altrettanto prezioso e dirimente fuori. L’italiano lo conosce bene, gentile Teodolinda: per alzata di mano, giurerebbe su sua madre di non voler vincere una finale di Champions al 94’ su autogol (una volta, prima che arrivasse il Var, si diceva: su rigore inventato); in cabina, con il lapis in mano e la tendina tirata, ci metterebbe due o tre croci.
Ricapitolando: la Juventus partecipa alla Coppa dei Campioni dalla stagione 1958-1959 e deve ancora vincere una finale su azione. Con tutto il rispetto per il numero delle finali stesse – che per primo segnalo e che per primo sventolo in faccia a coloro, e sono tanti, e sono troppi, che considerano i secondi «primi dei perdenti», non importa dove – l’Europa della Juventus e la Juventus de’Europa restano capitoli misteriosi, controversi ed eccitanti, alla fine dei quali mi ritrovo sempre al solito punto della trama. Fra gli esclamativi dell’era lippiana (1 trofeo da 4 finali consecutive, 1 Uefa-3 Champions) e gli interrogativi che la stessa striscia ha lasciato, né più né meno – «Infandum, regina, iubes renovare dolorem» – della notte di Atene 1983, il confine più aspro, più duro, più emotivo fra speranza e realtà , tra ambizioni e frustrazioni.
Grazie dello spunto sollevato.
Buongiorno a tutti, su Bernardeschi penso che forse ci aveva visto lungo Paulo Sousa quando lo faceva giocare 5to di centrocampo….ha fisico, ha gamba e buona tecnica ma non sopraffina, è un buon cavallo da fare correre avanti e indietro, ho però dei dubbi sul fatto che lui ci si veda in quel ruolo, secondo me ha un’opinione troppo grande di se stesso…..
Su Rabiot credo che si debba assolutamente sfruttare il suo “buon” finale di stagione per abbracciarlo fortissimo e ringraziarlo e venderlo al primissimo offerente.
Su Ramsey (la versione sana) che personalmente adoro, ci penserei due volte prima di venderlo, e lo terrei in rosa.
Scritto da Robertson il 30 agosto 2020 alle ore 22:44
Bello pimpante Onofrio, complimenti,
Mi ero preoccupato vedendola sparire per tre giorni dopo il Lione,.
Virilita’ a convenienza.
Arriverà il 5 ottobre?
Come scrive Alex, la differenza di pasta tra Kulusevsky e la Bernarda (cit.) è abbastanza evidente. Ma un tentativo di zambrottizzazione lo farei. E l’idea del 3-4-3 è molto, molto interessante.
Penso che la sola ragione che frena la cessione immediata e senza appello di Bernardeschi sia il fatto di essere italiano e un minimo d identità , per scelta e regolamento (riduzione degli slot disponibili), lo si debba conservare.
Sono convinto che il ragazzo abbia definito la sua “cilindrata” e che questa non sia adeguata alla titolarità in un club di prima fascia. Ne avesse l’umiltà (leggi voglia di limitarsi anche negli ingaggi), lo vedrei bene a ricominciare in contesto come l’Atalanta di Gasperini (compiti chiari e definiti, poco da pensare e molto da correre): lì è rinato al grande calcio anche un umorale come Ilicic (cui vanno i miei migliori auguri e pensierri per quello che gli sta capitando).
Scritto da bilbao77 il 31 agosto 2020 alle ore 10:27
cucù ;-)))
Fabrizio in parte sono d’accordo con il tuo pensiero su Bernardeschi.
Provarlo alla Zambrotta significa un giocatore a tutta fascia….non scordiamoci che Zambrotta ha fatto il terzino sx in una linea a quattro, alla Juve ed in Nazionale. Altro passo, altre caratteristiche rispetto a Berna.
Credo che possa essere impiegato solo come attaccante di fascia destra, anche se potenzialmente potrebbe fare l’interno di centrocampo, avendo corsa e gamba.
Il problema però è la testa, che sembra aver perso.
Pirlo, secondo me, ha il giusto carisma per ridare fiducia e tranquillità al ragazzo ma solo nel ruolo di esterno destro, che è anche il ruolo che ricopre in Nazionale quando è impiegato da Mancini con buoni esiti.
Per carità possiamo provarlo alla Zambrotta o anche a qualcos’altro… temo che la verità sia che é semplicemente inadatto a certi livelli. Succede che un giocatore si blocchi, non cresca piu’, anzi regredisca. Si dice anche che il ragazzo abbia un’altissima considerazione di sé, salvo poi deprimersi ai primi fischi dei tifosi.
Ala,mezzala, terzino… mah. Quando ti devono reinventare ogni anno perché non convinci mai, temo sia colpa soprattutto sua. E ormai non é piu’ una new entry, conosce bene ambiente e pressioni.
Se si potesse cederlo sarebbe la cosa migliore. Poi se non é cosi’ puo’ essere che lo provino suklla corsia sinistra, specie se dovessero cedere Pellegrini.