Oggi Pelé compie 80 anni. E presto, il 30 ottobre, toccherà a Diego Armando Maradona: 60. Uno alla volta, please. Perla nera, perla rara, all’anagrafe Edson Arantes do Nascimento. Edson in onore di Thomas Edison, l’inventore della lampadina. E Pelé ne ha accesa, di luce. Chi scrive, aveva sette anni e mezzo quando O rei irruppe in Svezia dal buco della serratura che era, allora, la tv. Partì riserva, con Garrincha. E fu sul punto di essere bocciato, come Mané, perché, sì, insomma, bravo in campo ma zero fuori: hai capito i luminari do Brasil?
Ha giocato anche in porta, ha vinto tre titoli mondiali, il Santos l’ha consegnato alla cronaca, il Brasile alla storia, i Cosmos al business. Gli almanacchi parlano di 1,72 per 75 chili, ammesso che siano dettagli curiosi. Se Alfredo Di Stefano, per essere «tutto», ha dovuto ricoprire «tutti» i ruoli, a Pelé è bastato essere Pelé. L’essenza e la tendenza del calcio. Destro, sinistro, testa: più di mille gol, narrano i biografi, e una valanga di targhe a raccontare il più bello, il millesimo, l’ultimo.
Se però devo riassumerlo in un attimo, non scelgo un gol. Scelgo un quasi gol. Un frammento di Brasile-Uruguay ai Mondiali messicani del 1970. Il passaggio è di Tostao. Pelé punta Mazurkiewicz. La palla scorre rapida, vogliosa. Pelé non la tocca. La immagina. E gira attorno al portiere, confuso, che lo aspetta al varco, dove può e come può. La più leggendaria e disumana finta di corpo che ricordi. Non importa l’epilogo (O rei recupera l’equilibrio e, mentre un difensore uruguagio barcolla e crolla, sfiora il montante). Importa l’eresia del gesto. Aver pensato un’idea capace di resistere persino ai centimetri dell’errore. Essere andato al di là delle barriere della ragion pura. E mi fermo qui per non cadere nell’apologia di «beato».
E’ stato genio in campo ed «embedded» fuori. Di governo e non di lotta, come il Pibe. Gli è mancata l’Europa, nella sua carriera. Quel calcio che, ai suoi tempi, non era poi così lontano come adesso. Ha chiuso con un’americanata, un’amichevole metà Santos e metà Cosmos. Lui che, un anno dopo la luna di Neil Armstrong, volò sopra Burgnich e oltre, molto oltre, le nostre stelle.
“Ritornava spesso in Italia, e la trovava molto cambiata: si isolava nell’ufficio di Boniperti, nella sede di Galleria San Federico, e stavano ore a parlare di calcio, com’era una volta e come oggi non è più. E non è nemmeno la gazzella danese, il trampoliere del goal. Il goal che arriva dall’alto e da lontano. Il goal modellato nel coro, di un campione strategico per eccellenza, tra i grandi del calcio di ogni tempo, da considerare davvero tra quelli alati.” Questo scriveva Vladimiro Caminiti, un giornalista mi sembra siciliano che ha fatto la storia della Juventus negli anni 40/50 ricordando John Hansen, il primo vero 10 che riportò lo scudetto a Torino non so dopo quanti anni dai famosi 5 di seguito di Combi, Rosetta, Calligaris ecc, di cui mi parlava sempre mio padre In questo blog mi sembra di essere l’unico che può parlare di certi personaggi con cognizione di causa. Con lui assaporai per la prima volta (avevo 10 anni) il gusto del mio primo scudetto e John fu un grande artefice di quella impresa. Scusatemi se io lo ricordo come Vladimiro ce lo descriveva: “Tra i più grandi del calcio di ogni tempo”.
Nn ci capisco più nulla. Adesso la comunità che a inizio ottobre indicava la via, coscienziosa, etica e prudente, lancia fumogeni e fa le barricate perché vuole lo struscio.
Le Asl campane esternano ad intermittenza a seconda delle competizioni e di chi ha le assenze.
Deluca, ci spieghi. Urge un nuovo sermone. Una lezione di civismo.
Che spettacolo deprimente.
Gentile Fabrizio, grazie. Vero, non ha mai giocato in Europa ma ha affrontato molta Europa e comunque, ai suoi tempi, come ho scritto in risposta a un altro Paziente, il calcio sudamericano era molto più vicino, tecnicamente, a quellodel vecchio continente. Se non superiore, qua e là .
Ciò detto, pure io tendo verso Maradona, per sorteggio o quasi. Soprattutto, in rapporto ai compagni di ventura: Pelé aveva Garrincha, Diego Burruchaga. Ma sono opinioni. Per Gianni Rivera, nessun dubbio: Pelé per distacco.
Ma come, a Napoli non hanno mandato la sauadra per senso di responsabilità e per non diffondere il covid e adesso fanno guerriglia nelle strade perchè di notte bisogna stare a casa?
Fabrizio, nel Napoli di Maradona giocavano :
Careca Alemao Giordano, che solo questi 3, più altri 8 di medio livello, oggi ti ci giochi il campionato.
Scritto da Intervengo102 il 23 ottobre 2020 alle ore 22:36
Verissimo, non era da solo.
Ma anche nelle altre squadre giocavano fior di campioni cui i giocatori di oggi potrebbero portare le borracce.
L’angolo della retorica:
chissà perchè lo scorso weekend le italiane impegnate in UCL hanno giocato TUTTE il sabato, mentre questo fine settimana anticipano tutte ECCETTO la Juve, piazzata alla domenica sera.
A Sarri (correttore maledetto)
Off topic,
“Alla fine della mia carriera, quando ho lasciato il Barcellona dopo undici anni, sono andato in Italia. E un giorno, mentre ero a casa a guardare la tv, rimango impressionato da un’intervista: era l’allenatore del mitico team di pallavolo della nazionale italiana Julio Velasco. Sono rimasto affascinato dalle cose che ha detto e da come le ha dette, così alla fine ho deciso di chiamarlo.
Mi sono presentato: ‘Signor Velasco sono Pep Guardiola e mi piacerebbe invitarla a mangiare’. Lui rispose positivamente e così andammo a pranzo. Mentre parlavamo mi rimase bene in mente un suo concetto: ‘Pep, quando deciderai di allenare dovrai avere chiarissima una cosa: non provare a cambiare i giocatori, i giocatori sono come sono. Ci hanno sempre detto che per il coach tutti i giocatori sono uguali, ma questa è la bugia più grande che esista nello sport. La chiave di tutto è saper toccare il tasto giusto. Nei miei giocatori di pallavolo per esempio c’è qualcuno a cui piace che gli parli di tattica e così stiamo 4/5 ore a parlarne, perché so che adora farlo. Qualcun altro invece dopo 2 minuti già si è stufato perche’ non gli interessa e non vuole parlarne più. Oppure qualcuno ama che parli di lui davanti alla squadra: del gruppo, delle cose buone o cattive, di tutto, perché così si sente importante. Altri no, non lo amano affatto, quindi portali nel tuo ufficio e digli quello che gli devi dire in privato. Questa è la chiave di tutto: trovare il modo.
E questo non sta scritto da nessuna parte. E non è trasferibile.
Ecco perché è così bello il nostro mestiere: le decisioni che ieri sono servite, oggi non servono più’…”
Pep Guardiola
Mi ha fatto venire in mente che, forse, questo è l’aspetto che è mancato a Sabrina.
Fabrizio, nel Napoli di Maradona giocavano :
Careca Alemao Giordano, che solo questi 3, più altri 8 di medio livello, oggi ti ci giochi il campionato.
Non capisco perché giocare con maglie rosa sia un farsi del male!?Farsi del male è giocare da cani e perdere…..,