Diego Armando Maradona è stato troppo per tutti, anche per sé stesso. Dimenticarlo sarà impossibile. Ci ha lasciato a 60 anni, l’età che avevamo celebrato non più tardi del 30 ottobre. L’ultimo tango. L’ultimo dribbling. Nato povero, si inventò ricco di talento, così ricco da poter dissipare il sabba che lo circondava e che la sua bulimia, generosa e infinita, aveva contribuito a costruire.
Per me è stato il più grande, più grande persino di Pelé. Gianni Brera lo definì «divino scorfano». Aveva un sinistro ora violino ora coltello; il regolamento, ai suoi tempi, premiava i difensori, e per questo molti, non solo Andoni Goikoetxea, si diedero alla caccia delle sue caviglie. Era un leader naturale in campo e, appena fuori, un seduttore di popoli. Scelse Napoli e la tirò fuori dal medio evo dei luoghi comuni in cui si crogiolava o in cui la tenevamo prigioniera. Vinse un Mondiale quasi da solo – dopo aver battuto, da solo, Inghilterra (di mano e di prodigio) e Belgio – portò al Napoli i primi (e unici) scudetti della storia, la Coppa Uefa, oltre a una Coppa Italia e a una Supercoppa.
Fatico a scrivere cose che, in suo onore, non siano già state scritte o dette. Bambino, palleggiava negli intervalli delle partite. Adulto, continuò a palleggiare nel cuore delle ordalie più rusticane, dispensatore di una prodigalità che portò i compagni a perdonargli tutto, droga, donne, eccessi. Faceva vincere: what else?
Non è stato un ruffiano in un mondo che, se lo fosse stato, lo avrebbe venerato più di quanto non lo abbia usato, per poi buttarlo quando ritenne che fosse arrivato il momento. I campioni hanno bisogno di una squadra; i geni, di una palla. Ecco perché sono sempre andati d’accordo, almeno loro, almeno per novanta minuti alla settimana. Lo rivedo bambino, tra il fango di villa Fiorito, quei capelli che si sarebbero fatti foresta, quel piede, non meno «de Dios» della mano, che già accarezzava ogni cosa che toccava.
Si è tolto molto, ci ha tolto molto. Si piaceva così. Da peccatore a peccatore: grazie, Diego.
Ma la domanda sui 3 difensori gliela hanno risparmiata
Più che bromuro stasera Tonio ha fumato qualche allucinogeno
Un saluto all’immenso Diego, il più forte n. 10 del calcio dopo Omar Sivori.
Il più grande , nessuno sarà mai come lui Era semplicemente oltre, inimmaginabile Quello che sivedeva sul campo la domenica era nulla rispetto a quello che si vedeva in allenamento Sivori aveva capito di avere a che fare con un extraterrestre, ma
il geometra di barengo rifiutò
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà . (Alessandro Manzoni)
AD10S
Il numero 10.
Addio immenso campione
Dieguito tutto quello che hai dato sul campo te lo sei tolto fuori. RIP
Dieguito tutto quello che hai dato sul campo te lo sei tolto fuori. RIP
AD10S DIEGO
Diego