Paolorossi. Lo scrivevo così, tutto attaccato, tutto attaccante. Lui che, toscano di Prato, nacque ala, quasi tornante, e centravanti diventò «solo» con Giovan Battista Fabbri detto Gibì o Brusalerba, al Vicenza. Un Vicenza così brillante e frizzante che, in assenza di televisioni e social, toccava a noi pennivendoli lustrare: e per questo, zelanti ma sinceri, gli affibbiammo il titolo di «Real». Real Vicenza.
Paolino. Cioè Pablito. Cioè l’hombre del partido. Aveva 64 anni. Ci ha anticipati tutti, ancora una volta. Perché sì, dentro quel fisico esile e quelle ginocchia che i chirurghi frequentavano golosi, crebbe un cacciatore di episodi, un bracconiere di attimi, uno che, pur di esaltarci, si piegava a farci piacere il gusto dell’imboscata, il profumo del gol. La partita gli scorreva attorno, placida. Paolo era la cascata improvvisa, l’onda che gonfia gli argini e poi scompare.
La carriera è un libro che si legge in fretta, visto che già a 31 anni mollò, vincitore di tanto, vinto da troppo (e da troppi menischi). Juventus, Como, dove Osvaldo Bagnoli non lo capì, Lanerossi Vicenza, Perugia, ancora Juventus – con ingorgo di scudetti e di coppe – Milan, gli ultimi morsi a Verona. E la Nazionale, naturalmente. Soprattutto.
Ci ha portato, con il «Mundial» del 1982, oltre i nostri limiti, se non addirittura i nostri sogni. Aveva il numero 20, veniva da due anni di squalifica per il caso del toto-nero, gorgo nel quale era finito più per leggerezza che per complicità . Era esploso in Argentina, nel 1978, dopo che Giussy Farina ne aveva strappato la comproprietà a Giampiero Boniperti con un’offerta in busta così esosa da spingere persino Franco Carraro alle dimissioni da commissario straordinario della Lega. Carraro, la poltrona fatta uomo. Sarebbe poi tramontato in Messico, nel 1986, sulle ceneri calde e tragiche dell’Heysel.
La Spagna. Quell’estate che sembrava non cominciare mai, e che invece, per fortuna, mai finì. Sino alla corona, sino allo scettro di re, di capocannoniere, sino al Pallone d’oro. Enzo Bearzot lo aspettò contro tutto e contro tutti, mezza Italia tifava per Roberto Pruzzo, e non senza qualche ragione, ci prese per sfinimento, ci logorò finché non crollammo. E Paolo, Paolo il freddo di Vigo, non decise di ascendere al trono.
La tripletta al Brasile, partita che, a Rio, fu scintilla di rivolta, di odio, a ogni livello e a ogni ceto, con i taxisti che, inquadratolo nello specchietto, lo scaricavano. Storia, non leggenda. La doppietta alla Polonia. Il primo gol alla Germania (Ovest, allora), spingendo via Antonio Cabrini. Ballò poche stagioni, ma furono stagioni bollenti. Giocò nella Juventus di Michel Platini e Zibì Boniek, furono rose, certo, ma anche spine. E declinò nel Milan: alla sua maniera, però, segnando due gol in un derby.
E’ stato, per noi, il buco della serratura attraverso il quale spiare un’Italia migliore, l’Italia di quel mese là , fra la Galizia e la Catalogna. E per gli stranieri, la bilancia sulla quale pesarci e non trovarci poi così magri, così ambigui. Il suo opportunismo sarebbe piaciuto a Niccolò Machiavelli. Chi lo conosce, lo racconta buono e sorridente. Aveva un tono leggero, come il soffio dello spirito che ne suggeriva gli agguati. Secondo Jim Morrison «a volte basta un attimo per scordare una vita, ma a volte non basta una vita per scordare un attimo». Esatto, non basterà una vita per scordare i suoi attimi. Quegli attimi. Gli attimi di Paolo Rossi. Un ragazzo che, nel farsi uomo, scelse di diventare calciatore e di farlo, soprattutto, in quella sorta di Bronx in cui è complicato distinguere lo sbirro dallo sgherro, in cui le bolge, spesso, nascondono efferati regolamenti di conti; e in cui l’ambizione, d’improvviso, pretende altri ritmi e impone approdi diversi dalle oasi che il campo sa offrire ai turisti della normalità . L’area di rigore. Là dove è pianto e stridore di denti. Là dove, se decidi di viverci, devi sopravviverci. Là dove, se scegli di diventare qualcuno, devi sempre inventare qualcosa. E Paolo – che, ripeto, squalo non nacque – smise in fretta le sembianze del pesciolino rosso, ancorché gli facesse comodo sembrarlo, per laurearsi Pablito, Paolorossi. L’hombre del partido.
«Di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno». Non penso che Alessandro Manzoni si sarebbe offeso. C’è tutto Paolo, in questa frase. Mito e mite. Giocava così, perennemente sospeso sulle emozioni. Scaltro, posato, implacabile.
Ei fu.
Me la ricordo come se fosse ieri la partita contro lo United di Coppacoppe, forse la migliore prestazione di Platini con la nostra maglia.
Andammo a cercare il Sarria’,un estate di tanti anni fa , era un caldo infernale e stavamo facendo l’interail.
Scoprimmo che lo avevano abbattuto qualche anno prima.
Addio Paolo Rossi, ero bambino e avevo un poster bellissimo della squadra del mundial , e la partita col Brasile da grande l avrò vista 20 volte
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La Malafede fatta persona: Roberto Beccantini.
Lei Roberto Beccantini, da gan bugiardo patologico ha sposato la giusta professione per professarsi e professare la menzogna. Da cattiva persona, nutretanto odio nel cuore, che le impedisce di rispettare ance la “Carta dei doveri del giornalista”!
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“Il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini” –
“per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile”.
-E’ lei non lo fa MAI! Esempio, in questo triste accadimento!
Per l’odio che nutre verso la Juventus e Luciano Moggi, ha taciuto che Paolo Rossi 14cenne da Moggi venne scoperto e incartato in un torneo giovanile in Abruzzo, e qualche anno dopo lo porto’ alla Juventus. Le sarebbe bastato un accenno. Ferocemente, niente!
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Poi scrive: “toccava a noi pennivendoli, zelanti ma sinceri
Pennivendoli i giornalisti? Giusto!
Giornalisti sinceri? Falso! Al limite sinceri quanto lo puo’ essere una iena, o Roberto Beccantini!
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E ancora: “gli affibbiammo il titolo di «Real». Real Vicenza.
Ecco la sincerita’ di cui blaterava: Real Vicenza gli fu affibbiato nel 1977-1978, perche’ l’anno dopo pago’ la bravata dei 2.6 miliardi nella busta con la serieB, dove fini’ il Vicenza con Paolo Rossi e i debiti da lui causati. E’ non potendogli pagare il lauto stipendio portandolo in B, lo presto’ al Perugia!
Poi, nell’affibbiare il nome: Real Vicenza, si AUTO include anche lei, che nel 1977-1978, era a Tuttosporc, dove scriveva di “pallacanestro (e di… ippica?)
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Poi l’elenco proprio degno di lei: “Juventus, Como, dove Osvaldo Bagnoli non lo capì, Lanerossi Vicenza, Perugia, ancora Juventus – con ingorgo di scudetti e di coppe – Milan,
gli ultimi morsi a Verona.
>>-Juventus, Como, Lanerossi Vicenza, Perugia, ancora Juventus – con ingorgo di scudetti e di coppe – Milan, DOVE da chiaramente ad intendere, che gli scudetti li ha vinti al Milan
Mentre tutti i suoi trofei, esclusa la serie B e la nazionale, li ha vinti nella Juventus! TUTTI!
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>>>- – con ingorgo di scudetti e di coppe – Milan, Perche’, come spesso scrive, che i suoi lettori (i polli?) sono pigri non solo nel fare ricerche, ma anche a leggere tra le righe.
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Dulcis in fundo, l’immancabile sassolino: l’ “Heysel”
Sarebbe poi tramontato in Messico, nel 1986, sulle ceneri calde e tragiche dell’Heysel.
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Cosa c’entra Heysel con la morte di Paolo Rossi, avvenuta 65 anni dopo?!!!
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DOVE PORTA L’ODIO! Per appartenento e appartuti alla Juventus, Rispeto nemmeno per i per i morti
Pity
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È un periodo davvero orrendo…se ripenso a Paolo Rossi, a quell’estate e a quel Mundial rivivo i post partita…avevo 12 anni e, quando l’Italia giocava alle 17, poi mi trovavo con gli amici e “rigiocavamo” la partita appena conclusa. Dopo le prime 3, la cosa era molto soddisfacente…tutte vittorie…mi torna in mente il caldo…l’atmosfera del “tutto è possibile” tipica dell’età e del periodo…ricordo mia madre, che sarebbe mancata 4 anni dopo, sgridarmi dall’altra stanza perchè imprecai, urlando, contro Cabrini al rigore sbagliato in finale…ricordo la spaghettata in terrazza, alle 23, con la famiglia e gli amici di mio fratello maggiore dopo la finale, le ante sbarrate della casa dei vicini tedeschi…non si sentivano nemmeno i loro 2 cani…!
Un tuffo nel passato che scalda i cuore, ma che, al tempo stesso, mi mette davanti le differenze tra allora e adesso, inesorabili.
2 giorni fa mi è arrivata la notizia dalla California della morte di una sorta di mia nonna…in questo anno già terribile anche per il mio lavoro le brutte notizie sembrano proprio non fermarsi mai…ma grazie Pablito, gli unici poster che ho avuto in camera in vita mia furono il tuo e quello di Platini…erano de Il campione, pubblicazioni del Guerin sportivo, mi sembra. E mi avete fatto gioire molto, all’epoca, entrambi.
Eppure se penso a Paolo Rossi, mi viene in mente un gol, contro il Manchester in coppa delle coppe. Mancavano dieci secondi alla fine e stavamo sull’1-1, credo un tiro di Scirea, il pallone che vaga in area e Rossi che si coordina e segna. È venuta giù tutta la casa.
Si, oggi è un giorno molto, molto triste.
Impressionante vedere Fabio Capello faticare a trattenere le lacrime mentre parla di Pablito.
Oggi è un giorno tristissimo.
Vorrei ringraziare tutti voi “compagni di clinica” per i vostri bellissimi post. Ho quasi le lacrime agli occhi.
I miei ricordi di Pablito sono legati ad una vacanza in Nord Europa nell’estate’82, ragazze olandesi, danesi e svedesi, appena capivano che ero italiano avevano tre sole cose da dire: “paolorossi-italia-champions”.
Era l’anno dei Mondiali quelli dell’86
Paolo Rossi era un ragazzo come noiiiii
cit. Antonello Venditti
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L’unico biscotto resta, per ora, l’esame perugino di Suarez”. Coraggio.
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Roberto Beccantini9 dicembre 2020 Smacco matto
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Signor Beccantini, lei non manca occasione per togliersi i sassolini, e’ quasi sempre, vergognosamente i’opportuni, come sganciare una cisterna di merda, su un mucchio di bambini, colpevoli di indossare maglie a strisce bianconere, non informandosi se appartengono all’Udinese, Ascoli o Cesena! Perche’ a lei non frega niente che i tifosi si arrabbino e glieli rilanciano (i sassolini) indietro.
Ma davvero e tanto cattivo? Cioe’, Roberto Beccantini una cattiva persona?
Perche’ questa e’ cattiveria: “Proprio per questo era diventata la «pazza» Inter. L’unico biscotto resta, per ora, l’esame perugino di Suarez”. Coraggio.
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