Era stata l’Inter, negli anni Trenta, a conquistare l’ultimo scudetto prima del quinquennio di Edoardo Agnelli. E’ l’Inter, ancora lei, ad aggiudicarsi il primo dopo il novennio del nipote Andrea. Quando finisce una dittatura, non sai mai cosa comincia. In questo caso, pensi di sapere cos’è finito, e perché.
Nella mia griglia di settembre l’Inter veniva subito dietro alla Juventus. Poi Atalanta, Milan, Napoli, Roma e Lazio. La Juventus è crollata sotto il peso delle scommesse aziendali (non solo Pirlo) e di un’altra Champions tradita. La Dea ha patito il canonico, tempestoso, rodaggio. Il Milan, la panchina corta. Il Napoli, un po’ gli infortuni e un po’ i complicati rapporti fra Gattuso e De Laurentiis. Le romane, i soliti alti e bassi di sentimenti e risentimenti.
L’Inter era rimasta al Triplete di Mourinho, alle coppe di Benitez e Leonardo. A un Moratti sazio, a un Thohir in transito. Fino, improvvisamente, ai cinesi di Suning, a una lontananza che spesso abbiamo definito canaglia. Fino a Beppe Marotta e Antonio Conte. La chiave di volta, e di svolta. Costole juventine in una società che viveva della pazzia raccontata dall’inno e dalla storia, il romanzo di Ronaldo il fenomeno, delle foglie morte di Mariolino Corso, del circo di Alvaro Recoba.
E’ il diciannovesimo titolo, tavolino compreso. Il quinto di Conte dopo i tre della Juventus e la Premier del Chelsea. Antonio è un martello. Ha trasformato il vuoto cosmico (e umiliante) della resa europea in un pieno di benzina. Si è corretto, ha bocciato promossi (Vidal, Kolarov) e promosso bocciati (Perisic, Eriksen); ha rinunziato all’idea fusignanista d’invasione, preferendole la dottrina allegrista di gestione. Ha avvicinato Lau-toro a Lukaku, ha ghigliottinato il trequartista e liberato il 3-5-2 con il quale, a Torino, aveva battezzato l’epopea juventina.
Se trova soldatini come Darmian, li trasforma in generali. Adora sentirsi accerchiato, gode del rumore dei nemici, dà a tutti ma vuole tutto. Dal gobbo irrecuperabile che non batteva nemmeno lo Shakhtar al gobbo redento: ah, les italiens. Aveva ereditato l’Inter da Spalletti e due quarti posti. Ha individuato una formazione stabile, se non proprio tipo, con ben sei titolari diversi: i terzini, Hakimi e Darmian (o Young), più Bastoni, Barella, Eriksen, Lukaku. Sei su dieci: più di mezza squadra.
Non è stata una scampagnata, è stata una cavalcata. In testa dal 14 febbraio, con il Diavolo in corpo, i confronti diretti ne hanno scortato, e prodotto, l’allungo decisivo: 2-0 alla Juventus, 3-1 alla Lazio, 3-0 al Milan, 1-0 all’Atalanta (con una punta di catenaccio che non sfuggì ai più accorti). E, naturalmente, la miglior difesa.
Schema-base, palla a Lukaku. Senza dimenticare le incursioni di Hakimi, i progressi di Bastoni; soprattutto, il decollo di Barella. Come simbolo del cambio gerarchico scelgo però Lau-Toro e Dybala: 15 gol il primo, la miseria di 3 il secondo. Credo che il braccio di ferro fra Inter e Juventus – sempre molto vago, a essere sinceri – sia ruotato attorno a questa sfida, a questa cesura, oltre che alla letteratura di Al Pacino e dei sermoni alla «Ogni maledetta domenica».
E’ stata la stagione dei tamponi e delle Asl, dell’esame di Suarez e della Superlega, di Santibra e Sanremo, di un Cristianesimo sgonfio. E’ stato un campionato povero al cambio europeo: chi l’ha governato era già fuori da tutto il 9 dicembre, e chi lo aveva tiranneggiato per quasi un decennio sarebbe uscito poco più in là , negli ottavi. I debiti, gli stipendi pagati in ritardo e la latitanza di Steven Zhang, scenari inquietanti, sono stati assorbiti dalla bolla dentro la quale Marotta e Conte hanno isolato la rosa.
Nove anni, nello sport, sono un’eternità . L’Inter succede alla Juventus nell’albo d’oro. Non si tratta di un «normale» passaggio di consegne. Si tratta di qualcosa di molto più vasto, di molto più storico. E di misterioso, sì. Una staffetta che ha suggellato un’era oppure un trasloco di ciclo, addirittura? Per adesso, c’è solo un punto in comune: Conte. Non sarà tutto, non è poco.
Bonucci e gli altri hanno festeggiato il 34mo compleanno di Leo. Questi se ne sbattono l’anima.
A casa stasera, mettiamo fine a questa presa per il culo che va avanti da mesi.
Questo insensato non allenerà mai neanche in eccellenza.
E sciacquare la bocca quando si parla di Sarri.
Tabula rasa, non mi viene in mente altro
Bonucci una marea di errori di impostazione… allucinante
Senza la Champions per me va via De Ligt e non arriva Donnarumma.
Se proprio fingete di essere gobbi, pezzi di merda indaisti travestiti, CHIEDETE SCUSA A MAURIZIO SARRI!
Figlio di troia
La champions è andata. Prendiamo un allenatore per tentare di vincere la coppetta
É come se un’azienda che fa un investimento sbagliato decidesse di non toccare niente per tutto l’anno, fa niente se si fallisce.. incredibile.
Sto figlio d’Italia lo dovevano esonerare dopo il Benevento