Quando fra andata e ritorno ti fai rimontare due volte, e nella prima addirittura superare, il bar sport non aiuta. Il pareggio di Napoli-Inter è lo specchio di una differenza che resiste alle rughe di Dorian Gray. Un tempo a testa, grosso modo, con gli episodi a governare il palleggio degli uni e le spallate degli altri.
Subito avanti il Napoli, su rigore varista che De Vrij – in un momento un po’ così, vedi alla voce Giroud – ha concesso a Osimhen e Insigne, il canadese, trasformato di forza. Subito a segno l’Inter, all’alba della ripresa, con il cross di Lau-Toro, la flipperata di Di Lorenzo e il fendente di Dzeko. I centravanti, insomma: si sapeva che avrebbero agitato la trama, nonostante le ante di Koulibaly (bravo come scudo, non altrettanto nelle uscite) e Rrahmani, di Skriniar e De Vrij. Sono stati di parola.
Il punto gonfia i campioni e sgonfia gli sfidanti. Fra l’1-0 e l’1-1, e anche dopo, le occasioni più ghiotte sono capitate proprio al Napoli: palo esterno di Zielinski, grandi parate di Handanovic su Osimhen ed Elmas. La miglior difesa, il miglior attacco. Non ho visto attori staccarsi. Ho colto, se mai, la tensione che spesso circonda e condiziona partitissime di questo livello, al di là dell’assoluta cavalleria che ne ha caratterizzato persino i (rari) trambusti.
Strani i cambi: di Spalletti, ben quattro su cinque dal 74’; di Farris, vice Inzaghi, solo tre dall’83’. Dumfries ha creato problemi a Mario Rui, non tali, però, da sabotare la fascia. Curioso che, con la coppa di mezzo, abbia finito all’attacco la squadra che l’aveva giocata e non quella che aveva riposato. Si era agli sgoccioli, l’ingresso di Juan Jesus, con relativo passaggio a cinque, mi è sembrato un segnale.
Morale: più rimorsi che morsi, il Napoli. E per l’Inter, dopo il k.o. nel derby e i 24 mila baci a Mourinho, un cerotto d’onore.
E mi raccomando, compra solo acqua in bottiglia vacuo a perdere.
Sono sicuro che ora andrai a vedere un film, o a sentire la radio, e domani imparerai molte cose ai tuoi figli.
E poi su “enunciazione” ci va l’apostrofo.
Un concetto vuoto è un concetto…vuoto, che ha solo una enunciazione verbale o scritta.
Scritto da Guido il 12 febbraio 2022 alle ore 23:35
“È da ignoranti definire una parola con la parola da definire” (cit Slevin, patto criminale)
Forza Juve, nonostante il Cialtrone.
Eh Causio, ti capisco. Però anche tu, sei vacuo. O vuoto? Mi dirai, sono sinonimi…
Zzzzzzzz
vacuo
/và ·cuo/
aggettivo e sostantivo maschile
1.
aggettivo
Vuoto; per lo più fig., con allusione alla mancanza di contenuti o forze interiori oppure, meno comunemente, di pensieri e preoccupazioni:
Mi mancava il professore d’italiano da tastiera. Il problema di voi fenomeni è che pensate di dare lezioni a tutti, su tutto.
Scritto da Logan il 13 febbraio 2022 alle ore 00:22
Vi fa onore riconoscerlo
Qui abbiamo carenze non solo calcistiche, ma pure grammaticali.
Vuoto figurativo e vuoto reale. Ora decidi tu a quale vuoto appartieni.