Non me ne voglia Pioli, l’ex carro attrezzi diventato proprietario dell’officina dei sogni, se parto dal gol di Theo Hernandez. Da area ad area. Come Weah contro il Verona. Come Berti in Baviera. Il Milan aveva già sbloccato il risultato con Leao, servito da un lancio «abbastanza» lungo (uhm, i fusignanisti) di Messias. Sono i gol, quelli «alla» Theo, che accendono i bambini e, magari, mandano in bestia i maniaci delle lavagne, gli spasimanti degli schemi. Perché li spaccano, perché tolgono qualcosa (cosa, poi?) ai precettori.
Era una partita, Milan-Atalanta, molto bloccata, soffocata dall’effetto fornace, ostaggio di una tensione palpabile. Della Dea è rimasta l’i-dea, non i califfi che ne decorarono la saga (il Papu, Ilicic, Gosens, il miglior Zapata). Ha tirato poco, recrimina per un contrasto fra Kalulu e Pessina a monte dell’1-0 (Orsato non è Valeri, a ognuno il suo), ha patito gli episodi, non la trama. Il Milan ha un gioco leggero che, d’improvviso, s’impenna: fra le sgommate di Theo e le volate di Leao (11 gol), una delle rare sinistre al potere (anche se, spesso, sarebbe più corretto parlare di centro-sinistra, visti i sentieri e le coalizioni).
Ancora una volta, è stata la ripresa a lanciare il Diavolo: era già successo all’Olimpico con la Lazio, a San Siro con la Fiorentina e al Bentegodi. Inflessibile la coppia Tomori-Kalulu, un po’ giù Tonali, artefice degli ultimi sorpassi. Capita. La forza del Milan è il coraggio, la rosa: non la più forte, ma forte per visione e per solidarietà . Dietro, c’è il lavoro del mister, di Maldini, di Massara, di Gazidis: senza dimenticare Boban, che, ai tempi della cotta per Rangnick, mollò il fondo perché voleva mollare Pioli, sul cui carro sono saliti tanti, troppi. Ah, questi italiani.
L’Inter ha risposto a Cagliari in serata, di forza. Con Darmian. Di testa, su cross (al bacio) di Perisic. Proteste per lo stacco imperioso su Lykogiannis. Ma Doveri non è Valeri: è come Orsato. Pali di Skriniar, Lau-Toro e Dumfries, raddoppio dell’argentino: devastante, a differenza dello sfiorito Dzeko. La lecca di Lykogiannis aveva scavato una brecciolina, Martinez l’ha stuccata in fretta: 1-3. L’isola del («fu») tesoro è a un passo dalla serie B. Con quell’organico e la giostra di tre allenatori (Semplici, Mazzarri, Agostini): una mezza «impresa» (a rovescio).
E così: Milan 83, Inter 81. Si decide domenica. All’ultima curva e, speriamo, alla stessa ora: Sassuolo-Milan, Inter-Sampdoria. Al Diavolo, in virtù dei confronti diretti (1-1, 2-1), serve un punto: piano con i caroselli e le sbornie.
Rosario Pastore
Orsato non è Valeri, scrivi tu, valoroso collega, e Doveri non è Valeri, è come Orsato.
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Ebbene, questa è la più lampante conferma che uno dei mali, se non il più clamoroso, del calcio italiano è offerto dalla enorme differennza di giudizio della compagnia di giro arbitrale, la sola che favvero decide le sorti del calcio nostrano.
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Se non c’era stato il fallo di Kalulu su Pessina, ebbene un direttore di di gara coi cosiddetti, dopo aver convalidato il gol di Leao, avrebbe dovuto ammonire l’atalantino per la perfetta simulazione.
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Ma proprio la simulazione viene costantemente ignorata da quasi tutti gli arbitri (altrimenti, un certo Cuadrado non riuscirebbe a terminare una gara che è una).
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Qualcuno poi mi spieghi un giorno qual è la differenza fra l’allontanare di poede il pallone dopo una punizione fischiata contro e l’impadronirsene con la mani, allontanandosi proditoriamente dal luogo dell’…incidente.
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Gli arbitri italiani sono mediocri, quasi tutti, e sono divorati dal complesso di superiorità . Fino a quando non riavremo direttori di gara stranieri a dirigere le nostre partite, specie le più importanti, sarà perfettamente inutile continuare a menare il torrone. Sic ego dixi, gentile Roberto e perdona i miei vaneggiamenti.
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Roberto Beccantini
Rosario Pastore Gentile Rosario, scusa per il ritardo. Grazie per il «valoroso» che, di questi tempi, è aggettivo forte. Rispetto a quando andavamo al campo noi, il mestiere dell’arbitro è più difficile perché la televisione l’ha fagocitato.
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Nel Novecento, tanto per tracciare confini comodi ma concreti, decideva «solo» lui: ed era un eccesso di autorità .
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Oggi, con il Var, si arbitra in due e l’asticella della perfezione si è alzata a dismisura, rilanciata dai processi sommari (e spesso «somari») del Web.
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Solo che il Var in alcuni casi risolve (fuorigioco all’alluce, goal line technology a parte) e in molti altri decide. E qui non sempre decide bene; o non ci pare che decida bene.
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Nel mondo, la squadra italiana di riferimento è il Milan. In Italia, la Juventus. E che Juventus sia. Citi correttamente i tuffi di Cuadrado.
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Che però, Rosario, chez Madama si è laureato dopo aver studiato in ben altri licei: quello fiorentino, per esempio, nelle cui aule una volta, pensa te, cadde in tentazione (o cadde e basta) persino uno studente modello come Mertens.
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I nostri arbitri non sono mediocri. Sono normali. Certo, l’Inghilterra, a parità di errori, è un altro mondo, ma là non ci sono Sky, Dazn Mediaset e Rai che a ogni piè sospinto invitano a fischiare di meno, e così hai Orsato. E, per rezione, hai Valeri.
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Don Concetto, ricorderai, ammise sornione che, se avesse avuto la moviola, un certo contatto fra Morini e Bigon in un’edizione di Juventus-Milan l’avrebbe convertito in rigore. Felicissimo, naturalmente, di non averla. In caso contrario, col cavolo che sarebbe nato il Lobellisimo.
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Dall’alba degli anni Novanta, inoltre, il potere è passato dai difensori agli attaccanti. Per questo, le aree – che erano chiese sprangate – sono diventate piscine e il rallenatore, che io proibirei in fase di replay, trasforma un calcetto in una fucilata. E così i Cuadrado e i Lau-Toro ci sguazzano. Chiunque, appena toccato, sviene.
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Proprio a Fuorigrotta, in un Napoli-Juventus, Tardelli venne trascinato per la maglia da Celestini, mi pare, per una decina di metri. Non andò giù. Guardò l’arbitro, che era Bergamo. Gli chiese: e allora? Gli fu risposto: «Se fossi caduto, avrei fischiato il rigore. Così no». Tardelli è poi finito in un urlo, Bergamo dove e come sappiamo.
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Una volta Orsato non cacciava Pjanic.
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Oggi Valeri non caccia Brozovic.
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Cos’è cambiato, in questi quattro anni? E’ cambiato il calcio, siamo cambiati noi? Solo chi cade può risorgere, ci insegnavano i nostri genitori. Oggi, mi sa tanto che molti insegnino che per risorgere bisogna cadere. Personalmente, mi sento più vicino al metro di Orsato (caso Pjanic a parte).
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Un altro problema non sono le regole, Rosario. Sono le interpretazioni che cambiano spesso e, spesso, confliggono. Lo spirito del fuorigioco, per esempio, è stato letteralmente stuprato. E sul mani-comio, Rizzoli meriterebbe una sorta di Siberia «morale».
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Il calcio ai tempi del Var (maschile, per la Treccani), mi fa pensare al dottor Enzo Jannacci, milanese e milanista, quando cantava «E’ caduto già il (C)armando». Era un modo come un altro, ma anche un mondo più di altri, per indicare il futuro che non sempre è un posto migliore: a volte, solo diverso.
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Rosario, tu invochi arbitri stranieri. Già vennero, in passato, e fu un disastro. E comunque, traslocando armi e memorie in un’epoca meno giurassica, rammenterai un ritorno caldo di Europa League della stagione 2013-2014 tra Fiorentina e Juventus. Allo Stadium, 1-1. Al Franchi, 0-1.
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Ecco: al ritorno, dirigeva Howard Webb, inglese. Colui che diresse la finale mondiale del 2010 fra Spagna e Olanda, subito dopo aver timbrato la Champions dell’Inter al Bernabeu, contro il Bayern.
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Te la faccio breve: all’inizio, durante i giri di riscaldamento, applausi dalla Fiesole. Dopodiché: 0-1, gol su punizione di Pirlo, espulso Gonzalo Rodriguez, Juventus qualificata.
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Eppure l’arbitro era straniero. (Nessuna polemica, sia chiaro, e voti alti da tutti).
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Ti partecipo un’ultima considerazione. Va da sé che se Orsato avesse fischiato il fallo di Kalulu su Matteo Pessina Denaro (visto che costa molto…), nessuno si sarebbe scandalizzato. Però non era un rigore. Si era nei pressi dell’area del Milan, l’Atalanta avrebbe potuto far fronte all’emergenza. Il regolamento lo prevede e, dunque, pace all’anima mia: ma, come gli inglesi, sono visceralmente contro la retro-decisionalità .
A meno che a monte non sia stata ignorata la testata di Zidane a Materazzi.
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Nel gennaio 2021, la Juventus di Pirlo vinse 3-1 a San Siro con il Milan. In vantaggio con Chiesa, e prima di tornarci, venne raggiunta da un gol di Calabria, in contropiede. Mezza squadra si perse l’azione perché protestava per un’ancata di Calhanoglu a Rabiot. Per carità , si poteva fischiare. Ma la Juventus avrebbe potuto, comunque, scongiurare il peggio.
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Come, di lì a poco, avrebbe potuto fare lo stesso Milan, all’Olimpico contro la Lazio, dopo un fallo di Lucas Leiva su Calha non giudicato tale da Orsato (corsi e ricorsi). Si fece sorprendere dal lancio verticale di Luis Alberto per Correa, gol.
Ma stai tranquillo: sono l’unico a pensarla così. Grazie dello spunto. E, ancora e soprattutto, del «valoroso».
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Rosario Pastore
Roberto Beccantini Ma no, sono io che ringrazio te. Mi hai dato modo di leggere una sorprendente lezione. Quand’è che uno dell’ultima leva riuscirà finalmente a non farci rimpiangere il passato? Un amichevole abbraccio, Roberto.
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Roberto Beccantini
Rosario Pastore Gentile Rosario, buon giorno e grazie.
Intanto il Newcastle fa a pezzi l’arsenal e adesso il tottenham ha il match ball.
3 ma non hai qualche tomba su cui andare a pisciare?