Il guerriero. Il ballerino. L’addio di Chiellini ha schiacciato quello di Dybala in uno Stadium feriale ma festaiolo, con le ragazze della Juventus premiate per il quinto scudetto e il popolo a buttarsi sui ricordi. Giorgio è uscito al minuto 17, come i suoi anni al servizio di Madama, sostituito da De Ligt. Dybala al minuto 77, avvicendato dal ventenne Palumbo. Il laureato è stato una corazza, l’Omarino – 115 gol, 48 assist – uno dei più mancini dei tiri (furtarello da Edmondo Berselli, che così scrisse in onore di Mariolino Corso).
E’ lo sport che coinvolge, è la passione che stravolge. Ognuno ha le sue. Solo l’azzurro, quando vince, ci unisce: e non sempre. Poi c’è stata anche «una» partita. La Lazio di Sarri, il tecnico del nono e ultimo «scudo», che il sottoscritto non avrebbe esonerato. Le mancava Immobile, il capo-cannoniere. La Juventus era stremata, svuotata dalle burrasche di coppa. Agli invitati, lo chef Max ha offerto il solito buffet. Tutti dietro ad attendere, educati, e qua e là fuochi d’artificio in giardino. Come i gol: Vlahovic di testa, subito, su cross di Morata; e poi Morata, di destro, al culmine di un contropiede Dybala-Cuadrado. Nel mentre, Chiellini continuava a girare e a firmare autografi, la barbetta patibolare, il naso grifagno (dallo zaino del grande Camin).
Alla ripresa, la Lazio segnava subito (carambola Patric-Alex Sandro), il popolo continuava a commuoversi. Allegri raschiava il fondo della under, con Palumbo, con Aké (Miretti c’era dall’inizio). Il 2-2 di Milinkovic-Savic piombava, ultimo e trafelato ospite, al 96’, dopo che Ayroldi aveva valutato, alla Orsato, un contatto Zaccagni-Cuadrado. Finiva l’amichevole, non la notte, mai troppo piccola per momenti così: lo Stadium che fischia Agnelli, perché il cuore non è una plusvalenza; Chiellini che «placca» tutti, come ai bei tempi; Dybala che piange, la storia che passa e saluta.
Un po’ di musica: riba disco, Rickione ed i suoi compagni di merende (penzolanti da un braccio mentre con l’altra mano si grattano la zucca, peraltro vuota, sull’albero genealogico degli SHITSON) sono più che ei radical-shit.
In verità, un paio sono più che altro radical-sciocc.
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OGNI TANTO RITORNANO
https://www.facebook.com/photo/?fbid=803767839719544&set=p.803767839719544
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Francesco Calabrone Roberto Beccantini
19 maggio 2915
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BELLA QUESTA, UN REGALO PER I FOLLOWERS DEL MITICO-MANIPOLATORE DI CERVELLINI.
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LITE SENZA ESCLUSIONE DI COLPI TRA DUE TIFOSI AVVERSARI
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http://www.beckisback.it/…/toh…/comment-page-9/…
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Gentile Axl Rose, alcuni sostengono che Guido Rossi non poteva non sapere delle telefonate omesse dell’Inter. Per esempio. Qualche dubbio. Altri che, nel caso Telecom, non potevano non sapere dei movimenti estremi di Facchetti. Nessun dubbio.
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 18:01
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Eh no, sig. Beccantini, ora gioca sporco. Non solo Guido Rossi, tutti non potevano non sapere delle telefonate omesse dell’inter e degli altri, ma non lo dice un gruppo di rancorosi juventini, lo dice Borrelli che, al momento di lasciare, “consiglia” di continuare con le indagini perchè non era verosimile che solo Moggi telefonasse. Che nel caso Telecom non potevano non sapere dei movimenti estremi di Facchetti non lo dice sempre quel gruppo di rancorosi juventini, lo dice Tavaroli.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:07
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Gentile Axl Rose. Perfetto. E’ la reazione che volevo, e il nome. Tavaroli. E qui lo dice Carobbio. Credibile, come ha dichiarato il pg Roberto Di Martino, salvo valutare “caso per caso”.
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 18:09
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Aggiungo sig. Beccantini, Bergamo e Pairetto lo hanno detto fin dal primo giorno che parlavano con tutti.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:11
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Nooooooooo sig. Beccantini, su Carobbio si chiede un atto di fede , Tavaroli ha le fatture pagate dalla Pirelli, per dirne una. Non ci provi sig. Beccantini.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:13
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Gentile Axl Rose, non usi il lessico della Bongiorno, la prego.
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 18:14
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Non posso pretendere tanto sig. Beccantini, mi limito a citare i fatti.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:16
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….sig. Beccantini, dimentica Mentana.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:17
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quale Mentana, gentile Axl Rose: il Mentana su Facchetti o su Conte?
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 18:19
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…..e comunque sig. Beccantini per condannare la gente ci vogliono, fatti, certezze, prove, non dubbi. Io e lei possiamo avere tutti i dubbi di questo mondo, la gente per essere condannata deve “essere colpevole, aldila’ di ogni ragionevole dubbio”.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:21
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….si parlava di Conte, sig. Beccantini., ma se vuole parliamo di Facchetti.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 18:22
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Gentile Axl Rose, la giustizia sportiva è altra rispetto alla giustizia penale, a torto o a ragione, è così da secoli. Volete o non volete mettervelo nella testa? Certo che ci sono forzature, “obbrobri” (alla De Biase), ma così è.
Certo, è singolare che Carobbio era prima credibile per Siena-Novara er Albinoleffe-Siena, da oggi solo per Albinoleffe-Siena. Com è singolare l’uscita di San Dulli.
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 18:25
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E in cosa dovremmo riporre le speranze, nel TNAS? Nooo, non sara’ una ridicola riduzione della pena a cambiare le cose, o crede davvero che possa ancora arrivare l’assoluzione? Io non ci credo, ma sono sempre pronto a fare pubblica ammenda. Forse dovremmo riabilitare l’avv. Briamonte, lui aveva capito tutto.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 19:01
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Gentile Axl Rose, li ho anch’io tanti dubbi sul caso Conte, ma non riesco a immaginare un Carobbio comprato e un Palazzi che paga. Sarà un mio limite, non discuto, ma proprio non ci riesco. Comodo, adesso, dire che su Bonucci e Pepe era un gioco da ragazzi, vada a rileggersi certi commenti della vigilia…
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 19:04
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No sig. Beccantini, non c’è un comprato e un compratore, c’è un delinquente, reo confesso che deve salvarsi il culo e per farlo deve cantarsela e c’è un procuratore pronto a reggergli il microfono per vincere San Remo.
Scritto da axl rose(30 sul campo) il 22 agosto 2012 alle ore 19:09
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Gentile Axl Rose, scrive come parla la Bongiorno.
Scritto da Roberto Beccantini il 22 agosto 2012 alle ore 19:13
http://www.beckisback.it/…/toh…/comment-page-14/…
Scritto da Logan il 20 maggio 2022 alle ore 23:55
Lei e’ come un rotolo di carta igienica.
Serve solo per una cosa
Io avrò anche insultato ma mai e poi mai un defunto,di qualunque squadra.
De Pasquale non si faccia trascinare al ribasso, Da nessuno. Lo so, è un rischio che si corre frequentando questo posto…..
Vedo un bar, entro a prendere un caffè. Se mi rendo conto che è un bar di merda non ci entro più. Tantomeno ci entrerei sottolineando ogni volta che si tratta di un bar di merda.
Scritto da De pasquale il 20 maggio 2022 alle ore 23:35
Eh no. La frase “Giacinto non aveva le deleghe” non l’ho pronunciata io. O sbaglio? La robaccia che davano nel caffè dei giocatori, cosa confermata dai fratelli Mazzola, non la mettevo io nel caffè. La metteva HH. Sicuramente con il beneplacito del suo presidente. Quando io parlo di omaggiare le famiglie, non manco di rispetto ai morti ma accuso chi li ha uccisi. Quella del caffè è roba confermata.
Gioanin lamiera, come scherzosamente gli operai chiamavano l’Avvocato, ha succhiato di brutto; ma prima di lui ha succhiato suo padre; e prima di suo padre, suo nonno Giovanni. Giovanni Agnelli Il Fondatore. Hanno succhiato dallo Stato, cioè da tutti noi. E’ una storia della Fiat a suo modo spettacolare e violenta, tipo rapina del secolo, questa che si può raccontare – alla luce dell’ultimo blitz di Marchionne – tutta e completamente proprio in chiave di scandaloso salasso di denaro pubblico. Un salasso che dura da cent’anni. Partiamo dai giorni che corrono. Per esempio da Termini Imerese, lo stabilimento ormai giunto al drammatico epilogo (fabbrica chiusa e operai sul lastrico fuori dai cancelli). Costruito su terreni regalati dalla Regione Sicilia, nel 1970 inizia con 350 dipendenti e 700 miliardi di investimento. Dei quali almeno il 40 per cento è denaro pubblico graziosamente trasferito al signor Agnelli, a vario titolo. La fabbrica di Termini Imerese arriva a superare i 4000 posti di lavoro, ma ancora per grazia ricevuta: non meno di 7 miliardi di euro sborsati pro Fiat dal solito Stato magnanimo nel giro degli anni. Agnelli costa caro. Calcoli che non peccano per eccesso, parlano di 220 mila miliardi di lire, insomma 100 miliardi di euro (a tutt’oggi), transitati dalle casse pubbliche alla creatura di Agnelli. Nel suo libro – “Licenziare i padroni?”, Feltrinelli – Massimo Mucchetti fa alcuni conti aggiornati: «Nell’ultimo decennio il sostegno pubblico alla Fiat è stato ingente. L’aiuto più cospicuo, pari a 6059 miliardi di lire, deriva dal contributo in conto capitale e in conto interessi ricevuti a titolo di incentivo per gli investimenti nel Mezzogiorno in base al contratto di programma stipulato col governo nel 1988». Nero su bianco, tutto “regolare”. Tutto alla luce del sole. «Sono gli aiuti ricevuti per gli stabilimenti di Melfi, in Basilicata, e di Pratola Serra, in Campania». A concorrere alla favolosa cifra di 100 miliardi, entrano in gioco varie voci, sotto forma di decreti, leggi, “piani di sviluppo” così chiamati. Per esempio, appunto a Melfi e in Campania, il gruppo Agnelli ha potuto godere di graziosissima nonché decennale esenzione dell’imposta sul reddito prevista ad hoc per le imprese del Meridione. E una provvidenziale legge n.488 (sempre in chiave “meridionalistica”) in soli quattro anni, 1996-2000, ha convogliato nelle casse Fiat altri 328 miliardi di lire, questa volta sotto la voce “conto capitale”. Un bel regalino, almeno 800 miliardi, è anche quello fatto da tal Prodi nel 1997 con la legge – allestita a misura di casa Agnelli, detentrice all’epoca del 40% del mercato – sulla rottamazione delle auto. Per non parlare dell’Alfa Romeo, fatta recapitare direttamente all’indirizzo dell’Avvocato come pacco-dono, omaggio sempre di tal Prodi. Sempre secondo i calcoli di Mucchetti, solo negli anni Novanta lo Stato ha versato al gruppo Fiat 10 mila miliardi di lire. Un costo altisssimo è poi quello che va sotto la voce”ammortizzatori sociali”, un frutto della oculata politica aziendale (il collaudato stile “privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite”): cassa integrazione, pre-pensionamenti, indennità di mobilità sia breve che lunga, incentivi di vario tipo. «Negli ultimi dieci anni le principali società italiane del gruppo Fiat hanno fatto 147,4 milioni di ore di cassa integrazione – scrive sempre Mucchetti nel libro citato – Se assumiamo un orario annuo per dipendente di 1.920 ore, l’uso della cassa integrazione equivale a un anno di lavoro di 76.770 dipendenti. E se calcoliamo in 16 milioni annui la quota dell’integrazione salariale a carico dello Stato nel periodo 1991-2000, l’onere complessivo per le casse pubbliche risulta di 1228 miliardi». Grazie, non è abbastanza. Infatti, «di altri 700 miliardi è il costo del prepensionamento di 6.600 dipendenti avvenuto nel 1994: e atri 300 miliardi se ne sono andati per le indennità di 5.200 lavoratori messi in mobilità nel periodo». Non sono che esempi. Ma il conto tra chi ha dato e chi ha preso si chiude sempre a favore della casa torinese. Ab initio. In un lungo studio pubblicato su “Proteo”, Vladimiro Giacché traccia un illuminante profilo della storia (rapina) Fiat, dagli esordi ad oggi, sotto l’appropriato titolo”Cent’anni di improntitudine.
Ascesa e caduta della Fiat”. Nel 1911, la appena avviata industria di Giovanni Agnelli è già balzata, con la tempestiva costruzione di Motori per navi e sopratutto di autocarri, «a lucrare buone commesse da parte dello Stato in occasione della guerra di Libia». Non senza aver introdotto, già l’anno dopo, 1912, «il primo utilizzo della catena di montaggio», sulle orme del redditizio taylorismo. E non senza aver subito imposto un contratto di lavoro fortemente peggiorativo; messo al bando gli “scioperi impulsivi”; e tentato di annullare le competenze delle Commissioni interne. «Soltanto a seguito di uno sciopero durato 93 giorni, la Fiom otterrà il diritto di rappresentanza e il riconoscimento della contrattazione collettiva» (anno 1913). Anche il gran macello umano meglio noto come Prima guerra mondiale è un fantastico affare per l’industria di Giovanni Agnelli, volenterosamente schierata sul fronte dell’interventismo. I profitti (anzi, i “sovraprofitti di guerra”, come si disse all’epoca) furono altissimi: i suoi utili di bilancio aumentarono dell’80 per cento, il suo capitale passò dai 17 milioni del 1914 ai 200 del 1919 e il numero degli operai raddoppiò, arrivando a 40 mila.
«Alla loro disciplina, ci pensavano le autorità militari, con la sospensione degli scioperi, l’invio al fronte in caso di infrazioni disciplinari e l’applicazione della legge marziale». E quando viene Mussolini, la Fiat (come gli altri gruppi industriali del resto) fa la sua parte. Nel maggio del ’22 un collaborativo Agnelli batte le Mani al “Programma economico del Partito Fascista”; nel ’23 è nominato senatore da Mussolini medesimo; nel ’24 approva il “listone” e non lesina finanziamenti agli squadristi.
Ma non certo gratis. In cambio, anzi, riceve moltissimo. «Le politiche protezionistiche costituirono uno scudo efficace contro l’importazione di auto straniere, in particolare americane». Per dire, il regime doganale, tutto pro Fiat, nel 1926 prevedeva un dazio del 62% sul valore delle automobili straniere; nel ’31 arrivò ad essere del 100%; «e infine si giunse a vietare l’importazione e l’uso in Italia di automobili di fabbricazione estera». Autarchia patriottica tutta ed esclusivamente in nome dei profitti Fiat. Nel frattempo, beninteso, si scioglievano le Commissioni interne, si diminuivano per legge i salari e in Fiat entrava il “sistema Bedaux”, cioè il “controllo cronometrico del lavoro”: ottimo per l’intensificazione dei ritmi e ia congrua riduzione dei cottimi. Mussolini, per la Fiat, fu un vero uomo della Provvidenza. E’ infatti sempre grazie alla aggressione fascista contro l’Etiopia, che la nuova guerra porta commesse e gran soldi nelle sue casse: il fatturato in un solo anno passa da 750 milioni a 1 miliardo e 400 milioni, mentre la manodopera sale a 50 mila. «Una parte dei profitti derivanti dalla guerra d’Etiopia – scrive Giacché – fu impiegata (anche per eludere il fisco) per comprare i terreni dove sarebbe stato costruito il nuovo stabilimento di Mirafiori». Quello che il Duce poi definirà «la fabbrica perfetta del regime fascista». Cospicuo aumento di fatturato e di utili anche in occasione della Seconda guerra mondiale. Nel proclamarsi del tutto a disposizione, sarà Vittorio Valletta, nella sua veste di amministratore delegato, a dare subito «le migliori assicurazioni. Ponendo una sola condizione: che le autorità garantissero la disciplina nelle fabbriche attraverso la militarizzazione dei dipendenti». Fiat brava gente. L’Italia esce distrutta dalla guerra, tra fame e macerie, ma la casa torinese è già al suo “posto”. Nel ’47 risulta essere praticamente l’unica destinataria dell’appena nato “Fondo per l’industria meccanica”; e l’anno dopo, il fatidico ’48, si mette in tasca ben il 26,4% dei fondi elargiti al settore meccanico e siderurgico dal famoso Piano Marshall. E poi venne la guerra fredda, e per esempio quel grosso business delle commesse Usa per la fabbricazione dei caccia da impiegare nel conflitto con la Corea. E poi vennero tutte quelle autostrade costruite per i suoi begli occhi dalla fidata Iri. E poi venne il nuovo dazio protezionistico, un ineguagliabile 45% del valore sulle vetture straniere… E poi eccetera eccetera
Di Marx21
Scritto da Riccardo Ric il 20 maggio 2022 alle ore 23:15
Anche lei,santone,non si e’ mai indignato davanti a certi commenti,mi sembra.
Io e tre abbiamo sempre rispettato certe situazioni,voi fate solo ribrezzo in vari aspetti.
Scritto da Causio il 20 maggio 2022 alle ore 22:55
Gentile Causio,si risponde per le rime a chi ha SEMPRE vilipendiato e sbeffeggiato persone che non ci sono piu’ per meri e futili motivi calcistici.
Poi chiaro ,non ho mai letto nessuno indignarsi per il trattamento riservato continuamente da molti di voi ai deceduti di quella grande Inter.
2 pesi e 2 misure.