Sarebbe stato complicato a pieno organico, figuriamoci con tutti ‘sti cerotti e tutte ‘ste grucce. E con Allegri prigioniero della sua bacheca, dei suoi slogan, del suo vecchiume. In Champions come in campionato, e senza i Mbappé e Neymar di mezzo. Un quarto d’ora da squadra bella e rotonda, punizione di Paredes e zuccata di Milik (var-ida, stavolta), tracce di pressing e sbuffi di azioni. Piano piano, indietro tutti. Il Benfica, zitto zitto, guadagna campo, coglie un palo con Rafa Silva e pareggia allo scadere su rigore. Errore di gioventù di Miretti (su Ramos) e Joao Mario, ex Inter, impeccabile dal dischetto.
Era una partita da vincere. Non importa come. Anche se, per il mister, «decisiva» prima di Parigi ma non dopo. Il problema è che, a parità di trama – sempre la stessa – non si sa più cosa scrivere per sembrare originali. Non ci sono cambi all’altezza e, dunque, può essere che i titolari tirino a campare, nella speranza di non tirare le cuoia, ma così facendo l’avversario, di qualsiasi livello, gonfia il petto e moltiplica il coraggio. Non dico di tenere sempre, fino alla fine, il ritmo dell’incipit; chiedo solo di scendere a un accettabile compromesso fra parcheggio e messa in moto, tra ambizioni e frustrazioni. Vlahovic sembra tarantolato: mai una volta, però, che azzecchi un dribbling. Milik gli «pirla» attorno, Kostic calibra cross vaghi. Il Benfica, sornione, trasforma il palleggio, in gocce di veleno. Raddoppia, in avvio di ripresa, con David Neres. Potrebbe dilagare. Le parate di Perin (e Bonucci) evitano la resa incondizionata.
Madama è un pugile dalla mascella fragile e le gambe molli. Non fa più paura, ha paura. Gira attorno alle corde, smarrita, è l’adrenalina a riesumare schegge dell’antico furore: mai abbastanza, però. Kean timbra un palo, gli spiccioli di Di Maria valgono le uniche mance di fantasia e avrebbero meritato piedi più mirati di Bremer, troppo vicino al due pari per centrarlo. Non avrei tolto Milik, ma sarebbe come sparare sulla croce rossa. I vuoti dello Stadium sono indizi e i fischi, una sentenza. Agnelli, Arrivamaluccio, Allegri: a scrivere che non c’è gioco, magari se ne fottono, ma a ricordargli che è la Champions, soprattutto, ad allontanarsi, con tutta la sua miniera, chissà, potrebbe far scattare qualcosa. Il tecnico fu perfetto per il dopo Conte, non lo è stato per il dopo Sarri (e Pirlo). Si sapeva. Non si dimetterà mai. Nove milioni l’anno. Sembravano un Everest: occhio.
Ciao DEMENTE balcanico51, continua così a portare rogna al tuo idolo Cialtrone.
Stai facendo un ottimo lavoro.
Mi dispiace ci vada di mezzo la Juve, ma poi mi dico che questa non è la Juve.
E tu tifi Afghanistan.
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Anche il Tofiq Bəhramov adına Respublika Stadionu, Azərsun Arena, e casa del Qarabag, si unisce al coro universale per scandire forte e chiaro:
“Eeeee se prima eravamo in 19 a cantare “Sei un Demente”, adesso siamo in 20 a cantare “Sei un Demente”..
Fetecchia!
A parte il fatto che qui vengono attaccati entrambi. Allegri, perché è un volgarissimo Cialtrone. Agnelli perché ha messo sotto contratto per quattro anni un volgarissimo Cialtrone.
Scritto da Luca L. il 15 settembre 2022 alle ore 20:59
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E invece quelli che attaccano Agnelli ma difendono Allegri?
Riccardo Ric, bonariamente, mi vien da dirti che, se al posto del nostro attuale, tu vorresti Ranieri sei masochista forte, orco cane…ma tanto…o ti piace provocare, per vedere di nascosto l’effetto che fa…per forza! :-)
Nel 1999 l’Italia in Coppa Davis viene eliminata dalla Svizzera e scopre il giovane Roger, che a 17 anni è già considerato un predestinato. Così Gianni Clerici, l’indimenticato Scriba scomparso il 6 giugno 2022, raccontò quella rivelazione
NEUCHATEL – Avevo scritto ieri – e non era per nulla difficile – che c’ era odore di play out. E che, per salvare questo paese di poeti santi e navigatori (Dux dixit) ci sarebbe voluto un santo nuovo. Pensavo, nemmeno troppo in segreto, al San Guinetti di Milwuakee. Ma questa santificazione è stata ahinoi passeggera, e il Davide di oggi è sceso dalle sue nuvole, per ritornare in terra, purtroppo non rossa. La sua partita, ahilui, non era facile. Si ha un bel dire che ogni match conta per sé, ma c’ è una bella differenza nell’iniziare con un vittoria a zero, o invece con un handicap di 3 set, anche se a perderli è stato un vostro compagno. Un handicap che ha rasserenato, se ce n’ era bisogno, un bambinone dalla mano santa, un unto del Signore, come Mario Soldati amava definire i geni dello sport. E, dopo averlo seguito per due ore e quaranta minuti, non ho alcun dubbio che Roger Federer appartenga alla sparuta schiera dei predestinati.
Ricorda, questo bel bimbo di Munchenstein, l’Andre Agassi degli esordi, anche se la sua nascita Schwyzer dutsch potrebbe, per assonanza, rammentare un altro fenomeno dell’immaginazione e dell’ iperbole, il Barone di Munchausen. Mi informano i suoi esegeti che il giorno in cui fu felicemente catturato nel natio borgo selvaggio e rinchiuso tra le mura del centro tecnico di Ecublens, il piccolo Roger conosceva soltanto il diritto. Era ignaro di rovescio e battuta, così come del francese, la lingua di quel benedetto collegio. Perdeva anche regolarmente da non meno di quattro altri ragazzi, che oggi avranno probabilmente seguito il suo piccolo trionfo in televisione. Ma è noto che, per affermarsi, non è indispensabile aver solo il talento, ma bisogna saperlo coltivare. È la vecchia storia, mai accettata tra noi, che campioni si nasce ma poi bisogna diventarlo, grazie ad istitutori di qualità. Nell’affermazione di Roger hanno contato per molto un maestro di qui, Roger Freyss, e il coach australiano, Peter Carter, che anche oggi continua a seguirlo. Chi sperava che il trac dell’esordio, la tenuta atletica, la mancanza d’abitudine alla Davis offrisse a Davide Sanguinetti un talento grande ma confuso, si è certo sbagliato. L’Agassino svizzero ha sprintato all’avvio con un ritmo fenomenale, giocando non solo incontenibili drives in mezza volata, ma anche rovesci di una varietà e una facilità impensabili, per uno spettatore come me, che lo conosceva male. Questa enorme facilità ha costretto Davide Sanguinetti, che già non è attaccante, ad affrontare una partita esclusivamente difensiva. Sanguinetti è stato così costretto, per la sua posizione fatalmente arretrata, a percorrere una distanza doppia di quella del suo avversario, che entrava in campo ad ogni minima occasione. Serviva anche magnificamente, il giovane Federer, tanto che una sola volta, in tutto l’incontro, la sua velocità di prima battuta sarebbe scesa sotto i 180 orari. Quasi ciò non bastasse, il nostro eroe avrebbe sofferto una partenza ancor più in salita, per una chiamata assassina che offriva il primo break allo svizzero, nel settimo game del set d’avvio. Pareva impossibile che il piccolo continuasse a viaggiare a quella velocità di crociera.
E infatti, per riscaldare i nostri cuoricini smarriti, Roger avrebbe dissipato il tiebreak del secondo set come può soltanto un fenomeno, nel bene e nel male: sette errori consecutivi, davvero troppi per non capire che era – quello – soltanto un episodio, e non una clamorosa indicazione di rottura prolungata. Non passava infatti un minuto che Agassino riprendeva a mulinare, e Davide a far disperatamente il tergicristallo, come diciamo in gergo. Per rendersi conto delle difficoltà incontrate da Sanguinetti, sottolinerò che avrebbe strappato per la prima e l’unica volta la battuta al suo avversario nell’ ottavo game del quarto set, alla nona palla break. E credo che tanto basti, non solo ad assolvere Davide, ma a sottolineare la sua dignitosa, se non straordinaria, partita. Un match non meno onorevole di quello di Pozzi, capace di tenere le ruote di un Pippo Rosset addirittura isterico all’infuori dei tiebreak. Si è ripetuto infinite volte che, nel tiebreak, la battuta conta il doppio. Ed è stata proprio quella, proprio lì, la differenza tra due giocatori non tanto lontani l’uno dall’ altro, come farebbe pensare la classifica. Una sconfitta, insomma, prevista quanto onorevole. Una sconfitta con l’ onore delle armi, che ci destina, tuttavia, all’alea dei play out.
Gianni Clericj
Ciao Roger thanks for the memories.
Comunque….fatt na sucata!!
Culo77,sei talmente ripetitivo che mi togli pure la voglia di insultarti!
Si Giovanni, é tutto One hai scritto e non ho niente da aggiungere.
Hai capito quello che intendevo, guarderemo ancora il tennis perché ne siamo appassionati però ne guarderemo “meno” perché Lui non c’è più
ALMENO 1 Slam