Senza Leao e Osimhen, con Krunic e Raspadori, poteva vincere il Milan, ha vinto il Napoli: 1-2. Più Meret che Maignan, rigore di Politano, poi Giroud e Simeone, di testa, uno dei cambi. Meriti e segnali, Spalletti gongola. Partita a scacchi per un tempo, ripresa di stampo britannico, a tutto gas, con rare soste ai box. Due traverse, i campioni: e quella di Kalulu, agli sgoccioli, clamorosa. Un monumento a «Robotka», ad Anguissa, a Mario Rui, a Kvara, che procura il penalty dopo aver fustigato Kjaer e Calabria. Il giallo del terzino aveva indotto Pioli a inserire Dest: sua la frittata che non sfuggirà al Var.
Messias e Brahim Diaz aiutano il Diavolo a crederci. De Ketelaere avrebbe bisogno di onde più quiete, ma anche così il suo violino partecipa, con Theo, all’azione del pari. Per vincere, bisogna rischiare. E dal momento che entrambi hanno rischiato, significa che entrambi volevano vincere. Non so, sinceramente, cosa possa rimproverarsi il Milan: se non la mira sotto porta. Da parte sua, il Napoli ha imparato a soffrire. Da come si muove in campo, sembra che il mercato non l’abbia nemmeno sfiorato. E invece la società fece la rivoluzione.
Roma-Atalanta 0-1. Non è più la Dea estrema ed estremista della scapigliatura. E’ una Dea «di centro», ringhia e soffre, subisce e colpisce. Splendido il gol di Scalvini, classe 2003. Il Gasp ha saputo adattarsi: via la fantasia del Papu e di Ilicic, sotto con una combriccola di scout che sa cavarsela persino nelle selve più fitte. Priva di Dybala (i flessori, ahi), la Roma molto crea e molto spreca (con Abraham, soprattutto). Zaniolo si mangia campo e avversari, Mou reclama rigori inesistenti e si fa cacciare. Sfida di puro wrestling.
Udinese-Inter 3-1. Terza sconfitta: la seconda, dopo il derby, da 1-0. La confusione di Inzaghi affiora dai cambi frettolosi, da equilibri smarriti, da un centrocampo che non scherma più la difesa (già 11 gol). Lau-Toro è un fantasma, e De Vrij, subentrato, un’ombra. L’Udinese, in compenso, un carro armato. Fisica (Becao, Udogie) e tecnica (Deulofeu, Pereyra). Complimenti a Marino e alla famiglia Pozzo. Da Gotti e Cioffi, Sottil non ha ereditato macerie. Ha allargato e accentuato il percorso di crescita: poca costruzione dal basso, ritmo possente, manovra spiccia e verticale. All’inglese. Quinto successo di fila: fra le prede Roma, Fiorentina e Inter. Il Friuli è sempre stato un laboratorio: ogni tanto si ferma, basta aspettarlo.
Gentili Signori,
Non travisate. Non dico certo che l’allenatore non conta, anzi a tal proposito vi trasmetto sotto un bel pezzo di Stefano Scacchi che, su La Stampa, fa il ritratto del brillante Pellegrino Matarazzo, allenatore molto promettente dello scoppiettante Stoccarda.
Tuttavia, dico che su questo blog aleggia una cappa di pigrizia intellettuale. via Max suona come la più facile soluzione ad un problema ben più convoluto: un accavallarsi di scelte sbagliate ed assetti sballati nella società.
Cordialmente,
BZ
****************************************************************************************************************************
È una storia che unisce le nocciole dell’Irpinia alla Columbia University di New York. E conduce alla panchina dello Stoccarda in Bundesliga. Così lo statunitense Pellegrino Matarazzo, 44 anni, nato in New Jersey da genitori italiani emigrati dalla Campania, allenatore e matematico, ex assistente di Julian Nagelsmann all’Hoffenheim, è diventato uno dei tecnici emergenti del campionato tedesco, dopo una lunga gavetta. Ha riportato lo Stoccarda nella massima divisione tedesca due anni fa e in questo avvio di stagione non esaltante si è tolto la soddisfazione di andare a pareggiare 2-2 in casa del Bayern Monaco.
- Lei è laureato in matematica in uno degli atenei più prestigiosi del mondo, però ha scelto il pallone senza avere sicurezza di sfondare.
«Il calcio è sempre stato il mio sogno, ma volevo tenermi una seconda opzione aperta. Mio papà mi ha incoraggiato a tentare comunque la strada nel calcio. Mia mamma, invece, quando ero in Germania a giocare in quarta categoria, mi diceva di tornare negli Stati Uniti per cercare un lavoro legato ai miei studi. Come mio fratello che è laureato in economia alla Columbia, ha provato a giocare a calcio in Europa ed è tornato in America per fare l’avvocato. Ma io sapevo che la mia strada era nel calcio».
- Gli studi in matematica aiutano a fare l’allenatore in questi anni di algoritmi e big data?
«Spingono a pensare in maniera logica per cercare soluzioni. E mi permettono di dialogare in maniera più approfondita con gli analisti statistici perché so di cosa si parla. Ma il calcio non è solo logica. Riguarda cuore, mente ed emozioni di un gruppo di persone».
- Klopp, Tuchel, Nagelsmann, Schmidt: la Bundesliga è il nuovo laboratorio del calcio europeo?
«È un ambiente aperto dove confrontarsi. Merito delle accademie create 20 anni fa dove gli allenatori possono scambiarsi idee e migliorare. A me è capitato con Nagelsmann, mio compagno di stanza durante il corso a Colonia. Sono stato suo vice all’Hoffenheim e siamo amici. Per lo sviluppo del calcio tedesco è importante anche la lingua che è ideale per andare in profondità nei concetti».
- In Serie A, invece, ci sono appena due allenatori stranieri.
«Non conosco bene il vostro sistema, però la scuola italiana è una delle migliori. Mi hanno ispirato molto Sarri e Gasperini. Però forse per gli allenatori l’Italia è un circuito un po’ chiuso».
- Allenare in Italia è un obiettivo? Magari il Napoli, la squadra della regione dei suoi genitori?
«Certo, sarebbe un sogno farlo a un certo punto della mia carriera. La mia famiglia tifa Napoli e le altre squadre campane. Mio papà viene dall’Irpinia, mia mamma dalla provincia di Salerno. La mia idea iniziale, dopo la laurea, era giocare a calcio in Italia. Un procuratore mi aveva promesso un provino alla Salernitana, ma è sparito dopo che ero già atterrato in Italia. Allora ho provato con la Nocerina, ho segnato un gol in un’amichevole, ma il mercato era quasi chiuso e non mi hanno tesserato. Così sono rimasto tre mesi da mio nonno che coltiva nocciole. Ho mangiato, bevuto vino e capito come è bella la vita in Italia».
- Poi la Germania.
«Sì, perché un agente tedesco mi aveva notato quando giocavo nella squadra della Columbia. Non sapevo una parola di tedesco, sono partito dalla quarta serie, guadagnavo pochissimo e dovevo condurre una vita molto economica».
- Adesso allena la squadra sconfitta proprio dal Napoli nella finale di Coppa Uefa del 1989.
«Ogni volta che esco dallo spogliatoio per andare verso il campo nelle partite casalinghe, alla mia destra vedo una foto di Maradona in mezzo al campo prima di quella sfida. Voglio la rivincita», dice sorridendo.
- Quanto amore per il calcio è stato necessario per non farla desistere nella sua lunga gavetta?
«Ho avuto coraggio e sono serviti sacrifici. Ma sapevo che era il mio sogno. Non ce l’avrei fatta senza l’amore e il supporto incondizionato di mia moglie, mio figlio e della mia ampia famiglia. Ancora adesso per mia moglie e mio figlio non è facile perché fare l’allenatore ad alti livelli porta via tante energie. Ma il calcio è bellissimo: gli stadi pieni, la connessione psicologica che si crea con altri esseri umani, questo sport unico che si gioca con i piedi e non con le mani. Qualcosa che coinvolge il corpo e la mente».
- C’è un calciatore che incarna questa bellezza?
«No, la bellezza del calcio è troppo grande per un solo giocatore».
Alex, io ho l’impressione che la Juve, dall’avvento di AA, funzioni a compartimenti stagni, compreso il CdA. Ovvero c’é un sistema di deleghe per cui gli altri livelli non interferiscono: una volta scelto il DS, lo si lascia fare quel che vuole. Una volta scelto l’allenatore, lo si lascia fare fino a fine stagione e non si mette becco. Il che va bene solo in linea di principio (rispettare l’autonomia e i ruoli) solo se tutti i compartimenti funzionano alla perfezione. Se uno o piu’ compartimenti disfunzionano, si rischia di schiantarsi perché nessuno li ferma se non a fine a anno o a fine mandato. Non é assolutamente sensato che un Presidente si disinteressi del lato tecnico, che la dirigenza non muova un dito se durante gli allenamenti si passeggia e si gioca a basket solo perché la gestione tecica é delegata all’allenatore.
Scritto da Alex drastico il 22 settembre 2022 alle ore 14:55
E quel che è peggio, secondo autorevole conferma dello stesso Beck, che si tratta di 70mil€ SENZA alcuna “way out” possibile e contrattualmente definita…
Purtroppo non lo è.
Situazione kafkiana.
Ieri leggevo il curriculum dei componenti del cda e sembrano siano dirò di professionisti-e,tra l’altro provenienti da mezzo mondo.
Possibile che nessuno abbia sconsigliato AA sulla necessità di dare 70m lordi ad un farabutto come il cialtrone?
Pazzesco.
Il basket é come il calcio. Maledetto pagliaccio.
Scritto da Logan il 22 settembre 2022 alle ore 14:11
Sembra una barzelletta
Scritto da mike70 il 22 settembre 2022 alle ore 14:50
Qualcuno qui dentro diceva “palla a LeBron James” per parafrasare le sue vaccate… quello invece lo pensa e l’ha detto veramente.
Schemi e preparazione uncontano gnente. Correre neanche, che poi ci si stanca. Si dà la palla a quelli bravi e con gli altri si va a gnocca.
Il basket é come il calcio. Maledetto pagliaccio.
Scritto da Logan il 22 settembre 2022 alle ore 14:11
Sembra una barzelletta
ma quale bel pezzo, questa del giornale è una roba davvero insulsa, piena di banalità. a cominciare dal concetto che l’allenatore conti poco.
Come ha fatto la Salernitana ad imporci il pari senza Pogba, Chiesa e Di Maria? E come ha fatto il Monza a batterci senza questi giocatori? Per non parlare della Viola. Insomma questi fanno gioco e risultati, ma noi senza Pogba, Chiesa e Di Maria non riusciamo a battere Salernitana e Monza.
Scritto da Logan il 22 settembre 2022 alle ore 14:07
Eh ma il Monza e la Salernitana hanno giocatori bboni, i nostri unsobboni, tranne gli assenti. Che però poi magari quando rientrano si scopre che unsoppotantobboni, per esempio un tornano mai.
L’allenatore invece un conta se ebbono o no, tanto lui distribuisce solo le pettorine (per 9 milioni).
Il basket é come il calcio. Maledetto pagliaccio.
Per piacere basta,caro Bertoldo non puoi più difenderlo.Mi sono arreso persino io che comunque non l’avrei ripreso.Sono decine di partite che non riusciamo a tirare in porta,credo che anche il mio Pescara(serie c)a Monza avrebbe fatto 4/5 tiri in porta.Basta