Italia-Inghilterra è sempre «lei» anche così, fra cicatrici, rimorsi e tormenti. Noi, alla ricerca del centravanti perduto (fuori persino Immobile) e di qualcosa che, dopo la pugnalata macedone e la batosta di Moenchengladbach, assomigliasse almeno a una zattera; loro, in viaggio di studio e con la testa non sempre ai testi. L’1-0 ci sta tutto. Anzi: la parata di Pope su Gabbiadini e il palo di Dimarco – a fronte di un paio di petardi di Kane – avrebbero giustificato, come minimo, il raddoppio.
Avevano più fame, i nostri. Più di Foden, di Bellingham (averne, comunque), di Sterling, dello stesso Kane. In piena emergenza, il Mancio aveva varato un 3-5-2 ad assetto variabile che si è rivelato solida stampella. Pressing, coraggio, errori, sbadigli: a conferma di quello che raccontava Charlie Brown a Snoopy, «Un giorno moriremo tutti, sì: ma tutti gli altri giorni no».
Migliore in campo, Bonucci. Poi Dimarco, Di Lorenzo e Raspadori. Il gol merita un capitolo a sé. Unisce lavagne e lagne, il calcio di ieri e il calcio di sempre. Lancio lungo del capitano. Splendido. A scavalcare le trincee di Southgate (mah). Il destinatario è Raspadori. Come, agli Europei del 2016 contro il Belgio, era stato Giaccherini. Le parabole così sospese non piacciono ai puristi del tiki-taka (e, che io sappia, nemmeno a Sacchi: «Franchino [Baresi], ricordati che quando fai un lancio lungo mi dai un dispiacere»); a me sì, invece. E pure tanto. «Raspa», dunque. Il controllo vale, da solo, mezzo gol. Morbido, di pennello. In assoluto e, a maggior ragione, perché dipinto in mezzo a un nugolo di sentinelle distratte, ma corpose. E il tiro di destro, a giro. Imparabile.
Una vittoria a Budapest, lunedì, ci spalancherebbe addirittura la fase finale della Nations League, gli unici spiccioli che ci sono rimasti in tasca. Ma che lancio, quel lancio. E che controllo, quel controllo.
Dopo l’impresa di Monza Di Maria ha proprio un bel coraggio. Detto che è ancora un gran giocatore, voluto fortemente dal miste. Perchè èppronto (a saltare sull’aereo).
Corre voce che Di Maria e Paredes chiederanno formalmente alla Juventus di essere esentati dalla partita del 13 novembre contro la Lazio per poter partire prima in ritiro con l’Argentina… una volta ste cose si cercava almeno di camuffarle, ora invece si fanno davanti a tutti, alla luce del sole.
Begli acquisti.
CON AGNELLI O SENZA AGNELLI PASQUA CI SARRRRA’!
Perché Agnelli dovrebbe dimettersi
Domani7 Dec 2021
Rossano D’Antonio
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Scrivo in merito all’articolo di Pippo Russo: “Inchiesta Juventus, Agnelli quando pensa di dimettersi per il caso pluvalenze?”, in quanto ne condivido in parte le opinioni e vorrei stimolare qualche sua riflessione. Secondo me Andrea Agnelli dovrebbe dimettersi per tre ragioni, non quattro. Due di queste sono le stesse che sono menzionate nell’articolo, ovvero: la figuraccia Suarez e lo schifo plusvalenze. La terza è il non aver cacciato Allegri dopo la sconfitta di Cardiff.
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Io trovai vergognoso prolungare il contratto e raddoppiare lo stipendio ad un allenatore capace di perdere due finali ed essere eliminato in vantaggio di due gol (con il Bayern a Monaco). E capace di rimediare successivamente altre due figuracce a Madrid (catenaccio sullo 0-3 a mezz’ora dalla fine) e in casa con l’Ajax (nettamente inferiore). Quanto a Ronaldo e alla Superlega, Perché Agnelli dovrebbe dimettersi
Domani7 Dec 2021
Rossano D’Antonio
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https://www.pressreader.com/italy/domani-9ysj/20211204/281483574666910
La Juventus va a picco Ecco perché Agnelli ora deve dimettersi
C’è un altro indagato nell’inchiesta sulle plusvalenze. Ma è solo l’ultimo capitolo di un declino iniziato con l’affare Ronaldo. E il presidente è il principale colpevole
Domani4 Dec 2021PIPPO RUSSO
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Andrea Agnelli è presidente della Juventus dal 2010. Dal 2017 al 2021 è stato presidente dell’European club association
Egregio Andrea Agnelli, ci consenta una domanda: dopo tutto quello che è successo quando pensa di dimettersi dalla carica di presidente della Juventus? Badi bene, non le stiamo chiedendo “se”, ma proprio “quando”. Perché non ci pare ci siano dubbi sull’inopportunità della sua permanenza a capo del club leader del calcio italiano. Anche e soprattutto dopo le novità emerse dall’inchiesta sulle plusvalenze (c’è un altro indagato, il settimo).
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Oggi la società bianconera sta attraversando una evidente crisi di leadership. Guidata da un presidente in confusione, ormai inadatto a una missione così delicata, forse persino scomodo per la dinastia Agnelli-Elkann in nome della quale ricopre un posto nel consiglio di amministrazione di Stellantis.
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Fare queste considerazioni non significa certo disconoscere i meriti di Andrea Agnelli. Quando, nel 2010, è stato eletto, raccoglieva una società che non aveva ancora assorbito il trauma di Calciopoli. E che, pur ritornata prontamente in Serie A, vivacchiava nella mediocrità. Dopo la sua ascesa al vertice sono arrivati 9 scudetti consecutivi, più altri trofei nazionali e due finali di Champions league. Risultati che nemmeno i detrattori più accaniti potrebbero disconoscere. Tuttavia, detto dei meriti, bisogna anche parlare di cicli che si esauriscono. E purtroppo quello di Agnelli si sta esaurendo in modo rovinoso. Segnato da quattro passaggi chiave che hanno fermato un’ascesa che pareva inarrestabile.
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Cristiano Ronaldo
L’estate 2018 è stata il punto di svolta negativo con l’acquisto di Cristiano Ronaldo, il fuoriclasse che avrebbe dovuto portare a Torino la Champions league. Un colpo da 115 milioni di euro per l’acquisizione, più un salario lordo da circa 58 milioni di euro per 4 anni (ma saranno soltanto 3), per un calciatore che al suo arrivo a Torino aveva già compiuto 33 anni.
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Non servivano raffinati economisti per capire che pagare per un solo calciatore circa 85 milioni di euro all’anno, fra salario e ammortamento, significava scassare i conti della società. La necessità di stressare il ricorso alle plusvalenze incrociate è nata da lì. E senza che il portoghese abbia inciso sui risultati agonistici. La Champions è rimasta un miraggio e intanto è iniziato il declino italiano.
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L’esame di Suárez
L’aneddotica sulla cocumella fa ridere, tutto il resto della vicenda per niente. Il famoso esame presso l’Università per stranieri di Perugia, che avrebbe dovuto permettere al centravanti uruguayano Luis Suárez di ottenere la cittadinanza italiana e scansare il penalizzante status di extracomunitario, ha visto un po’ troppo coinvolti personaggi che gravitano intorno alla Juventus. Magari si saranno lasciati coinvolgere per pura cortesia e non già perché la società avesse intenzione di ingaggiare l’attaccante. Però c’è stato sicuramente un eccesso di cortesia. Con tanto di mobilitazione di una ministra della Repubblica, Paola De Micheli, giunta dietro sollecitazione dell’allora dirigente juventino Fabio Paratici e in nome di antichi legami d’amicizia. Un’altra macchia.
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La Superlega
Per tentare la scellerata avventura della Superlega Agnelli si è bruciato il ruolo di presidente dell’European club association (Eca) e un capitale di rapporti politico-diplomatici guadagnato nel tempo. In cambio di cosa? Senza contare le condotte puerili come le mancate risposte telefoniche o le bugie dette nelle ore antecedenti il tentativo di secessione. Tutte cose che restano.
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La vicenda plusvalenze
Sulla recente inchiesta delle plusvalenze non è il caso di soffermarsi oltre. A parte raccontare le novità della giornata di ieri, col settimo indagato che si aggiunge alla lista. Si tratta dell’avvocato Cesare Gabasio, legale del club. Le indiscrezioni sull’intercettazione di una sua conversazione dello scorso 23 settembre col direttore sportivo Federico Cherubini richiamano la carta privata che sarebbe stata sottoscritta con Cristiano Ronaldo, di cui gli inquirenti sono alla ricerca («Se salta fuori abbiam… ci saltano alla gola tutto sul bilancio»).
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Molto è stato scritto e molto rimarrà da scrivere su questa vicenda. Di sicuro non ci si aspettava che la Juventus ricorresse a mezzi usati da società del calibro di Chievo e Cesena, con tutto il rispetto. Invece è successo. Sotto la presidenza Agnelli. E guardando a tutto ciò, tornano in mente le parole pronunciate dal presidente lo scorso ottobre, durante l’assemblea annuale degli azionisti, proprio in merito all’addio di CR7: «Nessun calciatore è più grande della Juventus». Dal canto nostro aggiungiamo che, allo stesso modo, nessun presidente dovrebbe essere più grande della Juventus.
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Quoto Giuseppe (?)siano stramaledetti gli Agnelli!
e tu che ne dici? Io dico che piaZe.
cialtroneout
Subito. Poi pensiamo ad AA, se ne abbiamo il tempo. O lo mettiamo a fare il fantoccio. Priorità: #cialtroneout.
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Scritto da Logan il 26 settembre 2022 alle ore 14:23
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Ottima idea, chi se ne occupa?
Le lenzuolate no, per favore
Concittadini,
in questo momento di civismo e fermentazione politica, vi invito a leggere un bell’articolo di Pippo Russo per tag43.it per non perdere di vista la situazione in casa Juve,
Cordialmente,
BZ
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Pippo Russo per tag43.it
«Lo paghi tu quello che viene dopo?». Le improvvide parole di Maurizio Arrivabene sono la sintesi più efficace del vicolo cieco in cui si è cacciata la Juventus. E in fondo a quel vicolo ci sta lui: Massimiliano Allegri. Max per gli amici, #AllegriOUT per una schiera di detrattori ormai talmente vasta da sfiorare l’unanimità, se non fosse per quel controhashtag #AllegriIN che sta decollando dietro impulso della parte anti-juventina del Paese. Inscalfibile, imperturbabile, soprattutto illicenziabile. Forte di un contratto che oltrepassa la soglia della decenza e perciò non offre regole d’ingaggio al giudizio.
Perché come si fa a giudicare un allenatore che percepisce 7 milioni netti all’anno fino al 2025 (13 milioni stagionali al lordo, con impegno complessivo quadriennale da 52 milioni di euro per le casse bianconere) e poi rimedia le figure che sta collezionando in questo avvio di stagione? O record indelebili come aver guidato la prima squadra nella storia che ha perso una partita di Serie A contro il Monza?
Quel sorriso sinistro di Max, del tipo: «Provate a schiodarmi un’altra volta da qui»
È tutto quanto incommentabile perché manca il senso della proporzione. E lo è anche perché Allegri porterà pure un fardello di colpe sue, ma è a sua volta un fardello di colpe che altri dovrebbero prendersi in carico. Invece fanno finta di nulla. A cominciare dallo stesso Arrivabene, che ama esibire la faccia dura ma sarebbe meglio parlasse di meno perché come comunicatore lascia parecchio a desiderare.
E continuando in su per la gerarchia dirigenziale si arriva fino a Andrea Agnelli, che invece con la comunicazione ha proprio smesso o forse ha soltanto ricevuto l’ordine di indurre l’evanescenza di se stesso. E mentre la Juventus cumula numeri negativi sia sul campo sia nei conti, l’unico che continua a ridersela è proprio l’allenatore. Per il quale il vicolo cieco è una comfort zone. Non è che sta lì perché ha perso la via d’uscita, ma proprio perché devono compiere un atto di forza per cavarlo da dove si trova.
Quel vicolo cieco è il suo bunker e la società bianconera non ha la risolutezza per estrarlo. Forse non si capisce nemmeno a chi tocchi farlo, dato che in questo momento il vuoto di potere sembra essere la sola cifra reale del vertice bianconero. Sicché l’allenatore rimane al suo posto, almeno fino a quando non ci si renderà conto che dovrà comunque essere fatta una scelta rovinosa.
Continuerà a essere #AllegriIN, come del resto è stato fin dall’inizio di questa seconda avventura bianconera, e come testimoniato dall’annuncio che il sito ufficiale juventino diede due estati fa per comunicare che l’allenatore livornese tornava sulla panchina bianconera. È stato usato proprio quell’hashtag, a corredare una foto in bianco e nero in cui il signor Max sfodera una posa e un sorriso che adesso appaiono parecchio sinistri. Se ne sta di tre quarti e si guarda indietro, sembra proprio dire: «E adesso provate a schiodarmi un’altra volta da qui».
E allora si può ben comprendere il motivo di quelle parole pronunciate da Arrivabene in risposta a un tifoso che chiedeva la cacciata di Allegri. E tuttavia il fatto che lo si comprenda non comporta che lo giustifichi anche. Non giustifica nemmeno che un amministratore delegato, sia pure con tono scherzoso (e neanche tanto), dica che di fatto uno dei suoi dipendenti principali rimane dove è perché licenziarlo sarebbe un disastro economico.
Tanto più che quella frase è stata pronunciata prima della disfatta rimediata allo U-Power Stadium di Monza. Adesso l’amministratore delegato la ripeterebbe? L’interrogativo rimarrà senza risposta, ma è comunque opportuno fare un po’ di conti per capire quale sia il male minore proprio in termini economico-finanziari. Perché dato per assodato che da qualche parte bisognerà sanguinare, tocca capire da quale parte l’emorragia sarà meno copiosa e produrrà esiti meno letali. E in tal senso il riferimento-chiave è sempre quello: la qualificazione alla fase a gironi della Champions League, la vera Linea del Piave per i vertici bianconeri.
Averla conquistata nella scorsa stagione è stato l’unico titolo di merito per Allegri nel 2021-22. Ma già a metà settembre quell’esito favorevole ha esaurito gli effetti positivi. Perché la Juventus è quasi fuori dalla fase successiva della Champions, quella a eliminazione diretta. E perché riguadagnare la qualificazione al termine del campionato in corso appare in questo momento ipotesi remota.
E allora, dato che la si mette sul piano dei conti da non mandare in aria, ecco delle cifre sulle quali ragionare. Il premio assegnato dall’Uefa a ciascun club per la sola partecipazione alla fase a gironi di Champions è di 15,6 milioni di euro. Cioè 2,6 milioni in più di quanto la Juventus versa a Allegri per un anno di stipendio lordo. Ovvio che il licenziamento di Allegri non dia la certezza che un nuovo allenatore rimetta la squadra nelle condizioni di acciuffare la qualificazione. E tuttavia è forte la sensazione che serva una sterzata per non compromettere la stagione in corso e quelle a venire.
Inoltre, vanno aggiunte le cifre spese per rendere questa squadra competitiva nell’immediato, cioè per soddisfare le richieste di Allegri: 80 milioni di euro per Dusan Vlahovic, 41 milioni per Gleison Bremer (più bonus e oneri accessori), oltre 20 milioni per Leandro Paredes, 31 milioni per il molto probabile riscatto di Moise Kean (che avverrà alla fine di questa stagione), 12 milioni per Filip Kostic, quasi 9 per Zakaria e una decina per l’eventuale riscatto di Arkadiusz Milik.
E al conto vanno aggiunti gli stipendi per i due calciatori giunti a parametro zero e voluti da Allegri per vincere subito: 8 milioni netti per Paul Pogba (10,48 milioni al lordo, grazie allo sconto determinato dal Decreto Crescita) e 7,86 milioni per Angel Di Maria (che si fermerà soltanto un anno e dunque potrebbe non garantire appieno al club i vantaggi dello stesso decreto). Per la cronaca, proprio i due ultimi menzionati sono i più clamorosi flop di questo inizio di stagione, sia pure per ragioni diverse.
Il vuoto intorno alla panchina: Arrivabene e Nedved inadeguati
Dunque, al di là delle valutazioni che possano essere fatte sull’opportunità dei singoli investimenti, resta il fatto che in nemmeno un anno e mezzo dal ritorno di Allegri in panchina la Juventus si è esposta in modo massiccio sul mercato. I ritorni di tutto ciò sono stati modesti, con tendenza al peggioramento..
Si presenta allora l’esigenza di tutelare gli investimenti compiuti e metterli nelle condizioni di essere fruttuosi. Sicché, ecco l’interrogativo cruciale: Allegri è in grado di tutelare gli investimenti fatti per lui? Cioè, non si tratta di “chi paga quello che arriva”, ma di “quanto ancora può essere deprezzato il patrimonio che si ha in casa”. Quale delle due opzioni è meno rovinosa? Intorno al dilemma si staranno arrovellando i dirigenti juventini, senza che però si capisca chi debba prendere le decisioni.
Perché in questo momento non è proprio chiaro chi comandi in casa Juventus. Il presidente Andrea Agnelli, architetto del disastro dei conti cominciato con l’ingaggio di Cristiano Ronaldo e protagonista di una figuraccia mondiale nella vicenda della fallita Superlega, è di fatto sotto tutela di Arrivabene e ormai non appare quasi più. Lo stesso Arrivabene, espressione di John Elkann, è un aggiustatore privo di visione e dà ancora l’impressione di non aver ben capito come funzioni il mondo del calcio.
Il vicepresidente Pavel Nedved non avrebbe mai dovuto essere lì. E tutto intorno c’è un panorama di figure che in altri tempi non avrebbero mai occupato un posto in Juventus. L’asticella si è nettamente abbassata, tanto quanto i risultati sul campo. E in queste condizioni Allegri se la può ridere in conferenza stampa anche davanti all’ipotesi dell’esonero. In mezzo a tanta decadenza lui ci sta da re
L’ovino ha tanti torti (negli ultimi 5 anni, soprattutto3 dai..) oltre a enormi meriti per quanto fatto dirigenzialmente nella gestione piu vincente di sempre a partire da un quinquennio orrido.
Ma rispetto al ricotta è come maria goretti rispetto a cicciolina. No dai, maria goretti no, facciamo un’attricetta un poco allegra (ops), ecco.
“Adesso ho davvero sempre voglia di giocare a calcio”
Anche noi si avrebbe voglia di vedere giocare a calcio.
#cialtroneout
Subito. Poi pensiamo ad AA, se ne abbiamo il tempo. O lo mettiamo a fare il fantoccio. Priorità: #cialtroneout.
Quindi fatemi capire: a Kulu non mancano le partitelle di basket e nemmeno la gara sui calci piazzati?