E l’Arno mormorò

Roberto Beccantini22 ottobre 2022Pubblicato in Per sport

E’ la seconda volta che Brahim Diaz segna un gol così. Con la Juventus, con il Monza. Recupera palla a metà campo e parte in tromba. In base agli schemi dovrebbe passarla ai colleghi della scorta. Invece no. Dritto come un fuso, fila in porta e, da terra, morde di sinistro. Ma allora non è proibito? Ventitré anni, è cresciuto fra i banchi del Manchester City e del Real Madrid, beato lui: libero di osare, lontano dagli estremi del calcio «semplisce» e del calcio «scienza». Il raddoppio, in compenso, è più ortodosso, suggerito com’è da Origi, anche se il controllo e la girata di destro sono da applausi, sempre.

Il Milan di Pioli si mangia, dunque, anche il Monza della premiata forneria Berlusconi. E non crediate che sia stato un amarcord fra il romantico e il romanzesco. Sensi, Pessina e Carlos Augusto ci hanno provato, eccome. Tatarusanu è stato all’altezza. Partita gradevole, per ritmo e idee. I campioni a domarla, gli sfidanti a rovesciarla. Le rotazioni in chiave Champions hanno coinvolto persino Leao, che del Diavolo è il forcone e il mantello. Ma la classe è classe, nasconde le distanze tra i reparti, smussa gli spigoli della immanente Zagabria, trascina il popolo. La sassata di Origi, la punizione-wow di Ranocchia, scuola Juventus, e il contropiede della ditta Theo-Leao fissano un 4-1 che, onestamente, sa più di giocate che di «giuoco».

Al Franchi, come sulla ruota di Barcellona, esce di tutto. L’Inter va via sul velluto. Pressing e pugnali: gol di Barella su assist di Lautaro, dribbling e gol di Lautaro dopo lancio di Mkhitaryan. Il tutto, in un quarto d’ora. Fatali gli errori in uscita. La Viola avanza a ragnatela (di passaggi); gli avversari arretrano, sazi. Improvviso, al 33’, il rigore. Entrataccia di Dimarco (da rosso, nemmeno un giallo!) su Bonaventura, incuneatosi a centro area. Il Var richiama un distratto Valeri: non così. Cabral, che aveva rimpiazzato Nico Gonzalez, trasforma. La sfida s’impenna. Rissette, assemblee tumultuose.

Italiano è una vetrina di lavagne, difesa sempre alta, anche nei momenti in cui non sarebbe reato cautelarsi un po’. Inzaghi, viceversa, si cautela anche quando, magari, con un colpetto di acceleratore potrebbe liquidare la pratica. Morale della favola: Ikoné pareggia su «ribaltone» di un Kouamé in gran spolvero. Incidono i cambi, tanto per cambiare: Dzeko imbecca Martinez per il rigore, netto, del 2-3. Quindi, mischie di qua, mischie di là, sino al 3-3 di Jovic, bello, al 90′. Era entrato pure il serbo, anche se nessuno se ne era accorto. Poi, al 95’, da un tiratina di Dzeko a Milenkovic a metà campo nasce il contropiede di Barella (ripeto: il contropiede). Barella scorge Mkhitaryan, che pizzica, di carambola, il disperato rinvio (laterale) di Venuti, non nuovo a harakiri del genere: 3-4. Inzaghino aveva sostituito Lau-Toro con Bellanova. Il migliore in campo con un terzino. E ha vinto lo stesso. La Fiorentina ha inseguito a lungo un pareggio che, tutto sommato, avrebbe meritato. Per il cuore, per gli aggiustamenti tattici. Non, però, per la disinvoltura delle sue sentinelle. Il peggiore? L’arbitro.

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