Ogni giorno cade una foglia, in questa antologia di «Spoon River» che lo sport scrive, riscrive e corregge a ritmi quasi isterici. Sinisa Mihajlovic il burbero; Vittorio Adorni il signore; o Rei Pelé il massimo; Ernesto Castano il duro. Li ha raggiunti Gianluca Vialli, come era nell’aria da tempo. Aveva 58 anni, l’ha consumato un tumore al pancreas. Si è spento a Londra, città che aveva eletto a castello della maturità . Lascia la moglie, due figlie e gli agi di una famiglia che non gli hanno impedito di diventare «grande».
In un calcio di fighetti, è stato un «guerriero borghese». Trascinava i compagni, sfiancava gli avversari. La Cremonese di «papà » Domenico Luzzara, il giardino incantato della Sampdoria e dei «sette nani», sotto la regia di Paolo Mantovani, Paolo Borea, Vujadin Boskov e Narciso Pezzotti, con Roberto Mancini a fargli da gemello, coppia di «fatti» che la storia avrebbe agghindato come un albero di Natale. Poi la Juventus di Giampiero Boniperti, altro presidente di una volta, che lo aveva smarrito per una dritta errata (e recuperato a suon di miliardi). Quindi l’irruzione della Triade, la saudade genovese che diventa adrenalina. Non legò col Trap, fu Marcello Lippi a ricaricarlo.
La finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley con la Samp, anche per colpa sua (come avrebbe confessato) ma soprattutto per la bomba di Ronald Koeman, segnò un confine drastico, profondo. Finiva la scapigliatura. Cominciava il servizio «militare». Juventus, Chelsea, tra i primi a esplorare la Premier, giocatore allenatore, scudetti (quello, mitico, del Doria), Champions (da capitano juventino, nel ‘96), coppe su coppe fino al Watford e al licenziamento inflittogli da Elton John.
I suoi muscoli, e quelli di Alessandro Del Piero, incuriosirono Zdenek Zeman e Raffaele Guariniello al punto da scatenare sospetti e processi, tra abuso di farmaci e doping, epo millantata (e poi esclusa), ombre, prescrizioni. Fino a quando, nel febbraio del 2019, la «Gazzetta dello Sport» e la famiglia Facchetti non gli consegnarono «Il bello del calcio», premio dedicato alla memoria di Giacinto. E allora? Gianluca, sorridi di noi.
Vialli. In Nazionale furono più spine che rose. Totò Schillaci gli rubò la vetrina delle notti magiche; Arrigo Sacchi, fondamentalista, ne spense il fuoco azzurro. Succede, quando l’io diventa ego. Fine dicitore, Gianluca lo è stato soltanto dopo, da opinionista tv di Sky, scrittore di libri («The italian job», con Gabriele Marcotti) e dirigente accompagnatore, erede di un certo Riva, Gigi. Non in campo. Lì era un belva. Uno scultore, non un pittore. Uno che assestava martellate davanti, non coltellate dietro. Uomo d’area e di mondo. Che non tradì il Mancio neppure per Roby Baggio.
Di lui custodisco, geloso, un frammento strano, piccolo. Era un sabato di normale vigilia. Dal Vaticano era uscito l’ennesimo catenaccio contro le partite la domenica di Pasqua, o qualcosa di simile. Mi dissero, a «La Stampa»: prova a sentire Vialli. Corsi allo stadio, i giocatori della Juventus stavano salendo sul pullman che li avrebbe portati in ritiro. Chiamai Gianluca. Si voltò, scese. Mi scusai per la domanda che gli avrei fatto, visto il momento decisamente «laico». Sorrise. Rispose. E poi via di corsa, a buttar giù il quarantello agognato.
Gianni Brera lo ribattezzò «Stradivialli», in onore di Antonio Stradivari, bardo cremonese, anche se proprio un violino, Gianluca, non era. Campione d’Europa da capo-delegazione proprio là , a Wembley, dove il sogno era diventato incubo. Il destino lo marcava stretto, come i rudi stopper con i quali faceva a botti, se non a botte. Rispettoso, rispettato, gli piaceva guadagnarsi la pagnotta. Non era un santo, non era un eroe. Era tosto, era vero, era scaltro. Non ci sono parole, se non queste di Joe Louis, il «bombardiere nero» dei pesi massimi: «Ho fatto il meglio che potevo con quello che avevo». Gli sarebbero piaciute.
Da fonti attendibili risulta che Gianluca Vialli abbia militato 4 anni nella Juventus, di cui, come capitano, ha sollevato l’ultima coppa maledetta. Secondo invece la redazione Sportiva RAI pare che abbia militato solo nella cremonese e Samp e Chelsea. Se mai ci fosse stato bisogno di un esempio di cassa è una fonte inattendibile.
Devo dire che c’è voluta la triste notizia della prematura scomparsa di Vialli per leggere finalmente l’umanità e l’essenza di Alessandro Del Piero.
Ha scritto e detto cose meravigliose.
PS: mi confermate che Gianluca ha giocato, con qualche risultato apprezzabile, anche nella Juventus vero?
Scritto da bilbao77 il 6 gennaio 2023 alle ore 20:08
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Esatto, Vialli aveva quella genetica. Se avesse fatto palestra seria sarebbe diventato il doppio. Ma vallo a spiegare a chi crede che la creatina sia doping.
https://youtu.be/gobRzTwXWsQ
Tra i mille ricordi che questo gigante mi ha lasciato, non solo e soprattutto con la nostra gloriosa maglia ma anche con quella del Doria e della Nazionale, voglio menzionare uno fuori campo.
Il commovente addio, anche a nome di tutti i compagni, alla salma del povero Andrea Fortunato. Adesso di nuovo insieme.
https://youtu.be/cFSVvVS0CwQ
Le menzogne sulla Juve e gli juventini purtroppo hanno le gambe lunghe.
Lo dico dai tempi del vecchio Guriniello: andate a rivedervi gli ultimi anni di Luca al Doria. Aveva già messo su muscoli e due spalle larghe come un giocatore di football americano.
Poi chiaro che con un preparatore come il compianto Ventrone alla Juve era probabilmente cresciuto ancora ma li avete ascoltati i giocatori del Tottenham su che tipo di carichi di lavoro “sopportavano”?
Sì però la Ferragni nella stessa frase insieme agli altri non si può leggere…
Caro Gianluca,
quando ho letto sul giornale che hai rinunciato al tuo ruolo di capo delegazione della Nazionale mi si è stretto il cuore. Conoscendo il tuo straordinario attaccamento alla Maglia Azzurra, ho capito che un simile passo da parte tua può avere un solo significato: la partita che stai giocando ti sta impegnando molto! L’avversario, quello che tu chiami “il compagno di viaggio indesiderato”, sta giocando sporco, come un difensore che affonda il tackle, non per conquistare la palla, ma per far male all’avversario. E allora io, da tuo compagno-amico, ti scrivo per farti coraggio”. “Quante ne abbiamo giocate insieme in Maglia Azzurra!” scrive Cabrini, ricordando che insieme “abbiamo vissuto i Mondiali del 1986: eravamo i campioni in carica, dopo la grande impresa dell’82, ma non riuscimmo a ripeterci, arrendendoci alla Francia negli ottavi di finale. Quell’avventura non fu particolarmente fortunata per la Nazionale, ma ci permise di ritrovarci fianco a fianco, dopo gli anni dell’infanzia cremonese: i nostri genitori erano amici e fra noi ragazzi tu eri il più piccolo, il nostro cucciolo. E CAro Gianluca, se sei diventato il campione che tutto il mondo ha ammirato lo devi anche a quelle radici, alla tua meravigliosa famiglia, ai valori che ti hanno trasmesso i tuoi genitori, tua sorella Mila e i tuoi fratelli. Ti scrivo per ricordati che non sei solo: con te, al tuo fianco, ci sono tantissimi amici, e tantissimi tuoi sostenitori. Stai giocando la tua partita in uno stadio immenso che fa il tifo solo per te. E sai benissimo, caro Luca, quale forza riescono a trasmetterti i compagni di squadra, i cori del pubblico e l’amore dei tifosi. Nella tua battaglia contro la malattia hai già dimostrato grande forza e stai dimostrando un grandissimo coraggio. Io, da amico e compagno, mi permetto di dirti: non mollare. Perché lo sport ci ha insegnato che non si molla mai e, ancor di più, perché la regola vale soprattutto per noi cremonesi. Che siamo pochi, ma buoni: pensa a Mina, a Ugo Tognazzi, ad Aristide Guarneri, a Chiara Ferragni… Se facciamo qualcosa, noi cremonesi lo facciamo ad altissimo livello, diventiamo un’eccellenza. E visto che due settimane fa alle storiche tre T di Cremona – Turòn, Torà s e… Tetà ss – ne è stata aggiunta una quarta, la T del Tugnà ss, io dico che dovremmo aggiungerne una quinta, la T di Testòòn. Perché noi cremonesi siamo dei testoni, abbiamo la testa dura e non molliamo mai”. (Antonio Cabrini)
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Lettera aperta di Cabrini, alla notizia dell ‘ultimo ricovero di Gianluca, pubblicata sul quotidiano “La Provincia di Cremona”
Il saluto che rivolgiamo a Luca Vialli, elegante combattente contro l’ implacabile nemico che lo ha abbattuto, è un abbraccio deferente e silenzioso.Il più bel ricordo è l’abbraccio col “fratello” Roberto Mancini dopo la vittoria del Campionato europeo.Quelle lacrime dicevano tutto, anche quello che è avvenuto oggi. Addio Luca, vero leone!
Mico Giordano