Con questo Napoli che vince sempre, in Italia e in Europa, e sempre prendendo di petto l’avversario, si corre il rischio di addormentarsi nell’incenso, quando, viceversa, i suoi tifosi vorrebbero, legittimamente, che, come loro, ci illuminassimo d’immenso. Due a zero a Francoforte, in Champions: ed era l’andata degli ottavi. Due a zero a Empoli, in campionato (al netto della sciocchezza di Mario Rui, primo rosso della stagione): ed era la ventiquattresima giornata. Il vantaggio oscilla tra i 18 e i 15 punti. Miglior difesa, miglior attacco e, naturalmente, il capocannoniere, Osimhen, con 19 reti.
L’effetto Schumacher – l’effetto, cioè, del grande Schumi che, su Ferrari, mollava minuti a tutti, costringendo il regista a zoomare sulle beghe di condominio alle sue spalle – rischia di banalizzare un’impresa che pochi, in estate, immaginavano. E invece proprio di impresa si tratta. Va di moda il giochino del «chi assomiglia a chi». A chi assomiglia Osimhen? E Kvara? E «Robotka»? I paragoni sono seducenti, ma pericolosi. Osimhen è un africano che alla forza del tronco e della gambe sta affiancando la tecnica e la malizia sviluppate a Lilla. Ha movimenti sgraziati, ha momenti epici. E’ un centravanti che unisce le epoche attraverso il ponte della velocità: palla lunga e pedalare (lui). Kvara è un ballerino, un’ala che la modernità ha spinto verso il centro, ma già ai tempi di George Best la linea laterale era un confine, non un confino. Lobotka-Robotka è il motore, un Jorginho più mobile e verticale, tappo e cavatappi. La pedina che vedi di meno e avverti di più.
E’ facile scrivere epinici, soprattutto in un Paese servile come l’Italia. Se però sono meritati, trovo che sia giusto. Chiudo con una domanda molto personale. Vorresti, Beck, che la squadra del tuo cuore giocasse come il Napoli di Spalletti? Risposta: sì.
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Il Venerdì
Guida per difendersi dagli imbecilli
di Marco Cicala
(Getty Images)
(Getty Images)
Cretini, stupidi, idioti: ci sono sempre stati, ma oggi sono solo più visibili, invadenti e organizzati. Nel suo libro Maxime Rovere spiega come combatterli. A partire dall’imbecille che è in noi. Intervista
24 FEBBRAIO 2023 ALLE 09:33
5 MINUTI DI LETTURA
Nell’agosto del 1944, durante la liberazione di Parigi dai nazisti, la prima jeep degli Alleati che fece ingresso nella capitale recava sulla carrozzeria una scritta concisa e battagliera: Mort aux cons (“Morte agli imbecilli”, se non “agli stronzi”). Notandola, il generale de Gaulle commentò: “Vasto programma…”. Già, perché la battaglia contro l’imbecillità è antica quanto il suo nemico. Nemico che non risparmia nessuno. Siamo sempre gli idioti di qualcun altro.
Ciò detto, sarà possibile tracciare una Storia dell’imbecillità? Se sì, chi è l’imbecille contemporaneo? Dove e come si manifesta o si nasconde? In che modo riconoscerlo? Esiste un vaccino contro? Qualche risposta ce la fornisce il libro Cosa fare con gli imbecilli (per non restare uno di loro), edito da Mondadori. Lo ha scritto Maxime Rovere, classe 1977, filosofo francese, specialista di Spinoza, Seneca, e ora anche di imbecillità. Nel saggio racconta di aver cominciato a riflettere sull’argomento grazie a un coinquilino fastidioso con il quale si trovò a dividere un appartamento tra liti continue. Speriamo che nel frattempo abbia cambiato casa, o almeno coinquilino. “Sì” dice “ma di uno di quei due imbecilli non mi sono ancora liberato: me stesso”.
Il filosofo francese Maxime Rovere (46 anni) (Photo Pascal Ito © Flammarion)
Il filosofo francese Maxime Rovere (46 anni) (Photo Pascal Ito © Flammarion)
Ecco, appunto. Il saggio non si inscrive nell’ampia letteratura dei pamphlet contro stupidità, cretineria, idiozia sociale, ma ne rovescia la prospettiva: una volta analizzata la fenomenologia del neo-imbecille (che poi è quello eterno sotto spoglie aggiornate), esamina i pericoli di una malapianta la quale tende a svilupparsi dentro di noi come una specie di alien. “Nessuno è al riparo” continua Rovere. “Non per niente io ho iniziato a interessarmi al tema nella sfera in cui ci sentiamo più protetti, al sicuro: la casa”. E non per niente i conflitti domestici o condominiali sono statisticamente tra i più violenti: una polveriera di imbecillità.
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Ma se il menefreghista o il cafone appartengono, per così dire, alla classicità del problema, s’avanza ormai tutta una nouvelle vague di imbecilli che rinverdiscono la tradizione e ci scassano di brutto i santissimi: dal complottista No Vax all’odiatore via social, dal negazionista climatico al fondamentalista gretino…
E uno si chiede: l’imbecillità sarà aumentata o saranno invece aumentate le sue occasioni di mostrarsi e di nuocere?
“Gli imbecilli non sono aumentati. Ma, con il concorso di media e social, sono diventati più visibili, rumorosi, invadenti, organizzati. Allo stesso tempo si è però abbassata la nostra soglia di tolleranza verso tutto ciò che, nell’accelerazione della vita quotidiana e nel moltiplicarsi degli scambi comunicativi, ci ostacola, intralcia, ritarda, ci importuna, o meglio: ci frustra. Da consumatori abituati a essere soddisfatti nell’attimo di un clic, sopportiamo sempre meno le persone o le situazioni, anche minime, che ci frustrano. E abbiamo l’impressione di un’imbecillità generalizzata, onnipresente, che ci assedia. È ‘un imbecille’ quello che ci taglia la strada sul monopattino elettrico, è ‘un imbecille’ quello che mentre usciamo da un vagone della metropolitana incespica bloccando il flusso… Tutti imbecilli”.
Vedere imbecilli ovunque è sintomo di imbecillità. Ma è pur vero che, da lunga pezza, il discorso pubblico non è più un modello di galateo. Non solo volano stracci ch’è una bellezza, ma su chi li fa volare piovono i like …
“Senza dubbio negli ultimi decenni abbiamo assistito a un degrado del confronto politico e della discussione in generale. Nella società dello spettacolo e dei talk il dibattito tra idee, visioni del mondo è diventato polemica continua, scontro gladiatorio tra personalità. Ma credo che sia il riflesso di un’epoca dove, nelle relazioni, prevalgono – premiati – i rapporti di forza, di potere. A danno della dialettica, della mediazione. I social, lei mi chiederà…”.
Già che siamo qui, glielo chiedo.
“…Hanno certamente contribuito, però non scarichiamo tutte le colpe sulla rete. Lo scopo di Twitter o Facebook non è di renderci tutti più imbecilli, ma di fare soldi”.
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Un fare soldi che però entra perfettamente in simbiosi con l’ansia di visibilità, il rancore, la frustrazione galoppanti…
“È una ricerca di profitto che si innesta su una tendenza più generale all’imbecillità”.
In che senso?
“Nel senso che, valorizzando le passioni negative, depoliticizza, ossia diseduca alla politica, alla collettività, e investe tutto sull’individuo”.
Un individuo che, come lei lo descrive, dietro l’aggressività è fragilissimo.
“Un soggetto iper-sensibile, iper-suscettibile, chiamiamolo immaturo, che vive e legge la realtà riportando tutto a sé, alla propria affettività, all’emotività dei propri giudizi incontrollati sugli altri”.
Nella versione italiana del suo pamphlet hanno tradotto in “imbecille” il termine francese “con”. Ma non hanno esattamente lo stesso significato.
“Per comodità, in questa nostra conversazione assumiamo le parole imbecille, cretino, stupido, idiota come sinonimi, però hanno ognuna la sua sfumatura semantica. In francese il con non è un semplice imbécile, ossia uno che difetta di intelligenza. A questo limite si aggiunge in lui la malafede, la mancanza di sforzo per mettersi in discussione. È un soggetto che si barrica in se stesso, si chiude all’altro, se non per giudicarlo”.
Nella letteratura classica si stigmatizza lo “stolto”. Nel mirino della Modernità invece c’è soprattutto l’imbecille. Da Baudelaire a Flaubert, solo per citare due nomi eminenti, la Francia dell’Ottocento nutre un’autentica ossessione nei confronti della stupidità. Perché?
“Perché sulla spinta dell’industrializzazione, il Borghese è sempre più avvertito dall’artista come un pericolo pubblico, come uno che ragiona per cliché, luoghi comuni, banalità, e così reprime ogni inventiva, creatività, bellezza. Il Borghese è la standardizzazione industriale che si è introdotta nel pensiero”.
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Da allora però l’imbecillità ha fatto progressi, si è democratizzata: è trasversale alle classi sociali e alle simpatie politiche.
“Assolutamente. La incontri nelle élite come nei ceti popolari. L’imbecillità non è proporzionale al reddito o al livello di educazione. Allo stesso modo, gli anticorpi contro l’imbecillità, e cioè l’empatia, la generosità, l’attenzione possono svilupparsi ovunque”.
Però assistiamo a un paradosso: da un lato l’insulto viene sdoganato, dall’altro, ciò che chiamiamo “politicamente corretto” inibisce ogni minimo sgarro linguistico. Un duello senza quartiere.
“Le nostre società hanno grosse difficoltà ad accordarsi su una lingua comune. La generazione di chi oggi ha meno di trent’anni è estremamente sensibile a tutto ciò che nei discorsi può escludere o ferire. Il “politicamente corretto” non è una censura di tipo fascista, ma adottato astrattamente rischia di prescindere dai contesti, dalle situazioni in cui certe parole vengono pronunciate e da chi e come le pronuncia. In questo senso può rivelarsi d’ostacolo all’espressione e al tentativo di incontrarsi in una lingua condivisa”.
Specialmente in politica.
“È comprensibile che in politica si ricorra a un discorso formalizzato, neutro: il “politichese”. Ma anche lì bisogna stare attenti, perché con un linguaggio troppo asettico e levigato si perde il contatto con l’emotività, mentre un eloquio troppo sanguigno scivola facilmente nell’insulto e nell’aggressività”.
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In questa strenua ricerca di misura, non finiamo col castrarci? Dopotutto abbandonarsi ogni tanto a un “Pezzo d’imbecille!” (ormai peraltro insulto quasi garbato) può essere liberatorio…
“È vero. Infatti io non difendo l’inibizione delle emozioni: il linguaggio diretto, spicciolo, le ‘parolacce’ possono essere trasgressivi. Come tali non andrebbero soffocati, imbavagliati, ma nemmeno banalizzati, casomai canalizzati. Fanno parte di noi, una parte di noi con la quale sarebbe illusorio pensare di raggiungere una “pace” stabile, definitiva, ma su cui dovremmo avere gli strumenti per riflettere, intervenire. Partiamo sempre dal pregiudizio che l’imbecille sia l’altro, che è lui ad aver generato il conflitto e che perciò tocca a lui prendere l’iniziativa per eventualmente ricomporlo. Mentre l’iniziativa dovrebbe partire da noi”.
Recentemente, Salman Rushdie ha definito il suo aggressore “an idiot”: perfino lui avrebbe dovuto moderare i termini?
“Al contrario. Quella di Rushdie mi sembra una risposta di grande intelligenza. Perché con quelle parole lo scrittore non si vittimizza, non esprime odio né criminalizza l’aggressore. Non lo vede come l’incarnazione del Male, ma lo riconosce come una vittima dell’idiozia. Mi pare una bella prova di sensibilità intellettuale”.
Insomma, qual è la terapia per contenere i disastri dell’imbecillità?
“Per esempio non affidarsi sempre ed esclusivamente allo Stato e alla Legge per ricomporre i conflitti. Le leggi ci proteggono, ma non totalmente: intervengono soprattutto nei casi estremi e arrivano spesso in ritardo. È certo importante che ci siano leggi a protezione delle donne maltrattate. Ciononostante, i maltrattatori continuano a esistere”.
Quindi?
“Quindi si dovrebbe lavorare sui metodi educativi. In modo che le donne non si sentano più vittime e tra gli uomini nascano forme di solidarietà contro i maschi violenti”.
Per gli intellettuali progressisti il nocciolo e la soluzione dei problemi stanno sempre nell’educazione, nella scuola. Ma, come la Legge, la scuola non è onnipotente.
“No. Però è reduce da decenni di abbandono. E sempre più specchio di una società priva di obiettivi, polarizzata, antagonistica, incapace di pensarsi come collettività, di ritrovarsi in idee che, un tempo, si sarebbero dette ‘umanistiche’”.
Maledetta società. Ma, professore, la sua meritoria insistenza su tutto quanto è tolleranza, empatia, dialogo non rischia di suonare un po’ astratta? Con chi ci taglia la strada in monopattino o ci blocca con l’auto parcheggiata in doppia fila non possiamo sederci davanti a un tè caldo per conoscerci, comprenderci meglio. Manca il tempo.
“È proprio questo il punto. L’imbecille è uno che non ha mai tempo. Ed è uno al quale non abbiamo mai abbastanza tempo da dedicare. Più abbiamo fretta e meno abbiamo tempo. Invece dovremmo cercare di trovarlo”
Lei dice che l’imbecille rappresenta un’opportunità. Per che cosa?
“L’imbecille ci sfida, ci provoca, ci stimola. Non soltanto a riconoscere l’imbecillità dentro di noi, ma anche ad attivare valori umani in cui crediamo. Chiamiamole “virtù”. Le virtù non le eserciti con i virtuosi. Non sei tollerante con i tolleranti o generoso con i generosi: lo sei con chi non lo è. In questo senso, l’imbecillità – che non esiste “in sé”, ma scaturisce dalle relazioni sociali – può essere un banco di prova per trovare ai conflitti soluzioni inventive, creative. Non solo per esercitare le virtù, ma magari pure per propagarle”.
Vaste programme…
Sul Venerdì del 24 febbraio 2023
Argomenti
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@Dino Zoff. https://twitter.com/ilvenerdi/status/1629080209227120642?s=46&t=_l3X-YAlSb5hpAUrDZTFig
Lo united arriva alla finale in piena fiducia mentre il newcastle non appare brillantissimo ultimamente ma va anche considerato che la chance di vincere finalmente un trofeo potrebbe aver distratto le
Magpies nelle ultime uscite.
Gravissima l’assenza di Pope,a mio qualificatissimo avviso(eh eh),il miglior portiere della premier league.
Gentile Alex Drastico, buon giorno. Grazie. Oggi me la vedo la finale, e come. Grazie ancora.
Un mezz’uomo chiamato SCIACALLO” è un vile che ha pisciato qui sulla tragedia di un conoscente suo, per un credito personale che MAI avrà
Ogni mattina in un eccellente spazio di elegante disamina calcistica, come sorge il sole, “un mezzuomo chiamato SCIACALLO” sa che dovrà correre e travestirsi bene o prenderà una vagonata di randellate sui denti.
Ogni mattina, come sorge il sole, uno ju29ro dovrà correre per raggiungerlo, mazzuolarlo e tirare lo sciacquone.
Ogni mattina, come sorge il sole, non è importante se ti presenti come “un mezzuomo chiamato SCIACALLO” o da pisciatombe di 3viglio: l’importante è mazzuolarti e che l’ambiente venga derattizzato!
Sullo sbaciucchiamento, nel thread precedente, tra Demy51 e il “mezz’uomo chiamato SCIACALLO” (ohibò…che schifo solo ad immaginarlo) urge una precisazione a reti unificate.
Dando ragione al Demente51, da quando mi ignora (ci ha messo 12 LUNGHI ANNI a capirlo…sempre parlando di capacità cognitive limitatissime) non ha più ricevuto nessuna “attenzione particolare” da parte mia.
Va anche detto che chi inizia ad insultare sono sempre canaglie come quelle 2.
Poi misteriosamente fanno le povere vittime e si lagnano se li prendo a sganascioni e gli faccio la bua.
Ora, quanto questa cosa di non farlo oggetto di attenzioni possa disturbare il senza-patria non saprei dire ma scommetterei sul fatto che, prima o poi la merda ritorni a viaggiare per i tubi.
Proprio come fa inCESSAntemente il “mezz’uomo chiamato SCIACALLO” che “piscia” sulle tragedie per lucrare qualche punto a suo favore, boh immagino per un piccolo set di piatti della Tognana, chissà.
Ma lo presentano il ricorso o è più divertente lottare con i bovini per il settimo posto?
Sara’ cosi’.ma comunque loro sono abbastanza contenti lo stesso,perché non vince l’inter o Milan.pezzi di merda ,liquida.
Scritto da 3 il 26 febbraio 2023 alle ore 07:49
il problema quando non vince la Juve è che vince un’altra. Inter Milan Napoli o qualunque altra squadra cambia niente. Sempre merda è. Disdettare, disdettare, disdettare.
I complimenti al napoli non li faccio perche disprezzo la sua tifoseria.
Non ho problemi a farlo a spalletti,uno che finalmente(per lui)raccoglie cio che merita.
E’sempre stato uno con idee di calcio avant garde e nel caso di totti falso nueve ha inuito prima ancora di guardiola che portiere-Dif centrale-ccampista centrale e centravanti non era il postulato che tutti credevamo fosse.