Alla lotteria della corte, per cena, era uscito il meno 10. Alla tombola di Empoli, un meno 4. Addirittura. E siamo solo al filone plusvalenze (curiosamente single, senza partner), in attesa del round stipendi (il 15 giugno). M’inchino agli esperti della materia, fermo come sono ai dubbi (di parte; e, dunque, non sempre della parte giusta) del «perché il fatto non costituisce reato» con cui, nel 2008, furono assolti, in sede penale, Inter e Milan.
Per molti, da Mourinho agli juventini, il campionato è stato falsato. Certo, con le rate di prima e il senno di poi, sarebbe stato più opportuno – forse – rinviare le penalizzazioni in blocco alla prossima stagione, ma siamo in Italia, dove la giustizia è ballerina, al di là delle (E)veline di Nyon. C’è un altro aspetto, curioso. Proprio «afflittiva», termine-bandiera dell’accusa, la sentenza non era, visto che, fra Empoli, Milan (soprattutto) e Udinese, tre vittorie avrebbero comunque garantito la Champions. «Afflittivina», ecco.
C’è poi stata la partita del Castellani. Un’agonia. Una vergogna. L’illusione che Chiné e c. avessero spronato l’orgoglio di Madama, invece di otturarne il fosforo, è durata un quarto d’ora e la traversa di Milik. Nel giro di due minuti, il rigore dello stesso polacco, su Cambiaghi, trasformato da Caputo, e la zampata di Luperto in mischia, dopo un miracolo di Szczesny, hanno rovesciato la trama, consegnandola ai fantasmi di Siviglia, al chiacchiericcio della vigilia, su Allegri e di Allegri, ai «meno» di Roma. E, naturalmente, alla garra degli avversari.
Nella ripresa, ennesima fotta di Alex Sandro (capitano, dal contratto rinnovato di fresco: però) e tris di Caputo. Quindi attacchi a casaccio, gol di Chiesa (toh), entrato con l’ombra di Di Maria, e, agli sgoccioli, tra sballi e rimpalli, il poker di Piccoli. Per come ha giocato, difficile immaginare che la squadra creda ancora nell’Allegri-bis, anche se proprio lui è stato l’unico referente nella burrasca: unico, non solo in senso tatticamente stretto. Penso al Fideo e alle sue paturnie. L’imminente anno senza coppe ha già scatenato un fuggi fuggi generale: per ora carsico, tra poco esplosivo. Servirebbero dirigenti che sanno di calcio. Come una volta, quando Andrea si accontentava di essere potente (e non onnipotente). Come nelle altre società . Con tutto il rispetto, ripartire dall’attuale tutore mi sembra un azzardo. Ammesso che sia questa la priorità , calcolando le mine vaganti fuori campo. Se da fine gennaio è stato uno «stillicidio», e qui l’allenatore ha ragione, il crollo di Haifa risale all’autunno freddo: e si rivelò regola, non eccezione.
Per concludere, due parole sull’Empoli di Corsi e Zanetti. E mi scuso, dato lo spazio, se sono solo due: ne meriterebbe molte di più. Mi hanno impressionato la corazza di Luperto, le idee di Akpa-Akpro, le folate di Cambiaghi, il fiuto di Ciccio Caputo. Salvi, ancora una volta, attraverso il gioco. Chapeau.
Se si fossero nascosti soltanto i debiti delle società professionistiche di calcio, l’Italia sarebbe alla guida del mondo civile. Purtroppo i governi italiani a hanno nascosto, pagato, occultato e via così i debiti di qualsiasi azienda, ente, GIORNALE ( i giornalisti tengono famiglia pure loro), fabbrica di interesse nazionale. Dove NAZIONALE va inteso come qualsiasi industria , grande al punto di non poter essere azzerata e cancellata , giustamente, come farebbero negli USA, dalla faccia della terra. Quindi fare a le pulci al sistema calcio significa una sola cosa: Michele Serra, sempre che sia davvero lui, ieri non aveva un cazzo da fare. Tra parentesi: il 31 dicembre di un anno che non ricordo,ma molto tempo fa, Il mitico AVVOCATO ricevette dallo Stato Italiano a fondo perduto 1500 miliardi di lire per progettare l’auto elettrica italiana, Risultato : la Panda elettrica (!) che comprarono soltanto enti statali, poste italiane e quant’altro, cioè l’Italia coi nostri soldi. Allegria!
IL CALCIO DELLE CIFRE FASULLE. ECCO I TRUCCHI DELLE SOCIETÀ
Giocatori, vivai e cessioni: nascosti 1,3 miliardi di debiti
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Milan.
L’A. C. Milan spa del Presidente del Consiglio appare macchina di straordinaria efficienza. Sportiva e societaria. Cosï suggeriscono le fortune personali del suo presidente Silvio Berlusconi. Cosï indica il patrimonio netto della società che, al 30 giugno 2003, registra 78 milioni 38 mila 836 euro. 78 milioni di euro sono molti. Vediamo ora cosa ne resta rettificandoli alla luce del rapporto della “Practice Audit”. Il Milan si “libera” nell’esercizio 2003 di una consistente voce nella colonna delle perdite attraverso una doppia operazione: la svalutazione del valore della propria “rosa” calciatori, quindi la distribuzione del suo ammortamento nell’arco dei successivi dieci anni. Glielo consente la legge “salva calcio”. L’artificio provoca un effetto rigenerante sulle casse e i conti del club.
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Svalutando la sua rosa calciatori per un valore di 242 milioni di euro, che sono e restano una perdita patrimoniale secca, e distribuendola nel tempo, il Milan ottiene infatti un beneficio lordo sul suo risultato di esercizio e sul suo patrimonio netto di 54 milioni e 305 mila euro, e conti rossi diventano neri. Non solo. Nel 2003, per la prima volta, Adriano Galliani decide di capitalizzare, come già fanno la maggior parte dei club, i costi del “vivaio”. Si tratta di sottrarre le voci che attengono al settore giovanile al normale conto economico del club per iscriverle all’attivo patrimoniale. Per dirla in altro modo, dalla voce costi quegli importi finiscono tra le voci dell’attivo. Il che significa attribuire al valore di una giovane “promessa” (che forse sarà mantenuta o forse no), come al lavoro di un addetto alle pulizie degli spogliatoi dei “pulcini” un impatto sui risultati del club identico a quello prodotto dalla prima squadra. E’ un bel risparmio: 3 milioni 659 mila euro.
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Quella sul “vivaio” è una scommessa sul futuro, come tale imponderabile. Ma nel futuro il Milan crede, come il suo Presidente. Anche quando decide di iscrivere tra gli attivi del bilancio 12 milioni e 808 mila euro di crediti verso il Fisco a titolo di “imposte anticipate”. Annota il rapporto “Practice Audit”: “L’ammontare delle imposte anticipate deve essere rivisto ogni anno, in quanto occorre verificare se continua a sussistere la ragionevole certezza di conseguire in futuro redditi imponibili fiscali e, quindi, la possibilitïà di recuperare l’intero importo dalle imposte anticipate”. Domanda: e se quegli utili non si produrranno? “Occorre monitorare, perchè nel caso di previsioni di perdite, questi 12 milioni e 808 mila euro dovrebbero essere stornati dall’attivo e portati a perdita nel conto economico”.
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Tiriamo allora una linea e leggiamo le conclusioni del rapporto: “Il patrimonio netto al 30 giugno 2003 del AC Milan, ricalcolato al netto dell’effetto prodotto dalla svalutazione dei giocatori e dalla capitalizzazione dei costi del vivaio ha un saldo negativo di 142 milioni 693 mila euro”. I 78 milioni da cui siamo partiti sono dunque solo un numero. Non esistono. Al loro posto, è un buco di 142 milioni 693 mila euro.
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Inter. Se si resta sulla piazza milanese e ci si cambia di maglia, i numeri riservano altre sorprese. L’Internazionale football club spa di Massimo Moratti dichiara al 30 giugno 2003 un patrimonio netto di 82 milioni 827 mila euro. E’ – come, con enfasi, annotano le cronache non pïù tardi del 4 marzo scorso – “il sesto club più ricco del mondo e, con un fatturato annuo di 162 milioni e 400 mila euro, ha recuperato, rispetto all’anno precedente, ben sei posizioni in classifica”.
La classifica di cui si parla è stilata annualmente dai revisori di “Deloitte e tiene conto del solo fatturato dei club e non delle loro perdite. E’ una scintillante vetrina cui analisti di mercato e stampa specializzata sembrano attribuire forte impatto, perchè quei numeri segnalano lo stato di salute delle squadre. E’ una classifica in cui trova posto non solo l’Inter, anche la Juventus (secondo club più “ricco” del mondo), il Milan (terzo), la Roma (undicesima), addirittura la Lazio (diciassettesima). Bene, cosa ne del sesto club più ricco del mondo nel rapporto “Practice Audit”? “Anche questa società – annotano i revisori – è ricorsa al cosiddetto decreto salvacalcio”. Ha dunque svalutato – come il Milan – il valore legato alle prestazioni dei suoi calciatori, abbattendolo di 319 milioni 394 mila euro e diviso questa perdita patrimoniale in dieci tranche, nei successivi dieci anni. Identiche sono allora le conclusioni. Una volta “rettificato”, e dunque caricata sul suo conto economico 2003 la perdita provocata dalla svalutazione dei suoi assets principali (i giocatori), “il patrimonio netto dell’Inter passa da un attivo di 82 milioni 827 mila euro a un passivo di 175,9 milioni di euro”.
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Ancora una volta: sono salvi i numeri, non la sostanza. Il patrimonio netto dell’Inter è stato azzerato e, al 30 giugno 2003, già caricato di perdite ulteriori per oltre 204 milioni di euro.
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Lazio. Dell’agonia della Società sportiva Lazio spa molto è stato detto. Il suo salvataggio è ormai in mano alla Provvidenza e, per stare soltanto all’esercizio di depurazione del bilancio 2003 dagli effetti del decreto salvacalcio fatto dai revisori di “Practice Audit”, conviene annotare che il suo patrimonio netto, giè al 30 giugno 2003, era di fatto più che azzerato. Un patrimonio netto già negativo per 49 milioni 627 mila euro lo diventa infatti per 241 milioni 246 mila euro.
Dunque? Dunque va segnalato come il rapporto “Practice Audit” dimostri che la Lazio, più che un solare esempio di dissennata gestione aziendale, è oggi in realtà la proiezione di dove porta l’acrobazia contabile, che è però metodo condiviso.
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Qualche esempio. La Lazio condona con il Fisco le imposte dovute fino al 30 giugno 2001. Quindi, decide di non versare più un solo euro dell’Irap dovuta sulle plusvalenze della cessione dei giocatori per il 2002 e il 2003 e apre un contenzioso. Dovrebbe comunque accantonare nel Fondo rischi gli importi per le eventuali sanzioni che il Fisco esigerà in caso di verifica. Non lo fa. La mossa le consente di non aggravare il patrimonio netto ed il risultato di esercizio al 30 giugno 2003 di, rispettivamente, 3,4 e 1,2 milioni di euro. Ancora. Come il Milan, iscrive all’attivo dei bilanci precedenti il 2003 “crediti per imposte anticipate”. E’ una scommessa sugli utili del futuro, che la Lazio non ha (e ben potrebbe non avere). Per il bilancio 2003, questo significa una “imprevista” perdita di 19 milioni e 600 mila euro. Di più sempre al 30 giugno 2003, la Lazio deve 70 milioni e 590 mila euro di Irpef. La società chiede che vengano rateizzate in dieci anni, “senza interessi e senza applicazione delle sanzioni, fatta salva la sanzione ridotta”.
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Si può obiettare: il destino della Lazio è quello di Sergio Cragnotti. Ma guardate allora cosa accade quando – estate 2003 – l’ex patron è ormai lontano e nessuno può più scommettere sulla sua Cirio. Scrivono i revisori di “Practice Audit”: “La Lazio vantava al 30 giugno crediti verso società del gruppo Cirio per complessivi 33 milioni e 500 mila euro”. Chiunque avrebbe dovuto svalutare quegli importi. La Lazio non lo fa, perchè questo le consente di non iscrivere a bilancio una perdita che in tal caso sarebbe stata di almeno 8 milioni e 900 mila euro. “Gli amministratori della società – si legge nel rapporto – ritengono che il patrimonio immobiliare di “Cirio Immobiliare Spa” sia capiente per soddisfare il creditore SS Lazio. Che “Cirio Agricola” sia in grado di soddisfare il credito netto residuo. Che verso “Cirio Finanziaria spa” e “Cirio holding spa” i crediti di SS Lazio siano compensabili con i debiti”. Questione, quest’ultima, da vedersi nel procedimento fallimentare. Dunque, tutt’altro che certa.
Solo esempi, di una societ� ancora quotata in borsa, con il silenzio benedicente della Consob.
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Roma. In borsa � anche la As Roma spa di Franco Sensi. Il suo flottante azionario (il 38,3% del pacchetto) � da un anno, ormai, un numero da giocare alla roulette. Un ottovolante buono per gli speculatori su cui salire tra una sospensione e l’altra per eccesso di ribasso o di rialzo. Per quattro mesi, dal 7 novembre 2003 al 31 marzo scorso, la società ha operato con un bilancio non certificato. Per ottenerlo sono stati necessari una ristrutturazione del debito e delle compartecipazioni dell’intera holding di Sensi, l’ingresso di Capitalia nella controllante di famiglia (Italpetroli), la sostanziale estromissione del patròn dalla governance del club, il sacrificio del suo patrimonio personale.
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Lo si può raccontare come un “salvataggio”? Non solo. E’ forse e innanzitutto un passaggio di trasparenza contabile. Perchè a ben vedere, nell’operazione di Capitalia è anche e soprattutto la conferma della severit� dei numeri di bilancio non appena liberati dall’effetto dopante dello spalmadebiti, dalle poste sospese con il Fisco. E’ un calcolo semplice. La Roma, al 30 giugno 2003, presenta a bilancio un patrimonio netto di 21 milioni 541 mila euro. Che, rettificato da “Practice Audit”, e dunque caricato dalla perdita della svalutazione del parco giocatori (133 milioni e 650 mila euro), si azzera e si trasforma in patrimonio negativo di 98 milioni 774 mila euro. Non basta. As Roma spa, sempre al 30 giugno 2003, deve al Fisco 79 milioni 55 mila euro per mancati versamenti di Irap, Irpef, Ici, Iva.
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Capitalia non può allora che fare quell’operazione di svelamento sui bilanci che, per una volta, obbliga all’esercizio di disciplina normalmente richiesto a qualsiasi imprenditore. La banca impone una ricapitalizzazione di 150 milioni di euro, l’immediata dismissione di beni immobili per 80 milioni, che Sensi deve garantire mettendo sul piatto 500 milioni di euro del suo patrimonio personale. I numeri, per una volta, tornano a raccontare la realtà .
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Juventus. Al capovolgimento dei patrimoni netti da attivi in negativi si sottrae nel rapporto “Practice Audit” la sola Juventus Football club spa. Unica società , tra le cinque esaminate, a poter dire oggi che il suo patrimonio attivo è effettivamente tale.A Torino, il decreto spalmadebiti è stato visto non come un salvagente, ma una pietra al collo del naufrago. Messa di fronte alla scelta se svalutare o meno il parco giocatori, “la società – scrivono i revisori incaricati da Repubblica – ha dichiarato di non aver proceduto alla svalutazione dei diritti pluriennali alle prestazioni dei giocatori ritenendo il normale processo di ammortamento, riferito alla durata del contratto con ogni singolo calciatore, ragionevolmente più pruden
che il pupazzetto mediaset lecchi Zang per tutta l’intervista ci sta… che non sappia l’inglese però no…
Scritto da Alex drastico il 24 maggio 2023 alle ore 22:59
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Si certo….gli hanno proprio tolto i poteri….basta con le canne di cacio affumicato