Silvio Berlusconi è stato un politico di destra che, nel calcio, ha fatto una rivoluzione di sinistra. Scrivere di sinistra farà sorridere, ma deve far meditare. «Di sinistra» nel senso di svolta estetica, di visione ricca di sostanza, e non unicamente di sostanze, di ville o di scandali. In smoking e non in jeans. Di gioco e non banalmente di giochi. Di faccia e non semplicemente di facciata. Che solo dopo la «discesa in campo», nel 1994, deragliò. Non l’ho mai votato, ma il suo Milan è stato un confine.
Mattone, televisioni, polisportive: fino a battezzare il calcio, solo il calcio. Non so dove sarebbe arrivato se fosse nato in un altro Paese, visto il conflitto di interessi che lo ha sempre accompagnato e raccontato. Ricordo che, appena rilevato il Diavolo dalle grinfie stanche e bucate di Giussy Farina, se chiamavi in sede e chiedevi del dottor Berlusconi, rispondeva lui. Era, ed è diventato, un maratoneta delle interviste. Al colpo dello starter (e della domanda) non mollava mai la parola. L’esatto contrario dell’Avvocato, di cui teneva una foto sul comodino, che, con la sua cinica stringatezza, avrebbe anticipato twitter.
Il Milan di Silvio. Quando lo presentò all’Arena, tra cavalcate delle Valchirie ed elicotteri battenti, ci demmo di gomito, ridemmo di lui, e non solo con lui. Ci sembrava, pur così Paperone e così bauscia, il comandante dell’esercito di un atollo piccolo piccolo. Prossimo a essere inghiottito dall’alta marea della presunzione, dell’arroganza, della concorrenza.
Viceversa, era l’ammiraglio della Sesta flotta. Il suo Milan. Quel Milan. Con Adriano Galliani l’antennista, la Camelot di Arcore, la parabola delle crostate. Sapeva scegliere la gente che avrebbe dovuto scegliere. Arrigo Sacchi non era nessuno. In gioventù, un terzinaccio confuso fra le ragnatele di un’altra Romagna, infinitamente più dolce e solatia. Da mister, il suo Parma si fece beffe del Milan di Nils Liedholm, il barone, il primo coach del Cavaliere. Troppo raffinato e retrò, oltre che ironico, per scatenare l’entusiasmo del «centravanti dell’Edilnord».
Era il calcio, il calcio di quel tempo, legato alla scuola italianista del Trap, il grande mondo antico cantato da Gianni Brera, uno scrigno geloso dei ricordi di Helenio Herrera e di Nereo Rocco. Sua Emittenza straparlava di mission, di spettacolo, di «giuoco» avvolgente e divertente, di vincere e convincere. Fu di parola. Il Milan di Arrigo (Sua Intensità ), il Diavolo di capitan Franco Baresi e Paolo Maldini, di Roberto Donadoni, il primo «sgarbo» inflitto a Giampiero Boniperti, l’orchestra dei tre olandesi, Ruud Gullit e Marco Van Basten subito, Frank Rijkaard l’anno dopo. Uno scudetto, uno solo, conteso e strappato al Napoli di Diego Armando, ma ben due Coppe dei Campioni, due Supercoppe d’Europa e due Coppe Intercontinentali, quando si sfidava ancora la vincente del Sud America sul neutro di Tokyo.
Il 5-0 al Real Madrid del Buitre e del suo codazzo fu saga che persino gli avversari si tramandano. Più ancora del 4-0 alla Steaua, nella finale di Barcellona. Poi Fabio Capello, quindi Carletto Ancelotti. In totale, otto scudetti e cinque Coppe dei Campioni/Champions League. Come riferimento, citava «solo» Santiago Bernabeu, l’architetto del Real moderno.
Dalla nebbia di Belgrado ai lampioni di Marsiglia. Gli piaceva l’informazione, faceva le formazioni, e prima di credersi Dio – in anticipo su coloro che tale lo avevano considerato fin dalle epifanie di Milanello – ha segnato e trasfigurato lo sport. Forza Italia e Bunga bunga, gli slogan sulla giustizia (da che pulpito), i processi e le condanne, ma quel Milan lì, e comunque quel messaggio lì. L’Europa e il Mondo si inginocchiarono, rapiti. Noi, naturalmente, ci scannammo: chi coglieva, in quella cesura, la scintilla dell’idea; e chi, viceversa, il profumo, il colore e il peso dei soldi. Esclusivamente quelli. Perché sì, come gli emiri oggi, Silvio spendeva e spandeva: solo che le figurine dei suoi album rispondevano non tanto ai capricci del caudillo, ma anche a un progetto condiviso con l’allenatore. Carica e ruolo che il Berlusca ha spesso avocato a sé.
Era il calcio dei ricchi, il suo. Come lo era il calcio degli Agnelli e dei Moratti. Li ha divisi – palazzo Chigi a parte: e non è poco – la voglia di mettersi di traverso, non solo tra i «partiti», scomparsi, ma anche fra le «partite», in perenne divenire. Potevano costruirlo tutti, quel Milan lì, voglio dire una squadra così diversa, così lontana dallo zoccolo filosofico del Paese. Così di rottura. Lo edificò lui.
Il Monza era stato la sua ultima cartolina. E’ morto il 12 giugno 2023. Aveva 86 anni.
Allegri rischia molto….e non solo sportivamente! La pazienza dei tifosi ha un limite, non vorrei che travalicasse in atti inconsulti andando oltre il lato sportivo. La colpa in questo caso sarà solo della società . Quando un allenatore non è accettato dalla tifoseria anche COME UOMO dopo le tante insensate dichiarazioni, va mandato via, costi quel che costi, altrimenti si rischia anche l’incolumità dello stesso….mi auguro non si arrivi a questo, ma …..
(Trovata sul web)
Camice e littoriani..se hai capito significa che non era difficile capire!Tieni presente che ho fatto solo la terza media nel lontano 1965!!Ma vuless capi’ a ro sta ‘o Fascism,dicitmill pe piacere(o piaciere?)Statv bbuon
https://www.gazzetta.it/Calcio/Serie-A/13-06-2023/giustizia-sportiva-processi-solo-fine-stagione-norma-ora-rinviata-4602039832354.shtml
……
Come al solito, dopo la juve si cambia
Per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e per le loro scorte, è stato dichiarato lutto nazionale?
Piero Angela, Andrea Camilleri, Ennio Morricone. Diciamo che per questi personaggi sarebbe stato cosa giusta il lutto nazionale. Ma siamo il paese della fenomenologia di Mike buongiorno in cui il mediocre ha successo perché in lui si rivede la maggioranza mentre chi eccelle meritatamente suscita invidia invece che ammirazione.
A dire il vero i mie sogni erotici sono stati altri, ma in questo campo ognuno è libero di sognare quello che gli pare. Ho scoperto che una legge impone i funerali di stato a chi è stato 3 volte presidente del consiglio. Sorvolo sulla bontà di questa legge ma così è. Il lutto nazionale invece è una porcheria. Non è nemmeno un atto di riconoscenza dei neofascisti verso chi li ha tolti dalle fogne extraparlamentari e portati a ricoprire le principali cariche dello stato, quanto un gesto per raccattare quel che rimaneva dell’elettorato forzista, da oggi in libera uscita.
nè camicie nè camici….
che poi oggi non vi siano nè camice nere e nemmeno fasci littori e che chi lo dica sia o in malafede o un idiota o un idiota in malafede, non dirlo a me….lo so benissimo….
Sinceramente Lovre stavolta, stranamente, a ‘sto giro, non ho percepito mancanze di rispetto, bensì opinioni, tranne qualche eccesso. Del resto se beck scrive un pezzo su Berlusconi che i commenti vertano su di lui è naturale che lo si commenti. Berlusconi, suo malgrado, è stato fortemente divisivo, (e di per se questo è un pregio, a mio modo di vedere) e la parte politica è stata rilevante tanto quella calcistica.
Dando per buono che camice e non camicie sia un errore del correttore…