Il portiere è sempre stato un uomo solo al comando di altri. Un po’ meno da quando le regole, limitandone i privilegi, l’hanno portato in mezzo alla squadra, custode geloso e permaloso di un territorio sotto perenne invasione. Umberto Saba lo cantò nella poesia «Goal»: «Il portiere caduto alla difesa, ultima vana». Fernando Acitelli dedicò a Gianpiero Combi «L’elogio delle ginocchiere». In porta giocava Albert Camus, negli anni «frementi» di Algeri. Lui, premio Nobel per la letteratura nel 1957. E anche Vladimir Nabokov, l’autore di «Lolita», come ha ricordato nella sua autobiografia «Parla, ricordo». E Julio Iglesias, cantante melodico da 300 milioni di dischi, fu addirittura portiere delle giovanili del Real Madrid. Uno spaventoso incidente d’auto gli cambiò la vita. E la carriera.
Lev Jascin è l’unico ad aver conquistato il Pallone d’oro, nel 1963, tempi in cui si giocava poco e la televisione era di una castità bigotta, nel senso che, del calcio, mostrava il minimo indispensabile. Negli oratori, tra i pali, ci finiva di solito il più brocco. Poi il più pazzo. Piano piano, le scuole di pensiero hanno fissato confini meno soffocanti: e persino la sobrietà dei gesti ha guadagnato il suo spazio, i suoi diritti. Segnare incendia, non far segnare spegne. Eppure anche le parate hanno accompagnato, e spesso orientato, la storia, contribuendo a ridurre le differenze dei mestieri, le lontananze tra le emozioni.
Se Dino Zoff è stato il portiere italiano (e non solo) del Novecento, Gianluigi Buffon è stato il portiere italiano (e non solo) del Duemila. Gigi ha annunciato il ritiro a 45 anni, dopo doglie interminabili e, immagino, dolorose. Chiudere è sempre più complicato di aprire: soprattutto se hai segnato un’epoca. Fra i pali, di una potenza inaudita e di una reattività folgorante. Nelle uscite, padrone o schiavo (ma più padrone che schiavo, ai suoi bei dì) a seconda dei lanzichenecchi che gli occupavano lo «scompartimento». Con i piedi, diventati obbligatori e non solo necessari, così così: anche se da ragazzo aveva annusato le mansioni del centrocampista. In questa specialità, gli è stato davanti Manuel Neuer, una sorta di «libero» aggiunto. Recuperava, Gigi, nei riflessi, nel fiuto dell’avvitamento.
Gli devo brividi salgariani fin dall’esordio in quel Parma-Milan 0-0 del 19 novembre 1995 di cui fui privilegiato testimone. Quando il «Guerino» mi chiese di mettterne in fila le parate più belle, fino all’ultimo rimasi indeciso tra la replica massiccia alla sgrullata di Zinedine Zidane nella «bella» mondiale del 2006, a Berlino, e il balzo felino sull’incornata di Pippo Inzaghi nella finale di Champions del 2003, a Manchester. Scelsi la seconda. La gittata di Zizou era poderosa, ma centrale. La sassata inzaghiana, al contrario, così fulminea, rasoterra e angolata da costringerlo a un tuffo non meno straordinario, sulla sua sinistra. Licenza poetica: «Di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno».
Il cross lo aveva pennellato, dalla fascia destra, Clarence Seedorf. La difesa juventina ne venne sorpresa e spiazzata. Non Buffon. I suoi tempi di reazione sfiorarono l’isteria del diavolo. I rigori avrebbero poi consegnato il trofeo al Milan, ma questa è un’altra storia: anche se l’unica che l’albo d’oro custodisce.
Come Zoff, fu secondo nel Pallone d’oro: Dino nel 1973, Gigi nel 2006. Votavo io, per l’Italia, l’estate del sabba tedesco: 1° Buffon, 2° Cannavaro. Naturalmente: 1° Cannavaro, 2° Buffon. Se il friulano rispecchiava l’ordine asciutto della cultura british, il marmo di Carrara (marmo per modo di dire, e comunque non sempre) richiamava gli estri «impossibili» di Ricky Albertosi.
Buffon è stato pura dinamite in campo e fuori. Tra gaffe politiche («Boia chi molla»), investimenti sbagliati, scommesse obese, slogan ambigui («Meglio due feriti che un morto»), diplomi fasulli e «bidoni della immondizia al posto del cuore» (non il suo). Dal Parma alla Juventus, nel 2001 e sino al 2018, e con Madama persino in B, attratto da un concetto di fedeltà non facile da tradurre: almeno con i nostri vocabolari. Una stagione al Paris Saint-Qatar, lontano dagli occhi e dal cuore (pure dal suo, temo), e di nuovo Juventus: gli ultimi spiccioli. Nel 2021, d’improvviso, la chiusura del cerchio e il ritorno a casa, al Parma, la Betlemme adottiva e adottata.
Gli errori «tecnici» fanno parte del mestiere: anche del suo. Ogni Achille ha il suo tallone, e l’immortalità è somma, non sottrazione. Cacciatore seriale di scudetti e di record, soggetto a periodiche depressioni che la grandezza non medica. Anzi: diffonde subdola, morso di un serpente che senti ma non vedi. Ventott’anni di carriera. Se Zoff era capitan Silenzio, Buffon è stato capitan Urlo. Campione del Mondo e d’Europa, Dino. Campione del Mondo e vice campione d’Europa, Gigi. La vita dell’uno finiva con la partita, la vita dell’altro cominciava subito dopo Per riassumerlo, non basterebbe un libro: figuriamoci i miei polpastrelli. Il dopo che comincia adesso non è più una carezza in un pugno: è un pugno contro una porta non più da difendere ma da sfondare. Lo stile è l’uomo («Le style est l’homme même») diceva un suo omonimo, Georges-Louis Leclerc conte di Buffon.
Numero uno: stop.
Senza contare che, se di crede alla ricostruzione di Dimarzio, pubblicata qualche giorno fa sul corriere della sera, i contatti tra Lukaku e la Juventus, nella persona di Manna, sono di qualche tempo fa.
E quindi Giuntoli, appena arrivato, non può certo avere il potere di fare e disfare subito ogni cosa.
Magari Giuntoli, arrivato da un mese, più o meno, in una società nuova, che non vince uno scudetto ogni 30 anni ma ogni 3 o 4, in media, si trova un allenatore, che non necessariamente è il suo ideale, ma che, volenti o nolenti, è un’istituzione della società Juventus, eletto dalla proprietà, durante la scorsa stagione, a faro della parte tecnica; Magari, dicevo , semplicemente Giuntoli asseconda una persona, l’allenatore, che in questo momento in società conta più di lui, al di là delle gerarchie e che quindi, se vuole Lukaku e vuole cedere Vlahovic, lo deve assecondare, anche se in cuor suo (almeno spero) farebbe diversamente.
Salve, Fabrizio.
Volevo chiederle un parere su Sommer, che leí conoscerá sicuramente meglio di me.
Scritto da De pasquale il 8 agosto 2023 alle ore 19:02
È un discreto portiere. Ma ha 34 anni e non ha mai veramente giocato ad alti livelli.
A parer mio, era nettamente meglio Onana. Ma non è escluso che possa fare un colpo di cosa.
Ebbene, il primo Allegri, quello degli scudetti, delle Coppa Italia e delle due finali di Champions League.godeva, presso la tifoseria, di una buona reputazione, o quanto meno nessuno gli dava dell’asino mangiastipendio.
Scritto da Alessandro il 8 agosto 2023 alle ore 18:52
Il primo Allegri visse come un parassita sulla squadra costruita da Conte. Ebbe il merito, non trascurabile ma nemmeno da considerare eccessivamente, di non toccare nulla. Quando iniziò a metterci del suo, iniziarono i problemi.
La prova è che la squadra giocava ogni anno un po’ peggio e correva un po’ meno.
Poi ovviamente vinceva, perchè la rosa era di gran lunga la migliore, ed ancora memore del triennio contiano.
Leao all’Inter? Conte minacciò di dimettersi,
é poi passò al Milan per 30 milioni,
é l’Inter acquistò Lukaku per 75 milioni.
che ora rischia di rinforzare la Juve.
4 ANNI FA
Nel mercato estivo del 2019, nel bel mezzo della trattativa con il Manchester United per Big Rom, il ds Piero Ausilio prospettò ad Antonio Conte la possibilità di portare in nerazzurro un giovane e talentuoso attaccante portoghese di 20 anni: Rafael Leao. L’ex juventino non ne volle sapere perché temeva che, prendendo lui, poi non sarebbe più arrivato Lukaku. E per questo arrivò addirittura a minacciare le dimissioni. Uno scenario che non si concretizzò, infatti Leao passò dal Lille al Milan per 30 milioni
e l’Inter acquistò Lukaku per 75 milioni.
E ADESSO?
Tornando all’attualità, il voltafaccia di Romelu ha inguaiato l’Inter, ancora alla ricerca di un suo sostituto. Scamacca è andato all’Atalanta, l’Atletico Madrid blinda Morata e l’Arsenal non abbassa le pretese per Balogun. Ancora sul mercato così come i vari Taremi (Porto), Beto (Udinese) e Zapata (Atalanta). Nessuno di loro è in grado di garantire lo stesso rendimento realizzativo di Lukaku che, oltre a indebolire l’Inter, rischia di rinforzare la Juve. Eppure Inzaghi non si lamenta mai pubblicamente:
chissà cosa farebbe Conte al suo posto…
https://www.calciomercato.com/news/leao-allinter-conte-minaccio-di-dimettersi-altro-che-inzaghi-obb
Salve, Fabrizio.
Volevo chiederle un parere su Sommer, che leí conoscerá sicuramente meglio di me.
Scritto da Andrea il 8 agosto 2023 alle ore 11:24
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Ciao Andrea, provo a seguirti nel tuo ragionamento inserendo le mie considerazioni che scrivo in MAIUSCOLO, bada bene, senza che ciò rappresenti una forma di prevaricazione intellettuale ma per chiarezza, non potendo usare colore diverso o corsivo come farei in una mail.
Prima ti risponderò prendendo per buone le tue assunzioni tipo: “non è rilevante” ecc., cercando pertanto di non stravolgere il tuo flusso causa-effetto; successivamente mettendo in discussione tali assunzioni.
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Ciao Luca,
prova a seguirmi nel ragionamento:
- Giuntoli decide di fare fiducia al “progetto tecnico” (sic!) del Ciarlatano: perché non è dato saperlo e non è rilevante; SI È NON POTREBBE ESSERE ALTRIMENTI, IL RUOLO DI GIUNTOLI PREVEDE DI METTERE IN ESECUZIONE UN “PROGETTO TECNICO” IN CONCERTO CON L’ALLENATORE E SECONDO LA STRATEGIA CONCORDATA CON LA PROPRIETÀ
- dal momento che il Ciarlatano viene investito di rinnovata e piena fiducia, ha molto senso che si assecondino anche le sue richieste, per quanto degne di un Ciarlatano qual è; SI, PURCHÉ SIANO RITENUTE COMPATIBILI CON LA STRATEGIA DI CUI SOPRA
- giunti a questo punto, si può dubitare dell’intelligenza di Giuntoli, che conferma il Ciarlatano e cerca di prendergli i catamarani che vuole lui; NO, NON SI PUÒ DUBITARE DELL’INTELLIGENZA DI GIUNTOLI: È UN MANAGER CHIAMATO A FARE IL MEGLIO CON LE RISORSE A DISPOSIZIONE, TRA LE QUALI FIGURA “IL CIARLATANO”; CERCHERÀ DI ACCONTENTARE LE RICHIESTE DEL MISTER COMPATIBILMENTE CON LE RISORSE DISPONIBILI E CON LA STRATEGIA
- tuttavia, dato che non si è a conoscenza delle reali motivazioni relative alla scelta di confermare il Ciarlatano (troppo costoso cacciarlo? il Cane crede che sia un parafulmine aziendale irrinunciabile per coprire le magagne attuali? Giuntoli si è adeguato a questo kafkiano protocollo aziendale?), per ora mi pare legittimo rimanere nel dubbio su Giuntoli; mentre riguardo al Ciarlatano, mi pare assurdo averne ancora. PARE ANCHE A ME LEGITTIMO RIMANERE NEL DUBBIO SU GIUNTOLI, SEI TU CHE AL PUNTO 3 HAI SCRITTO “SI PUÒ DUBITARE DELL’INTELLIGENZA DI GIUNTOLI” E RIBADISCO DI NO.
RIGUARDO AI DUBBI SUL “CIARLATANO”, PERCHÉ MAI DOVREBBE ESSERE ASSURDO AVERNE ANCORA: IO PER PRIMO NE HO DAL MOMENTO CHE IN UNA SOCIETÀ CONDOTTA DA SFASCISTI ARROGANTI ED INCOMPETENTI (GESTIONE ANDREA AGNELLI ULTIMI 3 ANNI + GESTIONE ELKANN ATTUALE) NESSUNO È STATO MESSO NELLA CONDIZIONI DI LAVORARE BENE, COMPRESO GIUNTOLI ADESSO. DETTO DA ME PER IL QUALE ALLEGRI È IL CONTRARIO DELL’ALLENATORE IDEALE CHE IO PERSONALMENTE IDENTIFICO IN PEP GUARDIOLA.
Scritto da Andrea il 8 agosto 2023 alle ore 11:24
Gentile Fabrizio,
Io non alludo ai messaggi del blog, dieci persone su milioni di tifosi non fanno statistica. Mi riferisco al sentimento popolare. Anche se sono un antipatizzante, di Juventus, in quanto cittadino torinese, penso di capirne abbastanza. Ebbene, il primo Allegri, quello degli scudetti, delle Coppa Italia e delle due finali di Champions League.godeva, presso la tifoseria, di una buona reputazione, o quanto meno nessuno gli dava dell’asino mangiastipendio.
https://www.gazzetta.it/redazione/livia-taglioli/
Questo articolo è la prova provata del livello tecnico di chi scrive di calcio oramai sui giornali o su certi giornali.
Paragonare il lavoro che potrebbe fare un corridore di gamba l’esta come Weah con quello che Mario e nostro, centravanti classico adattato a tornante d’appoggio con tutti i pregi e i limiti che la sua morfologia poneva, è rappresentativo del nulla cosmico in termini di conoscenza tecnica tattica che alberga nei giornalisti che lo strofinaccio rosa, tra gli altri, utilizza.
È come paragonare una moto enduro con un Toyota Land cruiser.
Il mulita alessandro – senza offesa, creda – è un pochino distratto o segue distrattamente, non è una colpa. Anzi.
Ben diversa è la patologia dei ruttatori di professione alla trippette con l’occhio costantemente fisso al buco della serratura, pinzette alla man.
autunno 2015, correggo. Post sassuolo mi pare, dopo un orrido e sciattissimo inizio di stagione, in piena sintonia col personaggio creme brule del livornese.