Altro che clamoroso al Cibali. Clamorosissimo. E proprio nella giornata mondiale dei mancini. Da oggi, Roberto Mancini non è più il ct della Nazionale. Ha rassegnato le dimissioni, spiazzando tutti. Era in carica dal 14 maggio 2018. Porta con sé il titolo europeo del 2021, la sconfitta di Palermo con la Macedonia del Nord, costata l’assenza al Mondiale qatariota del 2022, seconda consecutiva sul campo, a ruota della «Corea» svedese, quando al governo c’era Carlo Tavecchio e in panchina Gian Piero Ventura. Più due terzi posti in altrettante edizioni di Nations League. Più una striscia-record di 37 gare utili.
Alzi la mano chi. La mia, per pudore, viaggia rasoterra. Roberto venne scelto da Roberto Fabbricini, all’epoca commissario straordinario delle Federazione. Gabriele Gravina non è che se ne sia mai invaghito ma l’aria di Wembley, figuriamoci. Siamo tutti alla caccia del detonatore: lo sventramento dello staff proprio in coincidenza con la qualifica di coordinatore supremo? Le voci di un Gravina fin troppo bonucciano (pur di garantire un posto al Leonardo trombato dalla Juventus)? Una mega proposta dall’Arabia? Il saccheggio della sua Camelot sarebbe, al momento, l’ipotesi più romantica; la tentazione saudita, la più prosaica.
Roberto va per i 59, che compirà il 27 novembre. E’ stato un fuoriclasse sottovalutato e un allenatore sopravvalutato. Capace, da ct, di esprimere il meglio (e, alla frutta, l’ovvio). Ha ridato spirito e gioco a un volgo disperso. Ha riavvicinato il popolo all’azzurro. Ha avuto intuizioni coraggiose, da Nicolò Zaniolo a Mateo Retegui. Ha pagato la carenza di centravanti di peso, ruolo sequestrato dagli stranieri. E’ caduto sulle bucce di gratitudine fatali, a volte, più di certi pugnali. Si è arreso alla più elementare delle leggi: la differenza dei giocatori. Che non sarà assoluta, ma poco ci manca. Prendete i rigori: corretto rammentare gli errori «mondiali» di Jorginho contro la Svizzera, a patto di non trascurare le fotte «europee» di spagnoli e inglesi. Non meno pesanti, non meno determinanti.
I numeri parlano di 106 convocati; 57 debuttanti, da Matteo Politano ad Alessandro Buongiorno; 61 partite, delle quali 37 vinte, 15 pareggiate e 9 perse; 123 gol fatti; 45 subiti. Capocannoniere, con 9 reti, Ciro Immobile. In tempi non sospetti – cioè: né ieri né ieri l’altro; molto, molto prima – promulgai una sorta di personalissimo «lodo»: il ct che vince un Mondiale o un Europeo, o si dimette o va rimosso. Enzo Bearzot scese mestamente dalle luminarie del Bernabeu per sparire fra le candele messicane; richiamato d’urgenza, Marcello Lippi finì «ultimo» in Sud Africa. Ferruccio Valcareggi abbinò la doppietta di campione d’Europa e vice campione del Mondo (con tanto di «partido del siglo» contro i tedeschi) all’azzurro tenebra di Giovanni Arpino (1974). Il Mancio è rotolato mestamente verso un crepuscolo che tale Aleksandar Trajkovski scolpì la sera del 24 marzo 2022 a Palermo. Da quella notte siamo tornati a dividerci: resteranno, per sempre, i leoni di Londra; no, non si parlerà che delle pecore del Barbera. E del loro pastore. E’ facile essere italiani: su e giù, giù e su.
L’abbraccio tra Gianluca e Roberto era scivolato nell’album di famiglia, memento e momento di un’amicizia che ha alimentato una storia e non segnato semplicemente la cronaca. Punto e a capo. Già a settembre si torna in campo per l’Europeo e, dunque, urge un erede. In pole ci sono Antonio Conte e Luciano Spalletti; poi Daniele De Rossi e Fabio Cannavaro. Il martello salentino sarebbe l’ennesimo «ritornista»; l’abate di Certaldo, un pugno sul tavolo. Caratteri fumantini, il vento in faccia e la tempesta nel cuore. Dipendesse dal sottoscritto, il Boccaccio di Posillipo.
Tutto il resto, Mancio.
Off topic.
Cosa dite di Neymar in Arabia Saudita (forse)?
Trentuno anni e sparire della circolazione (Saudi Pro League = Lega Pro italiana) per il piacere di guadagnare 80 milioni all’anno anziché 40.
Mia opinione populista. Se uno va a giocare in Arabia Saudita lo fa esclusivamente per il vil denaro. Soldi, soldi, soldi. E basta. Un giocatore nel pieno delle forze che, oltre allo stipendio, al conto in banca e agli investimenti, tiene anche all’aspetto sportivo e competitivo non va a giocare in quel paesi dove il calcio non sanno nemmeno dove sta di casa. Spero che sia ancora in tempo per rifiutare.
Importa veramente a qualcuno del futuro tecnico della nazionale?
ho scoperto da pochi istanti che il nome del direttore di quello che una volta era un giornale sportivo (aka la merda rosa) , si chiama stefano barigelli .
oggi contanto direttore ha scritto un editoriale (sulla versione online) che potremmo sintentizzare in : Mancini is the new lukaku… un attacco frontale e volgare, chiaramente comminato da qualcuno ( immagino gravina..)
C’è chi spera in Allegri in nazionale,
E poi c’è chi mente.
Perché, pur di suscitare interesse e smuovere emozioni partigiane, far ricorso ai nomi degli allenatori che vanno per la maggiore? Per la nazionale, almeno così la penso io, ci vuole un selezionatore che sappia creare un “clima”.
Spalletti o Conte spero siano disponibili per la Juve quando finalmente lo stramaledetto minestraro verrà defenestrato. La nazionale sarebbe l’habitat giusto per un individuo del genere, ma purtroppo il contratto che gli ha fatto AA non consente (ancora) di sperarlo.
Spero comunque che i bravi tecnici non vadano a spegnersi nella FIGCalciopoli, hanno di meglio da fare. Per quella, basta un Grosso qualunque.
Bravo Sinner!
N. 6 del mondo!
Gentile DinoZoff, lei propone un tecnico federale: ma federale chi?
Scritto da Roberto Beccantini il 13 agosto 2023 alle ore 21:56
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Buongiorno gentile Beccantini.
Alberto Bollini o Claudio Gentile.
Spalletti è uomo che deve avere il contatto con il campo quotidianamente, maniaco e certosino del lavoro.
Creerebbe, inoltre, dei clan, in nazionale è facile.
E bravo Jannik!
Contro chiunque, le partite si devono vincere…
Hanno giocato a ciapanó, ha “vinto” De Minaur!