L’ultima volta a Empoli, il 22 maggio, era stata la sera del meno 10 e del meno 4 (a uno). Cos’è cambiato? Il risultato: zero a due. Non è poco, direte. E’ tutto. Zero gol, zero punti e ultima in classifica, la squadra di Zanetti. La partita lo ha spiegato con dovizia di dettagli, a cominciare dal senza voto a Perin (non un tiro nello specchio).
Sarò breve, non già per rigare i meriti dei vincitori, ma perché non sono queste le partite che orientano i destini dei Grandi. Anche se, una stagione fa, Madama si faceva spesso fregare proprio in provincia, o proprio dalle provinciali. Quattro cambi rispetto al tribolato pari con il Bologna (fra i quali Kostic, dignitoso); il solito 3-5-2 d’ordinanza, la solita gestione fra morsi di pressing, ritirate più o meno strategiche e folate che giustificherebbero piedi più saggi. Allegri non «sente» il 4-3-3, e allora non ci resta che Magnanelli. Scherzo.
Trama a senso unico. Gol di Danilo in mischia, rigorino di Maleh su Gatti (ma allora pure Max manda all’attacco i difensori?), parato da Berisha a Vlahovic, poi prigioniero dell’errore; una mezza occasione di McKennie; due, clamorose, ciccate da Chiesa (la prima murata), sino al raddoppio dello stesso Chiesa, in flagrante contropiede, su assist di Milik, e dopo stoica resistenza ai rostri del portiere. Uno dei panchinari, Milik: come Kean. Una traversa il polacco, un palo Mosé. E Pogba? Prima della immancabile «fitta dietro», un bel gol cancellato dal fuorigioco di Vlahovic. La cui intesa con Fede rimane un laboratorio «aperto». Sono due solisti ai quali si chiede di dividere un mitra. E comunque: due pere l’uno, due l’altro. Certo, non è che le munizioni siano sempre al bacio: quando un attaccante si smarca, la paura o la foga frena il lancio. Che è patrimonio di pochi, non matrimonio per molti.
** Inter-Fiorentina 4-0. D’accordo, la Viola aveva speso fior di energie, giovedì, per rimontare il Rapid e accedere ai gironi di Conference. Ciò doverosamente premesso, non c’è mai stata partita – partita vera, intendo – neppure nei momenti in cui lo sembrava. Thuram (non più periferia), Lautaro, Calha di penalty, ancora il Toro. Miglior attacco (con i cugini, e Martinez capocannoniere), miglior difesa (l’unica imbattuta). L’impressione è che la finale di Champions abbia moltiplicato il coraggio, la maturità. Comanda Milano: Inter e Milan a punteggio pieno. Alla ripresa, dopo le Nazionali, il derby. Fuoco alle polveri.
Postilla. Il 3 settembre 1989 ci lasciava Gaetano Scirea. Sono passati 34 anni. Quanto ci manca.
Ma non erano “unsopppronti”? Tredici nazionali? Tutti pistolette?
Diabolici questi citti.
scusate se mi intrometto tra tennis e insulti assortiti per parlare di calcio, noto che abbiamo ben 13 richiamati in Nazionali varie, qualcuno si rompe di sicuro
Ovviamente Jannik Sinner lo vedo in primissima fila tra i “competitor” di Carlitos nei prossimi anni
Scritto da Alex drastico il 5 settembre 2023 alle ore 13:48
Tutto vero quello che dici sulla dinamica del servizio e sulle “condizioni al contorno” che influenzano l’esecuzione di questo, fondamentale soprattutto sui campi veloci, colpo del tennis…nel caso di Jannik ci deve essere, in più, una qualche componente psicologica…non si spiegherebbe altrimenti perché nel match di stanotte Sinner abbia servito pessimamente per i primi 3 set, quando era ancora in più o meno piena efficienza fisica, ed abbia invece servito più che accettabilmente nel quarto e quinto set quando era più o meno incrampato…addirittura nel quarto set un paio di giochi dopo l’intervento del fisioterapista, ancora in forte difficoltà negli spostamenti ( poi è andata un po’ meglio sotto questo punto di vista ) ha vinto un servizio a zero con due aces , una prima vincente, ed uno smash per nulla semplice con Jannik poco entro la riga di fondo del suo campo!! E nel servizio così come nello smash bisogna “caricare” sulle gambe , oltre che avere scioltezza e fluidità nell’esecuzione del colpo!! Sulla distribuzione più “democratica” degli Slam da qui agli anni a venire sono d’accordo su tutti quelli che non vincerà’ Carlitos…battute a parte è chiaro che lo spagnolo non potrà certo vincerli tutti anche se, oggi come oggi, ha più probabilità di fare il Grande Slam il prossimo anno di quante ne abbia Nole…per l’immediato futuro , a parte i “soliti noti” tra i 24 e i 27 anni da te citati, ci sarà da capire chi della Next Gen potrà concretamente insidiare, di tanto in tanto, Carlitos…Rune si è inabissato negli ultimi tempi, ma rimane molto difficile pensare che sia stata solo una “meteora” , non credo proprio…c’è poi Ben Shelton , un diamante ancora piuttosto grezzo , ma dalle potenzialità ancora inesplorate, secondo me diventa comunque entro il 2024, 2025 al massimo l’americano con classifica più alta…in quanto a Lorenzo Musetti sono ormai sfiduciato, ogni volta come sembra aver intrapreso la giusta direzione ha poi dei “down” clamorosi che ne vanificano le sue ambiziose ( a parole…) prospettive…come ci siamo già detto Lorenzo deve decidere una volta per tutte se vuole lasciare la sua “comfort zone” ( papà Tartarini, la trepidante fidanzata sempre al seguito, un’assuefazione ad una classifica ATP che lo vede oscillare tra la posizione numero 15 e quella numero 25-30 con entrate economiche comunque di tutto rispetto ) oppure fare scelte “coraggiose” a partire da un nuovo coach di livello internazionale, di un team dove comunque ci sia qualcuno che lo fortifichi dal punto di vista mentale e darsi obiettivi “sfidanti” da perseguire però non con le parole, ma con i fatti ed il duro allenamento…Lorenzo ha in fondo solo 21 anni, il tempo ci sarebbe per dare una vera svolta alla sua carriera, ma il tempo finora lo sta sprecando malamente pur essendo stato dotato dal Padreterno di un gran fisico e di un gran talento tennistico…si, insomma, per lui e Jannik potrebbe essere riesumato il famoso proverbio relativo al possesso del pane e dei denti
Sì è la storia di un verme che per farsi accettare specula su qualsiasi cosa, anche le tragedie e le morti.
Libro di infimo livello nel il quale il personaggio centrale è troppo pezzo di merda per non essere vero.
Io ultimamente ho letto : ” due Nick ed un culo solo…”
Beck edizioni, con la prefazione di San Frocenzio.
Di fronte allo scempio di Manila,ripropongo questa bellissima pagina del mitico Civolani,spero aiuti a consolarvi.
La betulla
di Gianfranco Civolani – da “I Cavalieri della Vu Nera. I 125 anni della SEF Virtus attraverso i suoi campioni” – Ed. Tempi Stretti, 1996
Rubo l’immagine a un collega, una betulla malata. Il mormone ha già trent’anni, gioca da una vita e adesso è anche vescovo mormone da quando officiava i suoi riti in campo, là sul gran lago Salato. Kresimir Cosic detto Creso. Arriva a Bologna tutto curvo e ramingo, arriva per pilotare la V nera laddove l’anno prima non c’erano riusciti nè Terry Driscoll e nemmeno quel bizzarro puledro che era John Roche. Ma il vescovo non ha voglia di allenarsi e di soffrire, inventa sempre una scusa di troppo per disertare la palestra e le sue prime esibizioni sono roba un po’ troppo virtuale, quel che potrebbe essere e purtroppo non è. Però che fosforo, che classe purissima, che universalità, ecco. Pivot? Ma no, di tutto un gran bel po’. Orchestra, detta il verbo, ispira e finalizza. In panca c’è un debuttante di lusso, quel Terry Driscoll . E l’altro straniero è un buon cristianone – tale Owen Wells – funzionale al cosiddetto disegno di squadra. Driscoll si muove sulla stessa lunghezza d’onda di Creso, la lunghezza d’onda dell’intelligenza vivida e viva. Creso è sempre così acciaccato e indolente, in apparenza accusa gravemente il peso degli anni e duemila malanni alla schiena. Sotto il gomitone, sussurrano i compagnucci che vorrebbero venerare il venerando e che però si scocciano a vedere che fra loro ce n’è uno solo che durante la settimana fa delle flanelle giganti. Ma occhio al prodotto. La betulla malata ti porta due scudetti in serie, la zonona (3-2) montata da Driscoll paga puntualmente e così Driscoll e Creso fanno tombola entrambi, due su due e mai più una roba così. Fuori dal campo non sai dire se Creso sia più godibile e accattivante ancora. Un genio, ma sì. Ti basta stargli un attimo accanto e capisci di basket più di quanto ne sapessi un po’ prima. E hanno un bel da prenderlo in mezzo i compagnucci simpaticamente malevoli, lo prendono in mezzo perchè si narra che ai mormoni quella cosa lì non piaccia per niente e così gli dicono in coro: Cioso, ma tu non ciosi mai? E lui, serafico: “Ce l’avete sorella o fidanzata? Portate a me, portate”. Se ne va onusto di allori e trofei e lascia in tutti noi il rimpianto di non poter più godere la sua arte inimitabile. Ma Creso è proprio una betulla che non si rizza più, la schiena è a pezzi, la voglia di soffrire zero e la voglia di giocare idem. E allora leggiamo ogni tanto che Creso fa l’allenatore qua e là e che svezza i giovani talenti come pochi e un giorno Porellone ha la pensata di far tornare proprio qui il vescovo per officiare ancora un qualche rito, ma questa volta posando i magri glutei sulla panca. Chiaramente noi della stampa lo accostiamo in modo più diverso e variegato rispetto a quando evoluiva sul parquet. La Virtus da lui diretta va e non va e qualche robustissima paga nel derby accorcia qui la sua vita da coach. Io un giorno lo invito a una trasmissione radiofonica e resto colpito dal suo sapere. E a tutto porto con grande semplicità di accenti e poi finiamo a parlare dell’esistenza e di certi valori inestimabili e su quel piano non mi convince solamente perchè lui crede e io no, ma l’uomo è sicuramente molto affascinante e il coach è anche tanto sfigato perchè la Virtus che gli affidano non è di primissima qualità e i risultati sono – come dire – conformi. Oggi il ricordo di quel che ci diede Creso resta indelebile. Chi il miglior straniero Virtus di sempre? Ce lo domandiamo, me lo domandano. Cosic o Mc Millian o Danilovic, continuo a rispondere, e penso a quella betulla che puntava sempre verso il cielo e anche verso la nuda terra. Due anni fa andai a Charlotte, in North Carolina. Creso era diventato vice-ambasciatore di Croazia a Washington. Si era messo in politica, gli piaceva tanto far qualcosa per il suo popolo. Lo vidi un giorno a l supermercato, girava portandosi tutta la sua figliolanza. Una ragazza gli chiese di mettersi in posa per una foto, una ragazza bolognese che tifava e tifa Virtus. Grazie a te che mi fai quest’onore disse Creso spianando anche a me vecchio amico il suo sorriso solare. Mi sembrò un uomo molto felice e ci restai di gesso qualche tempo dopo quanto mi raccontarono che quell’anima lunga era stata assalita da un terribile male che non dava speranze. Ma io lotto duramente, confidò Creso da là e dal suo letto di dolore. Poi l’inevitabile fine, la betulla che aveva toccato il cielo si era inabissata così. E chi oggi è stato al cimitero di Zagabria mi dice che là è sepolto il grandissimo Drazen Petrovic e che nei paraggi c’è anche la tomba – che ha sempre fiori freschi – dell’incommensurabile Creso. O natura o natura, perchè non rendi poi quel che prometti allor? cantava il poeta.
Di Sepùlveda se non ricordo male.
Avente mai letto la novella “Il demente ed il suo i-phone”.
Ve la consiglio.
La peggior cosa non è cl’indubbio fatto che sia un demente, il balcanico. Ho profondo rispetto per i portatori di disabilità ma certsmente non quando la stessa è solamente il contorno di una FECCIA (ecco ora sì attinente) subumana.
Non è un’attenuante che il patrimonio balcanico sia un destronzo.