Dalle vette torinesi del Grande Peccatore alla montagnola dell’Olimpico. La nona della classifica Fifa ha sconfitto per 5-2 la 66a. In alto i cuori (ma non ancora i calici) e aggettivi ben piantati a terra. La Macedonia del Nord era diventata, nella pancia del popolo, una sorta di strega. Onorando il pronostico (e il gioco), l’Italia di Spalletti l’ha spazzata via. Finalmente!
Non c’è paragone tra i fatturati e le rose, ma a Palermo perdemmo e a Skopje pareggiammo. Il calcio è bello proprio per questo. Mescola, a volte, i Davide e i Golia. Non sempre. Non stasera. Blocchetto interista (4 titolari) e bel primo tempo: cross di Raspadori e testa di Darmian, il soldatino che ogni caserma sogna. Improvvisamente, Chiesa. L’hombre del partido. Benché «attenzionato» dall’appuntato Dimoski, due gol. Addirittura. Di destro, su tacco di Barella, da posizione centrale; ancora di destro, a giro, complice una scarpa di Manev, su invito verticale di Berardi. Domicilio sulla fascia, ufficio in area o nei pareggi. Libero d’attacco, come chez Madame, al di là dello schema (3-5-2, 4-3-3).
Con Chiesa, gli assist di Barella. Sull’1-0, per la cronaca e per la storia, Gatti si era procurato un rigore (mani-comio di Serafimov) e Jorginho se l’era fatto parare, con saltello, da Dimitrievski. Jorginho: colui che ne sbagliò due con la Svizzera. Era proprio il caso? Con la mira di poi, no. Ma pure chi scrive gli avrebbe lasciato, beccalossianamente, il dischetto.
Nella ripresa, tra cambi e ri-cambi, tale Atanasov ha approfittato dei nostri pisoli e di un fianco di Acerbi per buttarci giù dal letto. Sul 3-2, sono volate lenzuola che sembravano fantasmi. Ma Raspadori (da Barella) ed El Shaarawy (da Dimarco) le hanno subito scacciate. E quante occasioni, a corredo.
Lunedì sera, sul neutro di Leverkusen, sotto con l’Ucraina. Ultima tappa verso l’Europeo tedesco. Basta un pari. Occhio alla «calcolite» acuta. Spesso ci frega.
Gentile Robertson, buon giorno e scusi per il ritardo. Grazie per l’approfondimento di cui mi ha degnato. E la ringrazio anche per «cartesiano», che naturalmente fa aggio su «poco». Ci mancherebbe. Non dimentichi mai che stiamo parlando di calcio, uno sport che è metà arte e metà riffa, dai confini indefinibili, in cui si possono vincere 6 scudetti, 3 Supercoppe di Lega, 4 Coppe Italia e disputare 2 finali di Chamions, perdendole contro una squadra di fenomeni e contro una squadra con un fenomeno, «senza allenatore».
Veniamo al busillis. Federico Chiesa contro la Macedonia del Nord. Le faccio grazia, gentile Robertson, di certi titoli e di certe articolesse dopo Juventus-Lazio 3-1 (doppietta di Vlahovic, acuto di Federico) sparati dagli stessi giornali che oggi celebrano l’evasione del giovanotto, tramite il lenzuolo di Spalletti, dalla prigione di Allegri. Siamo in Italia, non a caso ogni tanto anche lei si rifugia in questa Clinica dove molti Pazienti hanno scelto la terapia del Pensiero Unico (uhm). Come non coconrdavo con lei sulla posizione «allegriana» (mi permette?) che lei assunse sui primi 40 minuti di Milan-Juventus 0-1 (per me, dominio del Diavolo; per lei no) così concordo con il fatto che lei concorda con me (e con Platini, ça va sans dire).
Il modulo non c’entra un tasso. Anzi: per paradosso, nel 3-5-2, giocando da seconda punta o libero d’attacco, Chiesa assumerebbe un valore e una geografia ancora più offensive che non nel 4-3-3 della Nazionale. Il problema principale è l’atteggiamento: dominante in Spalletti, traccheggiante nell’Allegri-bis.
Il papà di Federico, pure lui cominciò all’ala e poi diventò seconda punta: con successo, direi. E’ lo stesso esperimento che metà Allegri porta avanti con il 3-5-2 (mentre l’altra metà spinge indietro con il 5-3-2) e Spalleti a cavallo del 4-3-3. L’idea che coviamo è di trasformare Chiesa nel nuovo Salah. Magari. Certo, dipende anche dal giocatore stesso. Che affronta l’Inter due volte a stagione, non ogni domenica. E questo, al di là di uno stato-allenatore imbelle o miope o vigliacco, per usare un termine che tra i passamontagna della Clinica va di moda. Aperta parentesi: l’idea di un Chiesa «anche» orizzontale non mi dispiace, non mi secca; un’arma alternativa agli scatti nello spazio che comporta il ruolo di ala pura.
La cosa buffa che ho letto fin dall’estate di un tridente riconducibile, chez Madama, a Berardi, Vlahovic, Chiesa. Siamo sicuri che proprio questa fosse l’idea di Giuntoli? Mah.
Ricapitolando: Chiesa in Nazionale è libero d’attacco come nella Juventus (anche se più sinistra-centro che non centro-sinistra-destra). Diverso è il supporto che la Nazionale gli dà rispetto alla Juventus.
Gentile Roberstson, le giro un’analisi su Chiesa scritta, per un altro nosocomio, il 5 ottobre 2021.
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Papà Enrico sì che era una punta. Federico nasce ala, studia da terzino, perché il calcio totale e la sua evoluzione mistica hanno bisogno di secchioni, ed è pronto a balzare sulla cattedra dell’attacco. Non più solo fascia, dunque, ma la tortura dell’area, là dove l’unità di misura diventa l’attimo. Il gol al Chelsea ha gonfiato i nostri aggettivi, il nostro incenso. Calma. Il bottino più sostanzioso, in campionato, risale alla Fiorentina 2019-2020: 10 gol. Nella Juventus, brilla la rete che decise la finale di Coppa Italia, con l’Atalanta. Porto a parte. In Nazionale, viceversa, è fermo a quattro squilli in 34 gettoni. Due dei quali ad Austria e Spagna ai recenti Europei. Senza dimenticare che, contro Turchia, Svizzera e la stessa Austria, aveva cominciato in panchina, riserva di Domenico Berardi o Lorenzo Insigne. Dunque, lo dosava anche Roberto Mancini.
Se per Pep Guardiola il centravanti resta lo spazio, per Federico Chiesa, 24 anni il prossimo 25 ottobre, è la linea laterale a delimitare casa e ufficio. E’ o era? C’è poi il confine del risultato, una dogana che ci rende belve. Gran gol, il suo gol allo Stadium, mercoledì scorso, ma se Romelu Lukaku o Kai Havertz avessero pareggiato agli sgoccioli, come avrebbero potuto, non so mica se avremmo resistito a fucilare Massimiliano Allegri per abuso di catenaccio. I «pro» hanno brindato alle lezioni di Niccolò Machiavelli; gli «anti» si sono rifugiati nello spirito. Che, esplorando il gergo liturgico dei devoti al «giuoco», sta per botta di sedere.
A essere sinceri, non è che, quando affronta il Manchester City, Thomas Tuchel rinneghi tatticamente il «feticista» di Livorno. A maggio, nell’epilogo di Champions, il suo Chelsea rinculò e colpì di rimessa. Piano replicato nell’ultima sfida di Premier, persa 1-0. Il galateo giustifica il «pullman» con i più forti, non con tutti: conte Max e marchese Lele Adani, a voi.
Hombre vertical. Le volate di Chiesa ricordano il galoppo di Zibì Boniek. La storia ci offre non pochi, e non lievi, casi di ali migrate al centro e convertite in fior di cannonieri. Su tutti Cristiano Ronaldo, esterno all’alba dello Sporting. Quindi Thierry Henry, che la Juventus di Carlo Ancelotti parcheggiò in corsia. E in chiave domestica, niente meno che Paolino Rossi. Tornante, addirittura, per via del fisico mingherlino. E di botto, nel «Real» Vicenza di Gibì Fabbri, sfogo unico. Da un eccesso all’altro. Meravigliosamente.
Sulle colonne del «Corriere dello Sport-Stadio» di venerdì, in un’intervista concessa ad Andrea Santoni, Renzo Ulivieri citava Dries Mertens. Una punta laterale che, nel vuoto lasciato da Gonzalo Higuain ai tempi dei moti napoletani, Maurizio Sarri trasformò in bomber seriale. Chiesa è un «libero» d’attacco, nel senso che può occupare e difendere il territorio in ampiezza e in profondità . Sotto porta, non è ancora papà ma non più un clandestino. Fra Mancini e Allegri, cultori di filosofie opposte, cresce confuso ed eclettico. Scatto matto. Il suo destino non siamo noi: è lui.
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Grazie del’attenzione, gentile Robertson.
Uneppronto. Un sa fare la fase difensiva. Poi adesso torna Alexsandro e un ci serve più un altro terzinooo
Tranquillo Giovanni, tra pico giocherà titolare: in un’altra squadra
Naturalmente parlo delle nazionali maggiori a proposito di Yildiz, non della Under 21
Facendo zapping incrocio per puro caso il momento in cui Sky Sport mostra il magnifico goal con il quale Kenan Yildiz porta in vantaggio 1-0 la Turchia nella partita poi vinta 3-2 dalla stessa Turchia in amichevole fuori casa sulla Germania…quanto dovremo aspettare per vedergli fare ALMENO un tempo da noi ?!
Eh si,proprio vero che non esistono più le mezze stagioni….
D’altro canto, se Sinner avesse voluto evitare Djokovic in finale, gli bastava perdere contro Rune, invece lo ha battuto, accettando il rischio e la sfida.
Mmm pare che nole abbia superato anche l’influenza che pare lo avesse un debilitato nei giorni scorsi.
Se domani alza ulteriormente il livello come solitamente fa nelle finali che contano….ahia.
La miglior finale possibile per gli spettatori, non so cosa ne pensa Sinner. Insomma, si tratterebbe di battere Djokovic due volte nel giro di 5 giorni…
Brutte notizie per Jannik Sinner…un Nole Djokovic manco lontano parente di quello così titubante visto contro Hurkacz demolisce e spazza via 6-3 6-2 un Carlitos Alcaraz che non era certo al meglio, ma che nelle occasioni in cui sembrava aver ritrovato molto dei suoi momenti migliori è stato letteralmente annichilito da un Nole mostruoso…