Con l’Atletico è sempre così. Un braccio di ferro nella giungla. Anche se adesso palleggia un po’ di più, come ha dimostrato nel primo tempo. Era l’andata degli ottavi di Champions, l’Inter andrà a Madrid con lo scudo del gol di Arnautovic. Entrato al posto di Thuram, infortunato, se n’era già mangiati un paio. E non che Lautaro fosse stato da meno. La miccia dell’episodio l’aveva accesa, a metà campo, una gaffe di Reinildo; con il capitano stranamente amletico a tu per tu con il portiere.
Uno a zero, dunque: lo stesso risultato che bastò con il Porto, la scorsa stagione. Per metà partita, pressing contro pressing, attesa contro attesa, brividi rari (e pure qui, quasi sempre sugli errori in uscita dei materassai). Alla distanza, più Inter che Atletico, più Inzaghi che Simeone: come occasioni, come pressione. Sino all’ingresso di Morata (54’), il Cholo aveva giocato senza centravanti. Dal suo ingresso, un’opportunità di Lino e una di Llorente, ma pure gli spazi per le transizioni degli avversari. Perché sì, a un certo punto l’Atletico era «tornato» vecchio.
Per una volta, dal «tridente» del centrocampo sono scesi Çalhanoglu e Mkhitaryan, mentre ha tenuto botta Barella. Sul fronte ispanico, Lino (suo lo «sparo» più pericoloso) e Witsel, tenutario del bunker, i più concreti. Nell’Inter, bene i cambi – da Dumfries a Carlos Augusto – benone De Vrij e la tenuta difensiva: Sommer, zero parate. Non che Oblak ne abbia compiute di più, ma è stata la mira – nel suo caso – a proteggerlo. San Siro è San Siro, così come il Wanda sarà il Wanda, ma l’Inter sa soffrire; e, soprattutto, colpire.
I tocchi di Griezmann non hanno aperto sentieri; e sulle palle perse, meglio il filtro della capolista che non il tiki-taka dei rivali. Nel 2024, solo vittorie: già nove, tra campionato e coppe. «Molto» sotto controllo, a naso.
e poi dicono che……………ammappeli!
Primi in Italia, secondi a Ronaldo: se questo è essere provinciali…
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Ho letto l’interessante pezzo post Cardiff di Gianluigi Paragone, fratello di fede bianconera. Lo suddividerei in tre parti: i «gufi», il destino, il presunto potere italiano.
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Sulla prima parte sono perfettamente d’accordo: chi da noi non vince mai ha tutti i diritti di celebrare l’unica soddisfazione stagionale. Magari con un po’ di pudore in più di quanto si sia visto in questi giorni, soprattutto se la propria squadra non conquista lo scudetto da 6/7/16/27/41/48 anni (rispettivamente Milan/Inter/Roma/Napoli/ Torino/Fiorentina), ma «viva» le sane gufate.
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Anche la seconda ha un suo fondamento innegabile: forse pensavamo davvero che ci spettasse di diritto, che il destino stavolta dovesse premiarci. Il problema, temo non risolvibile, è che il calcio se ne frega del destino: come in Italia premia costantemente chi ha Buffon-Alves-Bonucci-Dybala-Higuain piuttosto che chi schiera Hysaj-FazioNagatomo-Zapata e compagnia, in Europa, molto spesso, fa vincere chi ha Ronaldo in squadra, pure se gli altri hanno perso mille finali di fila.
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I nostri pensieri, tuttavia, si dividono completamente sulla terza parte, che peraltro comincia con una citazione del triplete (in maiuscolo!), quando notoriamente non è nulla, se non una mera invenzione da sbandierare nei decenni senza vittorie interiste. Basti pensare che il Real non lo ha mai realizzato: provate a mandare un tifoso interista, arrivato in finale di Champions una volta negli ultimi 45 anni, a sfottere uno del Real perché non ha mai fatto il triplete. Nel caso, vi prego di riprendere la scena. Ma non è questo il punto.
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Paragone parla di Juve «arrogantemente sabauda», «provincialmente vincente», di una squadra «costruita nel potere e dal potere», chiedendo infine di rendere «trasparenti i nostri scudetti». Sposa in qualche modo un pensiero di tanti nostri rivali: siete forti in Italia (per i più disparati motivi: la Fiat, gli arbitri, le riprese tv, appunto il generico «potere»), fuori no. Al netto del conteggio degli scudetti (ricordiamo tutti Del Piero che rovescia per Trezeguet a San Siro, con arbitro Collina e Ibra squalificato per prova tv nonostante quella vorace «Cupola»?), viene da chiedersi come si sposi, questa tesi, con l’essere stata la prima squadra di tutta Europa ad aver vinto tutti i trofei ufficiali Uefa.
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E le nove finali, le plurime eliminazioni di squadroni come il Barcellona, il venire definiti da Ferguson il punto di riferimento del calcio europeo di un decennio, l’essere gli unici negli ultimi 4 anni ad avere eliminato il Real Madrid? Lì ci dimentichiamo della nostra arroganza sabauda e del nostro computo degli scudetti? Ce ne ricordiamo solo in finale?
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Puntiamo decisi su Kiev, allora, sperando che stavolta non tremino le gambe. Ma senza dare credito a deboli cliché creati da chi non ci ama.
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Senza dimenticare di puntare al settimo scudetto di fila: sarà provinciale, ma che soddisfazione avere cannibalizzato i trofei del calcio italiano, a pochi anni dal giorno in cui erano convinti che non saremmo mai più tornati noi.
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E invece siamo qui. Sempre primi in Italia, secondi in Europa solo a Ronaldo.