Quando arrivò all’Inter nell’estate del 1988, lo considerammo un «inserto» di Lothar Matthaeus, come se per avere il re fosse stato necessario prendergli anche il suo cavallo. E invece Andreas Brehme, scomparso oggi a 63 anni, era molto di più. Provenivano entrambi dal Bayern. Brehme era biondo, con un naso a uncino che gli dava un’aria da pirata mansueto, da tedesco rigoroso e orgoglioso.
«Andy» per gli amici, terzino e mediano, ambidestro, nell’Inter di Giovanni Trapattoni, quella dello scudetto-record a 58 punti, terzino sinistro. Aldo Serena, che proprio in quella stagione si sarebbe laureato capocannoniere, racconta che, se lo diventò, molto fu per i suoi cross. Avevano un taglio «a banana», a mezzaluna, liftato, di complicata lettura per i difensori, e addirittura maniacale per i portieri. Erano forza e camicia di forza.
Il suo regno era la fascia mancina, anche se il passato da mediano non gli impediva di trovarsi a suo agio persino nello shopping al centro. Campione d’Italia con l’Inter e, con la Germania di Franz Beckenbauer, campione del Mondo nel 1990. A Roma, contro l’Argentina di Diego Armando Maradona. Una partita brutta, sporca e cattiva. Un rigore che il Var chissà come avrebbe vestito o spogliato. Uomo di sinistro, lo batté di destro. Scelse l’angolo, la precisione, a conferma di una maturità che coinvolgeva i nervi, non solo i piedi.
Il numero tre era il terzino fluidificante. Giacinto Facchetti, Antonio Cabrini, Paolo Maldini. Ognuno con il suo stile. Brehme scavallava da area ad area e poi, dalla tre-quarti, pennellava. Over the rainbow. Non aveva il tritolo di Roberto Carlos, né la cipria di David Beckham. Lo ricordo sempre lì, sul cornicione di una linea, laterale in campo ma non nella vita, Andreas Brehme che Trap chiamava Bremer.
Io dico quello che vedo, non l’ho mai visto giocare prima il giudizio è limitato a ieri: mi pare un pò tutte e due le cose, giocatori con poca qualità e mancanza di equilibrio e tempi.
Una cosa sono le squadre che ti aggrediscono e tengono palla schiacciandoti, e creano almeno il doppio rispetto ai rischi che corrono, altro son quelli che son sempre a metà del guado.
Per il resto io non vivo per perorare una causa o affossare qualcuno: Simeone ci prese a schiaffi due volte con Allegri in panchina, nel 2-0 negli ottavi ( poi rimontato al ritorno da CR7) e nel girone 1-0.
E quindi Ezio?
Per la Juve sono sempre errori individuali e poca qualità , mentre per gli altri cosa sarebbe? La tattica, l’allenatore?
Ma per carità …
E prova a pensare che se giochi contro gente che ti pressa ferocemente e riparte con almeno 3 o 4 giocatori, la tranquillità viene meno e sbagli di più.
Lasciamo stare che la loro vivacità permanente sia sospetta.
Certo che se ti accontenti di trinculare nella propria area per farsi inculare…beh de gustibus.