Gli dobbiamo tanto. In Nazionale, Karl-Heinz Schnellinger ha segnato solo una volta. «Quella». Era il 17 giugno 1970, stadio Azteca di Città del Messico, semifinale Italia-Germania. Noi avanti con Boninsegna già all’8’; loro a morderci, a spingerci, a prenderci a pallate. Poi, al 90’, ci fu un cross dalla sinistra, il destino entrò in spaccata e pareggiò. Il destino si chiamava Schnellinger. Senza il suo gol, dalla grigia cronaca di un corto muso non avremmo mai stappato i supplementari del mito, la partita del secolo. Tutto d’un fiato: mullerburgnichrivamullerrivera. E sempre tutto d’un fiato: italiagermaniaquattroatre.
Ci ha lasciato ieri, Karl-Heinz. Viveva a Milano e aveva 85 anni. Biondo come la birra, duro come l’acciaio, leale, terzino sinistro e libero, uno di quei tedeschi che hanno fatto del bene al nostro Paese anche quando gli hanno fatto del male.
Colonia, Roma, Mantova, ancora Roma e Milan, su dritta di Gipo Viani, per chiudere a Berlino. Prese parte alla finale mondiale del 1966 a Wembley, Inghilterra-Germania 4-2 dts, passata alla storia per la rete-fantasma di Hurst. Con il Milan di Rocco conquistò 1 scudetto, 3 Coppe Italia (più 1 con la Roma), 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa dei Campioni (4-1 all’Ajax di Cruijff), 1 Intercontinentale, nella sanguinosa tonnara dell’Estudiantes.
Lo chiamavano Panzer, naturalmente, ma anche Volkswagen e, alcuni giornalisti, addirittura Carlo Martello, per come affondava il tackle. Fu moderno per i suoi tempi, calciatore e non calciattore. Si italianizzò e, orso qual era, andò in letargo. Si apriva con gli amici, rubinetto di aneddoti.
A ogni amarcord messicano, sorrideva: «Un colpo di fortuna. Era finita, avevate vinto e volevo solo correre negli spogliatoi». Il caso volle che. Evviva il caso. Ed evviva Karl-Heinz, compagno di un lungo viaggio e di una lunghissima notte.
Spunti interessanti da un articolo del ‘corriere della Sera’:
Come sarà la Juventus di Thiago Motta? In cosa si differenzierà da quella di Massimiliano Allegri? Dal punto di vista del modello di gioco stiamo parlando di due allenatori che hanno una filosofia calcistica completamente diversa.
Allegri e il «prima non prenderle»
Per quanto riguarda Allegri, l’ormai ex allenatore bianconero è legato ad un calcio reattivo, secondo l’antico adagio del ‹‹primo non prenderle››. La sua Juve si è infatti caratterizzata per non dare molta importanza al possesso palla, preferendo invece provare a dettare il contesto tattico tramite il controllo dello spazio. Un qualcosa che ha funzionato durante la prima esperienza di Allegri a Torino (dal 2014 al 2019), molto meno in questa seconda avventura (dal 2021 ad oggi). La Juventus del tecnico livornese ha pensato quindi per prima cosa a difendersi bassa per attaccare poi con veloci contropiedi.
Thiago Motta e il calcio attivo
Il modello di gioco di Thiago Motta invece è, come detto, all’opposto. Il suo Bologna è squadra attiva sia in fase di non possesso che in quella di possesso.
Il possesso
Per quanto riguarda il primo aspetto, i rossoblù cercano di conquistare palla il più vicino possibile alla porta avversaria attraverso un pressing alto. Non a caso l’indice PPDA (un misuratore del pressing) è fra i più bassi dell’intera serie A (11.6), segno appunto di una pressione avanzata.
Dal punto di vista della fase offensiva il modello di Motta è quello di un calcio contemporaneo, che si colloca in questo momento in una posizione ibrida fra il calcio posizionale e quello relazionale.
Guardiola+Diniz
Il primo (che ha il suo rappresentante più noto in Pep Guardiola) è quel calcio che dà priorità all’occupazione di determinati spazi, di matrice olandese. Il secondo invece (portato avanti da tecnici come Carlo Ancelotti o Fernando Diniz, allenatore della Fluminense e anche ex commissario tecnico del Brasile) pone l’attenzione sulla posizione della palla, rifacendosi alla scuola sudamericana.
In pratica nel modello posizionale si costruiscono prima le strutture, in quello relazionale prima le relazioni fra i giocatori, con strutture molto più fluide.
Libertà di movimento
Il modello di Motta è, come detto, un modello misto. Così abbiamo visto il Bologna giocare a volte un calcio più posizionale e altre più relazionale ma anche sviluppare situazioni nelle quali alcuni elementi andavano ad occupare determinate posizioni (solitamente gli esterni) mentre altri erano, per così dire, più liberi di muoversi.
Difensori costruttori e poi invasori
Partendo dunque da un sistema di base 4-3-3 o 4-2-3-1 il Bologna di Motta ha quindi sovente attaccato con gli Orsolini e i Saelemaekers ad agire da «fissatori» esterni (giocatori cioè deputati a garantire ampiezza), con i centrocampisti centrali che ruotavano le posizioni (potendo anche andare in rifinitura o direttamente in zona tiro) e con i difensori centrali che guadagnavano campo in avanti, fungendo ora da costruttori e, un attimo dopo, da invasori.
Il nuovo ruolo di Locatelli, arriva Calafiori?
Questo modello verrà verosimilmente riproposto dal tecnico italo-brasiliano anche a Torino. Per quanto riguarda lo sganciamento in avanti dei centrali difensivi, questo compito potrebbe essere assolto da Calafiori, visto che Motta sembrerebbe intenzionato a portare con sé il difensore del Bologna.
A centrocampo sarà interessante vedere come Motta sfrutterà il talento di Locatelli, giocatore abile fra le due aree e nella gestione della palla (come dimostrato a Sassuolo) e che invece, con Allegri, assolveva a compiti prettamente di schermatura davanti alla difesa.
Gli attaccanti: largo Chiesa, Vlahovic «liberatore»
Per quanto riguarda infine Federico Chiesa e Dusan Vlahovic, il primo potrebbe ritrovare con continuità un posizionamento aperto in fascia (dove si esprime al meglio) mentre all’attaccante serbo potrebbe essere chiesto sia di attaccare la profondità sia di liberare lo spazio centrale per i compagni che arrivano dalle retrovie.
La rivoluzione, la probabile reazione e il ruolo della societÃ
Come si vede, quella di Motta sarà una vera e propria rivoluzione rispetto al calcio di Allegri. Un calcio a cui la squadra e l’ambiente erano abituati da tempo. Per questo, Motta andrà sostenuto dalla società in caso di difficoltà , che potrebbero esserci soprattutto all’inizio del nuovo percorso. Difficoltà che potrebbero finire per attirare sull’ex centrocampista della nazionale italiana le critiche di coloro che non sono convinti del cambio di guida tecnica. D’altra parte ogni movimento rivoluzionario porta sempre con sé, come antitesi, un certo grado di reazione
Il rumor è quello.
L’omino era talmente autoreferenziale da essere divenuto una macchietta.
è un po’ come quando giuntoli lo ha definito “la punta di diamante del club”, lo prendono per il culo :)))
“Abbiamo condiviso un percorso di tre anni insieme, culminato nella vittoria di un titolo! In bocca al lupo per il futuro mister. Un grande abbraccio, grazie di tutto!”.
Il (tardivo) messaggio di Chiesa ad Allegri. Io mi concentrerei sulla prima frase: o Federico non ha ancora capito cosa vuol dire essere alla Juve, oppure è dotato di un sottile senso dell’ironia e lo sta perculando alla grande!
Infatti è incomprensibile come il cinepanettonare si stia appecoronando a 90 di fronte allo Smemorato del Salento invece non degni di una telefonata il ricottero.
È un pazzo incompetente. Con rahmani Positano e Mario Rui ricotta andrebbe a nozze ( a no, quelle no perché scappa.)
Vero, Guardiola è ingiudicabile finchè non allena un Cagliari o un Southampton.
da emerson a ederson il passo è breve… (magari).
E non dimentichiamo che ci eravamo qualificati grazie ad un clamoroso follo zio di Emerson contro il seeder Brema.
Capello uno degli allenatori più scarsi mai visti.
Come commentatore TV is the new herrera.
impressionante anche la formazione del milan di quell’anno. superiore comunque al liverpool.
Bravo Ric beata leggere quella formazione dell’ arsenal per capire quanto fossero ormai scarsi e a cavallo tra un ciclo ed un altro.f
La formazione del Liverpool l’anno dopo non la pubblico per pietà verso capello e rispetto per la sua etÃ