Punto esclamativo

Roberto Beccantini18 settembre 2024Pubblicato in Per sport

All’Etihad le regole sono chiare: la palla la porta il Pep, l’ospite si arrangia. E così può succedere di tutto. O quasi niente, come stavolta. City-Inter 0-0. Nei titoli, avrebbe dovuto essere la rivincita di Istanbul 2023, gran finale e gran destro di Rodri. Lo è stata nella propaganda e nello spirito, forse, non certo nella carne. Avete presente due massimi che si studiano e poi, finito di studiarsi, ricominciano da capo? Ecco. Sino al 70’, una noia così fitta da nebbia in Val Padana. Poi City al trotto e Inter un po’ sulle sue, parate di Sommer su Foden, Gvardiol e Gundogan, testa di Gundogan sopra la sbarra e, sull’altro fronte, un fuori campo di Mkhitaryan.

Massiccio turnover su entrambi i fronti. Benino Zielinski, bene Taremi, benone Barella, Lautaro «solo» nella ripresa. Come Foden, Gundogan e Doku (a destra, però). Tra Haaland e Acerbi è stato un altro kamasutra, con la maglia del Ciclope scalpo sempre ambito. Da nove gol in Premier, il norvegese, a un paio di tiri (fuori): le luci rosse pagano. L’aveva studiata bene, Inzaghino. Tutti raccolti e non appena Barella e Calha spezzavano il pressing, via in contropiede. Non pochi, e non lievi: i più ghiotti sono capitati a Carlos Augusto e a Darmian, che killer non sono.

Il k.o. di De Bruyne ha tolto dal mazzo un jolly cruciale. Avanzavano, i Blue moon, con la flemma dei tiranni sazi, anche perché nessuno srotolava zerbini. Rari dribbling, e un possesso del 60% che si riduceva a un tiki-taka bolso, grigio. E’ stata una partita dalla quale Dino Buzzati avrebbe estratto il seguito de «Il deserto dei tartari». I soldati a scrutare l’orizzonte, in attesa che arrivasse qualcuno. Polvere.

Scelte nette, Simone. E una tattica precisa: barricate sì, ma non «cieche». A Manchester, non è da tutti. Era la tappa inaugurale della nuova Champions. Un inizio e un indizio.

** Bologna-Shakhtar Donetsk 0-0. Dalla monetina di Barcellona a un rigore già al 2’. Sessant’anni dopo. Zero a zero là, 0-0 qua. Skorupski lo para a Sudakov e così i topi d’archivio si ritirano, lieti. Skorupski da una parte, Riznyk dall’altra: bravo su Castro, bravissimo su Fabbian (che però, libero com’era, avrebbe dovuto segnare). I brasiliani di Pusic hanno alternato il lancio lungo (propizierà il penalty) al palleggio. Bravini, ma leziosi. E’ mancata, alla squadra di Italiano, la qualità dell’ultimo passaggio. Orsolini giù, Ndoye su. E dalla panca (Iling-Junior, Pobega) nessun miracolo. Era il battesimo: 17 tiri a 4. Non basta, ma aiuta a capire il senso della cronaca. E della storia.

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