Ecco. Se Johan Neeskens era il campo largo, Andrés Iniesta è stato la zolla benedetta. A 40 anni, ha annunciato il ritiro a reti e tiki-taka unificati. Don Andrés. L’illusionista. Uno dei nani della pregiata sartoria Masia, l’atelier del Barça: lui, Xavi, Leo Messi. Più Sergio Busquets, che nano non era. Nativo di Fuentealbilla, nel cuore de La Mancha, Spagna profonda. Ne ha 12, quando gli emissari del Barça lo individuano. E’ piccolo, timido, introverso.
Non sarà cronaca, la sua. Sarà storia. Dalla cintola in su, capace di tutto, per tutti. Il più eclettico dei centrocampisti: mezzala, mediano, rifinitore e pure esterno, se le circostanze lo richiedono. Puyol e Victor Valdés erano i suoi custodi: poco angeli, a volte.
Iniesta. «El Messi de las sombras»: meno visibile, ma sempre genio. Non così regista come Xavi e Busquets, ma più indovino (nel predire il certo, nell’anticipare l’incerto); ha un dribbling stretto che sa di ricamo, musicale, e una dote che solo ai Grandi è riconosciuta: alzare e abbassare il ritmo. Dentro di sé e intorno a sé. Dello spartito e della partita. Lo lanciò Louis Van Gaal, lo hanno consacrato Luis Aragones e Vicente Del Bosque in Nazionale, Frank Rijkaard e Pep Guardiola, naturalmente, al Camp Nou.
Ha fatto segnare, molto. Ha fatto sognare, moltissimi. E se il gol non era il fine, ce ne sono un paio che non dimenticherà, che non dimenticheremo: il primo, al 93’ di Chelsea-Barcellona 1-1, semifinale-bis di Champions 2009, non senza stridore di denti e di Drogba (contro il povero Øvrebø), spunto che in pratica inaugurò l’era del Pep; il secondo, a Johannesburg 2010, nella finale mondiale con l’Olanda, agli sgoccioli dei supplementari, su tocco di Cesc Fabregas, rete che diede il titolo alle ex Furie, a conferma che l’Europeo del 2008, a Vienna, non era stato uno sparo nel buio.
Ha passato brutti momenti, al limite del suicidio, si era rintanato in Giappone e negli Emirati. Lascia sul tavolo 38 trofei. Ma non è questo il punto. O non solo questo. Di quella covata e di quel Barça, è stato, per chi scrive, il più vicino alla Pulce. Nella fantasia e nell’intuito. Erano sartine che, attraverso le crune dei loro aghi, facevano passare i cammelli del luogocomunismo, del superuomismo. Un illusionista, appunto. Libero, dal basso del suo 1,70, di spalancarti le nuvole.
Schiacciato tra Messi e Cristiano, non ha mai vinto il Pallone d’oro. Chi scrive, votò sino al 2009 (compreso). Mettiamo pure che avessero ragione i latini, e che «le cose evidenti non hanno bisogno di alcuna prova», ma don Andrés un’eccezione l’avrebbe meritata. Hasta siempre.
Gentile Giovanni, buon giorno e scusi per il ritardo. Bella domanda. Dunque.
Barcellona del Pep, Champions 2011: Schema 4-3-3: Valdes; Dani Alves, Mascherano, Piqué, Abidal; Xavi, Busquets, Iniesta; Pedro, Messi, Villa.
Barcellona di Luis Enrique, Champions 2015: ter Stegen; Dani Alves, Mascherano, Piqué, Jordi Alba; Rakitic, Busquets, Iniesta; Messi, Suarez, Neymar. Xavi (35 anni, allora) in panca.
Sulla carta, il trio Messi-Suarez-Neymar batte, per me, il trio Pedro-Messi-Villa. E Rakitic, come stantuffo, nel cuor mi sta. Però, come disegno, scelgo il Barça del Pep, abile nello sfruttare e approfondire il tiki taka già abbozzato da Luis Aragones con la Nazionale «europea» del 2008. In fin dei conti, la versione di Luis Enrique non era «seconda» soltanto cronologicamente, ma ne fu la prolunga filosofica, modici accorgimenti a parte.
certo che non si può vivere solo di trincea. Ma in quella partita, proprio in virtù dello strapotere tecnico del Barca, la trincea non fu una scelta, ma una costrizione. Poi nel secondo partita svoltò, forse loro si sentirono già sicuri della vittoria ed a proposito di confronti tra i due Barca (Guardiola e Luis Enrique) il primo da un punto di vista tattico era molto più organizzato. Ricordo bene il loro tridente rimanere costantemente alto, mentre Pogba e C avevano preso il possesso del centrocampo. IL paradosso è che si prese NOI goal in contropiede del 2 a 1. Nei confronti di quella partita ho ricordi contrastanti, emozione ed orgoglio di essere arrivati ad un passo dal sogno contro una corazzata che avrebbe anche potuto asfaltarci, ed invece di averla messa in forte difficoltà, molto rammarico per come effettivamente poi andò.
Leggo che Adzic é stato convocato dalla sua nazionale ed é andato.
Il ragazzino, che non si é ancora visto in campo, si é già infortunato due volte e non era disponibile per l’ultima partita di campionato prima della sosta.
Non vedo dunque per quale motivo debba andare in ritiro con la sua nazionale.
Sicuramente Riccardo, merito di Gigi, ma non si può negare che vedemmo letteralmente le streghe. Poi le partite sono fatte anche di momenti come quello: resistenza, sangue freddo, fortuna; aspettando che passi la buriana con meno danni possibili, per poi reagire e ribattere al massimo delle possibilità. (ma non si può sempre e solo vivere di trincea: dopo la strenua difesa del Piave deve esserci anche Vittorio Veneto.
il primo termino’ solo 1 a 0 per merito di Buffon, portiere della Juve. Ed anche i portieri possono giocare bene, meno bene, da fuoriclasse
Nella finale del 2015, passato miracolosamente il primo tempo sotto soltanto di un gol, credo che ci sia stato il momento più glorioso della Juve in Champions (ovviamente dopo l’era del primo Lippi). Dopo il gol di Morata il Barcellona, “quel” Barcellona, patì uno dei rarissimi momenti di panico della sua parabola: uno dei rari casi in cui li vidi buttare via la palla in tribuna. Poi, come ben ricorda Alef, venne il mancato rigore su Pogba e rientrammo tutti nella, purtroppo, usuale modalità di “finale-della-Juve-in-Champions” dove se qualcosa può andare storto lo farà e se manca di farlo riusciamo ad agevolarlo noi con qualche fotta.
Don Andres, uno di quei casi in cui non è il Pallone d’Oro a mancare a lui, ma lui a mancare nell’albo d’oro del premio (piuttosto inspiegabile non dargli quello del 2010).
Sui due Barca, di Pep e di Luis Enrique, si può fare un poco lo stesso discorso delle due Juve di Conte ed Allegri (primo), o nei Milan di Sacchi e Capello: le prime erano squadre di costruzione e di innovazione, che introducevano nella storia del calcio (o almeno in quella del club) una idea nuova e rivoluzionaria; le seconde sviluppavano e declinavano quell’idea, magari un poco adattandola, e supportandola con elementi di ancora maggiore qualità specifica.
al pareggio di Alvaro Morata al 10’ del secondo tempo non riusciii neanche ad esultare, tanto ero certo che non avremmo comunque avuto scampo contro quella squadra di mostri…
Scritto da Giovanni il 9 ottobre 2024 alle ore 07:38
vero,anche io ero quasi incredulo al pareggio….. ma ricordiamoci anche che quei mostri catalani dopo il pareggio sono andati (quasi) in bambola , come Ivan Drago al primo pugno di Rocky…. ricordo Pogba che ad un certo punto correva palla la piede con mascherano e iniesta che neanche riuscivano a stargli dietro ed il commentatore belga che ripeteva : “incredibile,incredibile, la partita é totalmente cambiata”, fino alla perla del rigore, andavetelo a rivedere, non é solo 1 rigore, c’é ne sono DUE, prima sulla gamba e poi lo tira giu’ e gli cade anche di sopra sembra una mossa di judo, ASSURDO!!!!
comunque a rendere meno amara anche per noi quella vittoria de Barcelona resterà per sempre il fatto che Luis Enrique ha potuto festeggiare quella sera in campo con la figlia Xesca, poco prima che la bimba si amalasse…quando fanno vedere in tv le loro foto con la medaglia, penso sempre : ne abbiamo perse tante, questa c’é la possiamo tenere senza problemi…
Scritto da Alex drastico il 9 ottobre 2024 alle ore 09:15
Alex,
il Barça del Pep ha vinto di più, 2 Champions, 3 Liga, 2 Mondiali per club ( non riporto qui le Coppe “minori” ) rispetto a quello di Luis Enrique ,1 Champions, 2 Liga, 1 Mondiale per club e anche questo , quel che più conta è la “rivoluzione “ nel gioco del Barça data dal Pep, mostra la grandezza di Guardiola, al di là del fatto che ha allenato il Barça per 4 anni rispetto ai 3 di Luis Enrique…per rendere meglio la mia idea diro’allora che con Guardiola quella formazione della finale del 2015/avrebbe , secondo me, vinto ancora di piu anche se mi rendo conto che non esiste alcuna controprova al riguardo e che, forse, sto parlando di sesso degli angeli…SICURAMENTE al Barça del Pep e’stata sottratta fraudolentemente una Champions attraverso il latrocinio perpetrato dall’Inda in semifinale nel 2010 , Barça che già aveva dovuto affrontare quel doppio incontro privo di Iniesta, qui giustamente celebrato dalPrimario, e che nulla poté’ contro la cricca arbitrale pro-Inda…con il VAR il Barça sarebbe passato con tutta tranquillità, tra i tanti episodi scandalosi di quel doppio incontro di semifinale, citerò il goal di Bojan del 2-0 del Barça al 90’ assurdamente annullato dalla terna arbitrale per un INESISTENTE precedente fallo di mano di Yaya Toure’, goal che avrebbe qualificato il Barça per la finale di Madrid
Anch’io comunque dico barca di Pep perché era ancora più solido più padrone del campo.squadra catenacciara nella trequarti altrui che non concedeva respiro all’avversario in nessuna zona del campo.
Forse aveva un pochino meno panchina del barca di LE ma l’11 iniziale,dove c’erano anche Yaya Toure ed Henry,per era superiore.