Non è più l’Heysel, ma per noi lo sarà sempre. Sono passati 39 anni da quel maledetto 29 maggio 1985. Ne morirono 39, sappiamo come, sappiamo perché. Schiacciati dalla furia di hooligans ubriachi. Era Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni. Doveva essere una gara. Diventò una bara. Ogni volta che si gioca lì, allo stadio Re Baldovino, e Belgio-Italia si è giocata proprio lì, non si può non ricordare. Non si può non alzarsi in piedi. Per non dimenticare, per non dimenticare mai.
Belgio-Italia, dunque: 0-1 e quarti di Nations League in tasca. Partita di governo per una trentina di minuti, e poi – nella ripresa, soprattutto – di lotta. Sul podio, il rombo di centrocampo: Rovella (all’esordio, vice Ricci: promosso), Frattesi e Tonali ai lati, Barella un po’ qua e un po’ là . Il gol, all’11’, è stato pregevole nell’azione, agevolato da uno sgorbio di De Cuyper e baciato dall’assist di Di Lorenzo (quantum mutatus ab illo) per Tonali, in agguato come uno sparviero.
Sesti nella classifica Fifa, loro; noni, noi. Decimati, i rossi di Tedesco hanno impiegato quasi un tempo per rendersi conto di quello che aveva in testa Spalletti. Quando l’hanno capito, ci hanno provato. E non sono stati nemmeno fortunati: palo di Faes all’84’. Avrebbe potuto raddoppiare in transizione, la Nazionale, con Retegui (gran parata di Casteels), con Di Lorenzo, con Kean. Così come avrebbe potuto pareggiare il Belgio: reattivo, Donnarumma, su Trossard e Openda; capocciata di Big Rom a fil di montante. Lukaku: montagna contro montagne (Buongiorno, Bastoni), fra terra e cielo.
Non è Sinner, l’Italia. Ma non è più l’arrotino debosciato dell’Europeo. E’ giovane: sa dominare, sa soffrire. Virtù che non si elidono. Rispetto alla sbornia tedesca, «Sanluciano» si è corretto. Spazio a un 3-5-1-1 che ha ribadito la validità di un vecchio assunto: conta la qualità del gioco, non la quantità delle punte.
Mi spiace per Pgba. Era giusto ed inevitabile che si arrivasse a questa decisione, ma non sarebbe dovuta finire così. Sarbbe stato meglio,non fosse mai tornao.
Da Facebook, di Kevin Meis
IL FUTURO È GIÀ PRESENTE
Secondo Paulo Coelho le persone giungono sempre al momento giusto nei luoghi in cui sono attese. Il popolo bianconero – svanito per scelta di Giuntoli il ritorno di Conte e rassegnatosi ormai da anni all’ipotetico arrivo di Guardiola – attendeva da tempo un allenatore come Thiago Motta: giovane, ambizioso, tatticamente preparato e con la mentalità offensiva e vincente. Arrivato in un grande club non per il nome bensì per quanto ottenuto sul campo Thiago Motta – con l’assenso, il consenso e la protezione di Cristiano Giuntoli – è chiamato ad assolvere ad un arduo compito: svecchiare la Juventus. Se il Managing Director Football l’ha svecchiata anagraficamente durante il mercato estivo il mister è chiamato a farlo concettualmente durante la sua permanenza alla Continassa. Trovandosi davanti un muro durissimo da buttar giù, l’italo-brasiliano ha optato per un inizio forte, sparando subito cannonate alla mentalità della quale era stata intrisa la Juventus. Ha capito che un approccio soft non avrebbe pagato, che per creare bisogna prima distruggere e che in alcuni momenti bisogna rischiare una sconfitta (che non è arrivata per cause giovanili ma solo e soltanto a causa dell’unico giocatore fuori tempo massimo ancora presente in rosa) piuttosto che lasciarsi ammaliare da una brutta e inutile vittoria. Non ha avuto problemi a far giocare titolari degli inesperti ventenni, non ha mai rinunciato al pressing, alla costruzione dal basso, al fraseggio continuo, al dominio del gioco e alla ricerca della vittoria. Un dato emblematico di come Motta abbia già sconquassato e rivoluzionato la Juventus sono i 24 anni e 195 giorni di età media che aveva la formazione scesa in campo nell’ultima gara europea, la più giovane di sempre per una compagine juventina nella storia della competizione.
Andrea Cambiaso ha detto in un’intervista che con Motta i calciatori non hanno ruoli ma occupano lo spazio. È un’idea moderna quella che ha del calcio il mister, un’idea secondo la quale nella fase difensiva prevale un’interpretazione classica dei ruoli mentre nella fase offensiva, nell’occupazione dello spazio e nell’assalto dell’area avversaria prevale un disordine ordinato nel quale i giocatori si interscambiano andando oltre i ruoli predefiniti. Cambiaso – che a mio parere è lo juventino potenzialmente più forte in rosa – sta a Motta come Cancelo stette a Guardiola: esterno difensivo, ala, mezzala e regista, un assist man totale simbolo del calcio moderno, dinamico e offensivo dell’allenatore juventino.
Dopo un periodo di oscurantismo alla Continassa sta rapidamente tornando il sole. La Torino bianconera ha iniziato ad albeggiare. Il Dalai Lama disse che ci sono due giorni in cui non si può far nulla: ieri e domani. Motta sembra saperlo.
Il futuro è già presente.
Non considero Adani un fanfarone per come e quando parla di Allegri, Lo considero un fanfarone quando e come parla, di qualsiasi argomento
Scritto da Alex drastico il 15 novembre 2024 alle ore 20:56
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La firmo con il sangue…..vedo il calcio in questo modo a prescindere dalla rivalità accese e storiche.
Ci sono robe più serie nella vita, rispetto a chi vince o perde una Champions, specie quando si sono vissute tante finali perse….da Ajax -juve in poi….
Scritto da Alex drastico il 15 novembre 2024 alle ore 20:55
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Non puoi dire (Adani) ad un allenatore (Allegri) vincente a prescindere…” Tu non dici cose serie…”.
Un Capello o un Lippi non lo avrebbero mai detto …
Poi ognuno vede le cose a modo suo, per carità , è il bello della democrazia, ma alla base ci vuole rispetto.
Ci mancherebbe ancora che il Cialtrone non ami la Juventus. Gli ha regalato 4 anni di stipendio milionario a babbo.
Ho visto City-Inter da spettatore neutro e ribadisco tutti i commenti scritti nel post partita, su fatti incontrovertibili, ossia che il City del grande Guardiola in una finale di Champions è stato incartato da un normale Inzaghi, e da una squadra inferiore che ha rischiato al 92esimo di portare la partita ai supplementari. Questi sono i fatti. La rivalità acerrima è altra cosa e spesso qui dentro acceca la vista.
Non ho mai scritto di odiare Guardiola o di non apprezzarne il suo gioco, che a fatto soprattutto del Barcellona una squadra spettacolare e che è entrata nella storia del calcio. Ho sempre scritto e , ribadisco, che vorrei vedere il valore di Guardiola in una società con valori economici e tecnici di gran lunga inferiori a quelle che a guidato, per vedere se ottiene gli stessi risultati.
Tutto qui.
Scritto da DinoZoff il 15 novembre 2024 alle ore 20:33
Non ci credi tu per primo a sta roba che hai scritto e anni di tuoi post testimoniano esattamente il contrario.
Adani si è sempre rivolto ad allegri con la massima educazione porgendo domande pertinenti al lavoro di allenatore.domande che colpivano allegri nel vivo perché ne esponevano l’ incompetenza,la,saccenza,la scarsa conoscenza della lingua italiana e in generale la maleducazione.
Questa è stata la colpa di Adani.
Purtroppo di sti tempi quando un galntuomo si confronta con un cialtrone finisce con il perdere il proprio lavoro.
DinoZoff, quando la critica (in tv o sui giornali) scade nell’insulto non va bene, ma a me non piacciono neanche quei commentatori che, siccome tengono famiglia, parlano bene di chiunque, o comunque non si lasciano mai andare a critiche, oppure ondeggiano a seconda del risultato. Adani a volte va un po’ sopra le righe ma ha il pregio, secondo me, di essere chiaro e netto nella sua opinione, argomentandola.
Poi chiaro se si trovasse ad allenare sarebbe di fronte a difficoltà di vario tipo e non si troverebbe in un mondo ideale, quello in cui ogni dettame dell’allenatore funziona a memoria e immediatamente.
Ma non é quello il suo ruolo.
Ma i moralisti han chiuso i bar
E le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori
È bello ritornar “normalità ”
È facile tornare con le tante stanche pecore bianche
Scusate, non mi lego a questa schiera
Morrò pecora nera (Cit, Ezio sa chi)