Un tempo al governo, l’Inter, e uno di lotta, all’opposizione. E così, ciao Bologna. La squadra che veniva da sei vittorie, in campionato l’aveva rimontata a San Siro (da 0-2 a 2-2) e, sempre al Meazza, eliminata dalla Coppa Italia. Un’orchestra diretta da un maestro, e non già una band di scappati di casa baciati dalla lotteria della bocciofila, applaudita e riverita dalle platee e dai loggioni di tutta Italia.
Ma l’Inter è l’Inter. Niente scorte, stavolta. Prestazionista, se vuole; risultatista, se deve. E Inzaghi è Inzaghi, metà Sacchi metà Allegri. Con l’Atletico nella testa (ma neppure tanto) e una mimosa per la Vecchia in mano, dal momento che le ha sconfitto una rivale di Champions (a domani, Dea).
Ha deciso Bisseck, non ancora titolare, non più riserva: di testa, su cross di Bastoni. Come dire: la parola alla difesa. Inzaghino ha ormai conquistato tutti, persino «Drago» Motta. Che, questa volta, non mi è piaciuto: Fabbian fisso in panca (Marotta: è nostro e ce lo riprenderemo), Odgaard esterno e fuori Zirkzee al momento della lotteria conclusiva. Per carità: non uno Zirkzee al massimo (Acerbi e c. non sono mica pirla), e pure protagonista non impeccabile dell’unica, vera, palla-gol prodotta (Sommertime, puntuale), ma il migliore, a meno che non sia lui a chiederlo, non lo tolgo mai.
Calhanoglu di rientro e Lau-Toro fuori, per rotazione. Thuram e Alexis Sanchez dentro, subito. E Arnautovic alla fine, vittima dell’ennesimo crac muscolare. I punti sono 75, gli stessi della Juventus di «martello» Conte, la stagione del record a 102. Posso? Precedenza all’Europa, visto che lo scudetto è ormai (ormai?) in tasca (in tasca?).
Al Dall’Ara aveva vinto solo il Milan: il 21 agosto scorso; e alla prima, per giunta. Era d’estate, tanti pronostici fa.
-
JUVENTUS: FRA INCHIESTE E LE DIMISSIONI DI AGNELLI,
QUEL DELIRIO DI ONNIPOTENZA CHE PORTA A SENTIRSI SUPERIORE A TUTTO
Roberto Beccantini
-
SERIE A – Dal processo per abuso di farmaci (2000) a Calciopoli (2006) all’ultimissimo filone dell’inchiesta Prisma, siamo al terzo indizio in un ventennio: e tre indizi fanno una prova. In attesa che la giustizia faccia il suo corso, ecco alcuni spunti di riflessione.
-
Un murales di Andrea Agnelli apparso nelle strade di Roma ai tempi della debacle dell’operazione Superlega, Getty Images
-
Il filo conduttore che lega i tredici rinvii a giudizio alla storia della Juventus è il delirio di onnipotenza che la porta a voler essere, per forza e comunque, la più forte. Dal processo per abuso di farmaci (2000) a Calciopoli (2006) all’ultimissimo filone dell’inchiesta Prisma, siamo al terzo indizio in un ventennio: e tre indizi fanno una prova. In attesa che la giustizia faccia il suo corso, e al netto dell’invidia triviale e tribale che le disgrazie di Madama suscitano, vi giro piccoli spunti di riflessione.
-
1) I reati contestati sono gravi. Molto gravi. Lo stesso tifoso juventino – quello, almeno, senza anello al naso – comincia a fare «conti» che non coincidono più con la teoria del complottismo.
-
2) Va molto di moda il film «John versus Andrea». Non mi interessa. Mi interessa sapere chi ha ragione fra la procura e il presidente dimissionario/dimissionato (come il resto del Consiglio di amministrazione). Quando gli scudetti crepitavano, non ricordo che si accennasse alle faide familiari. C’è il rischio che diventi un alibi.
-
Agnelli intercettato: “Non è solo Covid, ma tutta la m***a che c’è sotto”Agnelli intercettato: “Non è solo Covid, ma tutta la m***a che c’è sotto”
-
AGNELLI INTERCETTATO: “NON È SOLO COVID, MA TUTTA LA M***A CHE C’È SOTTO”
3) Il «così fan (quasi) tutti», da Passaportopoli in su, non è campato in aria, ma più si è in alto, più si dovrebbe dare l’esempio. E se mai la frase suonasse troppo da libro Cuore, la aggiorno subito:
dal 2001, su volontà dell’allora amministratore delegato, Antonio Giraudo, la Juventus è quotata in borsa. Ecco perché avrebbe dovuto agire con una cautela su cui i club non quotati, per paradosso, possono sorvolare.
4) Ammettiamo pure che John Elkann sapesse, anche se ho qualche dubbio (almeno, che sapesse fino in fondo). È il padrone: non può licenziarsi. Può, viceversa, licenziare il responsabile. Il confine tra dimissionari e dimissionati rimane ambiguo. Nel caso specifico, suggerisco «dimissionati».
-
5) Parlavo di delirio di onnipotenza. Luciano Moggi, Giraudo e il suo allievo, Andrea. Strepitoso nel recuperare la Juventus dalle macerie di Calciopoli, ma poi, piano piano, sempre più impaziente, bulimico, ossessionato e ossessivo. Nessun dubbio che la pandemia abbia pesato. Ciò premesso, la cotta per la Superlega (a fin di bene?) esula dal virus,
‘
lo stesso dicasi per la farsa dell’esame perugino di Luis Suarez: colpi bassi, cercati o tollerati, che lo hanno spinto a credersi superiore a tutto (e non a tutti, già un bel traguardo).
Andrea Agnelli e Luciano Moggi insieme alla Juventus – Stagione 2005-06
-
6) Al di là degli sviluppi, è mai possibile che funzionari e giocatori – non proprio di primo pelo, tra parentesi – si vantino di aver maneggiato dettagli così scabrosi in maniera fin troppo creativa (gentile eufemismo), oppure li usino per regolare piccole vendette private?
-
7) Dicono che il peccato originale sia stato l’operazione Cristiano Ronaldo. Non escludo che i vertici abbiano sbagliato calcoli, economici e tecnici, opinando che avrebbe garantito la miniera della Champions. Garantito? Guai, però, a confondere gli eventuali errori di cassa con la grandezza del giocatore, che all’epoca della firma, nell’estate del 2018, aveva 33 anni. In Italia capita spesso: è bravo, ma antipatico. I termini vanno rovesciati: è antipatico, ma bravo. Solo da noi si può discutere Cristiano. Solo da noi.
-
8) Saranno gli eventuali processi, penali e sportivi, a orientare il futuro. Già la «supercazzola» della Superlega aveva costretto Agnelli alle corde, figuriamoci questo «ritorno di fiamma». La serie B e i due scudetti confiscati sono stati scaltramente riesumati e sbandierati. L’Uefa vigila, pronta a intervenire.
-
Agnelli: “Vogliamo libertà di creare nuova competizione”
9) La piazza sogna Alessandro Del Piero. Per adesso, una mossa nazional-popolare. Massimiliano Allegri è stato investito delle funzioni (che non sempre coincidono con i poteri) di «manager di salvataggio». Il Mondiale finisce il 18 dicembre, il mercato ricomincia il 2 gennaio e il campionato il 4, prima o poi dovranno guardarsi negli occhi: dirigenti (nuovi), allenatore, giocatori. L’ultima volta fu la sera del 13 novembre e del 3-0 alla Lazio. Sesta vittoria consecutiva, terzo posto. Meno di un mese fa. Punto e a capo.
Per commentare o fare domande potete inviare una e-mail a roberto.beccantini@fastwebnet.it o visitare il suo blog, http://www.beckisback.it.
-
Non è mai semplice.
Scritto da Robertson il 10 marzo 2024 alle ore 19:52
2 di quei 6 trovati per terra col frosinone in casa
Famo così….via Allegri e 4 5 pedatori nuovi di primo livello…’ndo firmo?